L’ILVA di Taranto è una delle pagine più buie del nostro Paese. L’inquinamento a Taranto ha causato tumori ed altre malattie. È un vero e proprio ILVA disastro ambientale. Sono ormai decenni che si continua ad inquinare, anche dopo il sequestro del sito industriale nel 2012. Questo a causa del falso problema della scelta tra tutela dell’ambiente e tutela del lavoro.
In realtà più volte i giudici hanno sottolineato come l’azienda abbia portato avanti soltanto l’idea del profitto, nonostante da tempo conoscesse i pericoli legati alla produzione dell’acciaio con quel tipo di processo e di attrezzature utilizzate.
L’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto da anni porta avanti questa battaglia, al fianco dei lavoratori dell’ILVA di Taranto, delle loro famiglie e dei tanti cittadini comunque esposti a diversi fattori inquinanti.
Già dal 2008 nasce un Comitato ONA Taranto che si rafforza nel 2016.
Riguardo la situazione ILVA di Taranto, l’Osservatorio e il suo presidente, l’avvocato Ezio Bonanni, portano avanti diversi procedimenti penali, ma anche una battaglia per la risoluzione del problema, con convegni e richieste al Governo per la tutela dei lavoratori.
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ILVA a Taranto, i numeri del disastro ambientale
I numeri di questa strage provocati dall’ILVA di Taranto sono spaventosi, specialmente per quanto riguarda il cancro.
Si registrano il 400% in più di casi di tumore tra i lavoratori impiegati nelle fonderie ILVA, ma anche il 50% di malattie tumorali in più anche tra gli impiegati dello stabilimento, esposti solo in modo indiretto. Inoltre, l’inquinamento ILVA Taranto ha determinato una elevata incidenza anche nella popolazione generale del numero dei casi di cancro.
Tant’è vero che si sono registrate molte neoplasie, anche tra i bambini, e casi di mesotelioma anche negli abitanti del rione Tamburi, attiguo allo stabilimento.
ILVA di Taranto e malattie asbesto correlate
I dati epidemiologici registrati dall’ONA sono allarmanti per quanto riguarda ILVA tumori dell’amianto. Infatti, i minerali di amianto sono cancerogeni, con dose dipendenza. Inoltre, non vi è una soglia al di sotto della quale il rischio si annulla. Quindi, anche esposizioni che si assumono poco elevate, per esempio quelle dei familiari, possono essere fatali.
Tant’è vero che, rispetto al numero complessivo di casi di mesotelioma della Regione Puglia, circa il 40% sono stati diagnosticati nella sola città di Taranto. Infatti, nel periodo tra 1993 e il 2015, i casi della città di Taranto, sono stati 472 su 1.191. Questo trend è stato confermato anche dal più recente VII Rapporto ReNaM dell’INAIL e dall’Avv. Ezio Bonanni: “Il libro bianco per le morti di amianto in Italia – ed. 2022”.
La strage tra lavoratori dell’ILVA di Taranto ed anche tra i cittadini, è stata provocata anche dalle malattie asbesto correlate. Tra queste ultime, oltre ai casi di mesotelioma, tra qui quello della pleura, anche tutte le altre malattie. In particolare, il tumore del polmone, della laringe, faringe, etc., ed altre patologie asbesto correlate.
La più elevata incidenza di malattie asbesto correlate si deve al fatto che, ancora oggi, le bonifiche amianto nell’ILVA di Taranto non sono state ultimate. Infatti, le ultime news ILVA Taranto confermano che lo smaltimento eternit è in ritardo e che questo, quindi, provoca inquinamento e tumori.
ILVA di Taranto e strage per tumore del polmone
In Puglia, sempre tra il 1993 e il 2021, si registrano 3.200 casi di cancro del polmone e almeno 2.800 decessi, causati da esposizione ad amianto. Questa incidenza è stata osservata in modo particolare nella città di Taranto. Se le fibre di amianto hanno inciso per tutta la Puglia con 6.000 decessi complessivi, il maggior numero è stato registrato proprio a Taranto.
