MASSIMO MORETTI, PROFESSORE ORDINARIO DI SEDIMENTOLOGIA DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI E MEMBRO DEL COMITATO TECNICO-SCIENTIFICO DELL’OSSERVATORIO NAZIONALE AMIANTO, PRESIEDUTO DALL’AVV. EZIO BONANNI, È UNA FIGURA DI RIFERIMENTO NELLO STUDIO E NELLA GESTIONE DELLE PROBLEMATICHE AMBIENTALI LEGATE AL PERICOLOSO MINERALE. CON UNA CARRIERA ACCADEMICA CHE ABBRACCIA OLTRE TRE DECENNI, IL SUO LAVORO SI DISTINGUE PER LA CAPACITÀ DI CONIUGARE L’APPROFONDIMENTO SCIENTIFICO CON L’IMPATTO CONCRETO SULLE COMUNITÀ LOCALI. DALL’ANALISI DEL SOTTOSUOLO DELLE EX AREE FIBRONIT ALL’ESPLORAZIONE DEGLI EFFETTI DELL’ASBESTO NEGLI AMBIENTI MARINI, MORETTI HA PORTATO AVANTI UN APPROCCIO INTERDISCIPLINARE CHE PUNTA A COLLEGARE RICERCA, PREVENZIONE E SOLUZIONI OPERATIVE
Conosciamo il Prof. Massimo Moretti
Come docente e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, quali motivazioni personali e professionali l’hanno guidata nello studio delle problematiche legate all’amianto? Quali obiettivi prioritari si è posto nel coniugare ricerca accademica e impatto concreto sulla gestione dei siti contaminati?
Uno dei principali problemi della ricerca scientifica universitaria è che spesso, allo studio teorico dei processi, non corrisponde una adeguata applicazione dei risultati ottenuti. Per la carriera universitaria, infatti, è richiesta una sempre più competitiva attività di pubblicazione dei risultati ottenuti su riviste internazionali ad alto impatto e a essa è strettamente collegato anche l’accesso ai finanziamenti alla ricerca. Per fortuna, negli ultimi anni, gli atenei italiani hanno riscoperto l’importanza delle relazioni con i territori e il fondamentale ruolo di “guida” per le sfide economiche-ambientali-sanitarie che la società è chiamata ad affrontare (la cosiddetta “terza missione”).
L’amianto ha rappresentato temporalmente, la prima problematica ambientale della quale mi sono occupato, quando, all’inizio degli anni ’90 sono stato chiamato a definire l’inquinamento nel sottosuolo dell’area ex-Fibronit nella quale per decenni sono stati seppelliti tutti gli sfridi e i manufatti non conformi o rotti rinvenienti dalla produzione di tubazioni e coperture in cemento-amianto. Da allora, ho sempre cercato di proporre linee di studio con una forte connotazione ambientale anche al fine di coniugare l’attività formativa alla ricerca. Sono infatti docente del Corso di Studi in Scienze Ambientali di Taranto da oltre venti anni e ho avuto l’onore di coordinare il CdS negli ultimi otto anni (mandato terminato a settembre 2024).
Il convegno di Taranto e il parere di Mssimo Moretti
In occasione del convegno che si è tenuto lo scorso 16 novembre presso il Comune di Taranto, Lei ha presenziato quale relatore e la sua ricerca è stata apprezzata dall’Osservatorio Nazionale Amianto – ONA APS, di cui è stato nominato componente del comitato tecnico scientifico. Cosa ne pensa del ruolo delle associazioni e in particolare del principio di prevenzione primaria, da sempre sostenuto dallo stesso Presidente Avv. Ezio Bonanni?
Ho ringraziato l’ONA nella persona del suo presidente per l’interesse mostrato per le ricerche che conduciamo in campo ambientale e in particolare sulla diffusione dell’amianto negli ambienti marini. Ho accettato volentieri l’invito a far parte del comitato tecnico-scientifico sperando di potermi rendere utile per le future attività dell’Osservatorio.