La mappa del rischio ILVA di Taranto: epidemiologia
L’ONA, oltre ad aver mappato i siti a rischio con l’App Amianto, ha compiuto delle indagini epidemiologiche. La vigilanza ILVA Taranto ha permesso di accertare che l’inquinamento di Taranto, per fibre di asbesto ILVA, ha provocato non meno di 1.020 decessi, solo per cittadini di alcuni quartieri: Tamburi, Paolo VI, Città Vecchia-Borgo di Taranto. Il 68% diagnosticati in individui di sesso maschile e il restante 32% in quelli di sesso femminile
L’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto ha censito, tra i soli cittadini che si sono rivolti all’associazione:
- 360 casi di cancro polmonare e mesotelioma
- 85 tumori della vescica
- 316 broncopatie
- 201 asbestosi
Ultime su ILVA di Taranto: l’effetto dell’inquinamento
Le autorità competenti non fecero quello che dovevano: approfondire i motivi dell’alta incidentalità a Taranto di tumori e di altre malattie tra i lavoratori dell’ILVA e nei quartieri limitrofi all’azienda. Ciò mostrava un legame tra Taranto e l’inquinamento. In più, nel tempo, si è preferito continuare ad usare il carbone, che provoca inquinamento atmosferico.
La combustione del carbone provoca dei residui che causano, oltre al cancro, anche diversi tipi di pneumoconiosi che hanno degli effetti anche sul sistema cardiaco.
Furono due cittadini, un ex operaio dell’ILVA e un professore di lettere che, nel 2008, portarono a loro spese una forma di formaggio prodotta nella zona, a far analizzare. I risultati confermarono le paure di chi da tempo aveva capito gli effetti dell’inquinamento dell’ILVA di Taranto: era contaminato dalla diossina. Oltre 2000 pecore furono abbattute e partirono le prime denunce che portarono al processo “Ambiente svenduto”.
ILVA di Taranto e violazione della sicurezza sul lavoro
Fu proprio dalle prime indagini che fu confermato il rischio. Dalle analisi emerse l’esposizione a diversi cancerogeni tra cui ferro, ossidi di ferro, arsenico, piombo, vanadio, nichel e cromo. Presenti nell’aria anche molibdeno, nichel, piombo, rame, selenio, vanadio, zinco, platino, ossidi di zolfo e di azoto, in particolare NO2. Capitolo a parte merita l’utilizzo all’interno dell’azienda dell’amianto.
L’asbesto (altro nome dell’amianto), è una materiale molto pericoloso che causa infiammazioni e tumori, primo tra tutti il mesotelioma. La battaglia per l’eliminazione dell’amianto da edifici, scuole, ospedali, attraverso le bonifiche amianto, è quella sposata dall’ONA che assiste le vittime e le loro famiglie.
Le condizioni di lavoro, all’interno dell’ILVA, sono state descritte nella sezione ILVA di Taranto notizie, con l’intervista all’Avv. Gentile, già dipendente dell’ILVA.
Per questi motivi, vi è una specifica sezione, di questo giornale, definita ultime su ILVA di Taranto. Il fine è quello di garantire i diritti di lavoratori mai informati dei pericoli e neanche dotati di misure di protezione adeguate, con un’assistenza legale gratuita.
ILVA Taranto inquinamento colpisce i bambini
Il dramma dell’ILVA di Taranto non ha risparmiato i bambini. Anche loro sono stati colpiti duramente. A causa dell’inquinamento prodotto nelle acciaierie Taranto, infatti, nella città pugliese si registra un +54% di incidenza delle malattie tumorali nei bambini e un +21% di mortalità infantile (0 – 14 anni). Nei quartieri Tamburi e Paolo VI il dato è ancora più drammatico e risulta maggiore del 70% rispetto alla media della città.