Negli anni ’90 sono stato collaboratore tecnico-scientifico dell’Associazione Esposti Amianto e ritengo quel periodo fondamentale per la mia formazione in campo ambientale. Questa esperienza mi consente di collegarmi più direttamente alla domanda che riguarda il ruolo delle associazioni. In campo ambientale e sanitario, esse hanno enorme peso nelle attività di denuncia/sensibilizzazione/vigilanza dirette alla popolazione e media, organi istituzionali e di controllo.
In generale, la “cittadinanza attiva” in campo ambientale è un soggetto ostile o poco significativo da molti settori dell’Accademia.
Al contrario, occorre riconoscere che molti dei temi ambientali globali/nazionali/regionali/locali hanno assunto importanza primaria anche per la politica solo per merito della pressione costante esercitata dalle associazioni ambientaliste. Nella mia personale esperienza, inoltre, ho avuto modo di entrare in contatto con realtà associative meno movimentiste, ma di grande preparazione tecnica-scientifica-sanitaria-legale. In ogni caso, tutti i tipi di cittadinanza attiva svolgono un ruolo importante per la prevenzione dei rischi ambientali. In particolare, la prevenzione primaria, tesa a promuovere i percorsi virtuosi che producano un annullamento, riduzione o mitigazione del rischio ambientale per la popolazione potenzialmente esposta.
L’importanza della prevenzione
Tale azione passa anche attraverso la ricerca di metodi e strategie per rendere efficace sia la divulgazione specializzata che quella più generalista in relazione alle conoscenze teoriche e applicative oggi raggiunte dalla ricerca interdisciplinare in campo ambientale. La diffusione dell’amianto in modo pressoché ubiquitario rappresenta un tipico esempio di assoluta mancanza di comunicazione fra Scienza e Società.
I primi studi che hanno dimostrato in modo inequivocabile la relazione fra alcune patologie e l’esposizione alle fibre dell’asbesto sono stati pubblicati negli anni ’30 del secolo scorso.
In Italia, la normativa ha definitivamente messo al bando l’amianto solo all’inizio degli anni ’90 (L. 257/92). Un blackout di informazione lungo sessanta anni che è risultato funzionale per i profitti dell’industria, ma devastante per gli effetti nella popolazione esposta.
Puglia, una terra martoriata
In che modo il territorio pugliese, con la sua complessità geologica e socio-culturale, rappresenta un laboratorio unico per lo studio e la gestione dei siti contaminati? Ritiene che la ricerca accademica possa favorire una migliore integrazione tra le esigenze delle comunità locali e le strategie istituzionali di bonifica?
La Puglia è sede di quattro Siti di Interesse Nazionale (S.I.N. di Taranto, Brindisi, Manfredonia, Bari-Fibronit) da bonificare.
Per alcuni di essi, non sono totalmente noti quantità e qualità degli inquinanti presenti nell’aria, nel suolo/sottosuolo, in falda, nei corsi d’acqua e nelle aree marine.
Tali lacune di conoscenza sono connesse spesso alle attività non autorizzate di sversamento del materiale inquinato nelle matrici ambientali menzionate.
Esempi molto simili sono relativamente comuni in altre regioni nell’intero territorio nazionale. In Puglia, questo fenomeno è molto diffuso e la presenza di un territorio prevalentemente carsico favorisce sia le pratiche di sversamento incontrollato (doline, inghiottitoi, cavità naturali, ecc.) sia la loro rapida distribuzione in falda. Il grande sviluppo costiero del nostro territorio favorisce anche l’eliminazione di rifiuti di ogni genere i litorali e nelle aree marine poco profonde. L’inquinamento incontrollato può essere considerato quello che determina i maggiori rischi per la popolazione: riconoscere la distribuzione areale e in profondità degli inquinanti, caratterizzarne la diffusione nelle differenti matrici ambientali e stabilire il livello di rischio rappresentano una sfida per la ricerca interdisciplinare moderna.
Le bonifiche: un’azione urgente
Per le bonifiche, la mediazione fra progettisti/esecutori pubblici o privati delle opere e la popolazione, è molto sviluppata in altri Paesi della UE. Si tratta di soggetti privati e pubblici specializzati nei processi di mediazione grossolanamente esemplificabili dalla composizione degli interessi contrapposti fra Economia e Salute. Gli organismi di ricerca invece possono solo fornire un quadro realistico delle possibilità tecniche di realizzazione delle opere di bonifica con indicazioni delle soluzioni più sostenibili in termini economici e ambientali (rimozione, contenimento, remediation).
Massimo Moretti parla deI rischio amianto
Il sequestro del sito sul litorale nord di San Vito è stato determinato da evidenze scientifiche. Quali sono stati i principali elementi emersi dai suoi studi e in che misura hanno contribuito a supportare le decisioni amministrative, nonché a definire nuovi standard per la gestione dei rifiuti contenenti amianto?
Lo studio, pubblicato su una rivista internazionale ad alto impatto, ha attirato l’attenzione dell’audience internazionale perché il processo di sversamento in mare dei rifiuti contenenti amianto è diffusissimo, ma sinora nessuno studio scientifico specifico era stato realizzato.
Siamo riusciti a determinare la distribuzione dei materiali contenenti amianto su un areale costiero di alcuni chilometri descrivendone in modo quantitativo i processi di erosione-trasporto-deposito.
Abbiamo accuratamente stabilito la scansione temporale delle fasi di sversamento incontrollato in mare e la variazione nelle tipologie dei materiali abusivamente scaricati. Gli sversamenti dei MCA cominciano proprio a partire dal 1992 e continuano negli anni successivi.
L’area di sversamento di questi materiali, che si eleva circa tre metri al di sopra del livello del mare, è divenuta sorgente di inquinanti per le aree di spiaggia adiacenti grazie all’azione di erosione e trasporto delle onde. In circa venti anni si è formata una nuova spiaggia molto estesa costituita prevalentemente da frammenti di tali materiali antropici (tra i quali abbiamo riconosciuto MCA).
Le autorità locali hanno provveduto a sequestrare l’intero settore di litorale inquinato e a inibire l’accesso al sito. Per noi, aver evitato che anche una sola persona possa aver evitato di essere esposta all’amianto è fonte di enorme soddisfazione, una soddisfazione più tangibile e “umana” rispetto a una pubblicazione scientifica.
Un aiuto dalla tecnica
Alla luce del persistente fenomeno dell’accesso abusivo al sito, ritiene che soluzioni tecnologiche, come il monitoraggio digitale o l’implementazione di sistemi di allerta automatizzati, possano affiancare e rafforzare gli interventi normativi e amministrativi già messi in atto?
Trattandosi di un sito molto frequentato durante i mesi estivi e avendo accertato la presenza di MCA in stato friabile, il rischio di esposizione è molto alto e grave. Nonostante il sequestro e la delimitazione del sito con barriere fisiche (di anno in anno più alte e meno valicabili) e la presenza di abbondante cartellonistica di segnalazione del sito inquinato, ogni estate il sito è tornato a essere frequentato. L’unico modo per diminuire drasticamente l’esposizione all’amianto non può essere rappresentato da forme sempre più sofisticate di controllo degli accessi, ma occorre, invece, procedere quanto prima alla bonifica definitiva del sito.
La bonifica: una priorità ribadita dall’avv. Ezio Bonanni
Il tema della bonifica dell’amianto è stato più volte ribadito dall’avvocato Ezio Bonanni. «La bonifica è l’unico modo per tutelare i cittadini. Solo in questo modo è possibile vincere le malattie asbesto correlate, tra le quali il mesotelioma, i cui casi sono in continuo aumento».
Questo appello sottolinea l’urgenza di interventi immediati, che richiedono un impegno deciso da parte delle istituzioni e delle autorità competenti per prevenire ulteriori esposizioni e garantire la sicurezza delle future generazioni.
L’ONA offre supporto e assistenza alle vittime con un servizio gratuito sul sito e/o con il numero verde 800 034 294.