Negli anni, per tutelare lo stabilimento ILVA Taranto, qualcuno ha pure tentato di spostare la colpa sui residenti, dicendo che il quartiere fosse stato costruito dopo la realizzazione del sito industriale. A parte la meschinità di certe dichiarazioni, sarebbero anche false. Come riporta “Il Fatto Quotidiano” il quartiere è nato 10 anni prima della fabbrica, su una collina che era nota per la salubrità dell’aria.
Ultime notizie ILVA Taranto: editoriale
La nostra testata ha sempre seguito il dramma ambientale causato dallo stabilimento ILVA di Taranto e da ILVA inquinamento ambientale. In particolare ha parlato di ILVA Taranto news anche l’editoriale del Dott. Ruggero Alcanterini: “ILVA: da Taranto pessime notizie“.
L’autore illustra come l’illusorio beneficio messo in atto dalla Cassa per il Mezzogiorno abbia portato alla creazione del grande polo siderurgico, negli anni sessanta. In questo modo si è distrutta la vocazione turistica e si è provocata una grave crisi epidemiologica, oltre che economica e sociale, causando ILVA Taranto notizie.
Ciò che bisognava auspicare per l’area era, invece, la salvaguardia dei valori culturali e ambientali e la difesa di una straordinaria civiltà, elementi per un reale sviluppo.
ILVA di Taranto, il processo “Ambiente svenduto”
Il processo Ambiente svenduto Taranto inizia nel 2016, dopo che il primo procedimento fu annullato. La vicenda giudiziaria partì, però, nel 2012, quando il gip Patrizia Todisco sequestrò i sei impianti a caldo, dopo le indagini della Procura partite da un pezzo di formaggio. Fu il Tribunale del Riesame a confermare il sequestro, ma a concedere l’uso ai Riva, che quindi continuarono a produrre acciaio con gli stesi sistemi di sempre.
Secondo l’accusa le emissioni avrebbero generato nei lavoratori e nella popolazione limitrofa al sito industriale “malattie e morte”. Sia i terreni che gli animali, secondo le indagini, come denunciato diversi anni prima dall’associazione ambientalista Peacelink, sarebbe contaminato da diossina e non solo.
Processo “Ambiente svenduto”, la sentenza
La sentenza arrivò 9 anni più tardi. I vertici dell’ILVA sono stati condannati per disastro ambientale. La Corte d’Assise di Taranto ha condannato Fabio Riva a 22 anni di carcere e Nicola Riva a 20 anni. Tra i 47 imputati c’è anche Nichi Vendola, che è stato condannato a 3 anni e mezzo di reclusione. Secondo l’accusa avrebbe fatto pressione sull’Arpa Puglia, perché ammorbidisse i danni causati dalle emissioni.
ONA parte civile nel processo ILVA ter
A carico dei vertici dell’ex ILVA, ora Acciaierie d’Italia, ci sono altri due procedimenti in corso.
Nell’ottobre del 2019 nella prima udienza del processo ILVA ter si conferma la costituzione di parte civile dell’ONA. Sul banco degli imputati siedono dodici ex dirigenti dell’acciaieria più grande d’Europa per l’omicidio colposo di tre lavoratori (morti per mesotelioma) e per lesioni colpose di un altro lavoratore.
“L’ONA – ha dichiarato l’avvocato Bonanni – si è costituito parte civile nel procedimento penale al fine di sostenere la pubblica accusa nelle istanze di giustizia e anche per il risarcimento dei danni subiti prima di tutto dalle vittime e dai loro familiari. L’amianto e le altre sostanze tossico-nocive hanno causato l’insorgenza di mesotelioma, tumore del polmone e di altre patologie asbesto correlate. Questi danni debbono essere risarciti, sia quelli della vittima primaria, sia quelli dei loro familiari“.
Le richieste dell’ONA ai vertici dell’ex ILVA
L’ONA, oltre a fornire news ILVA di Taranto, ha richiesto la tutela preventiva, la bonifica e la rimozione dell’amianto e altri cancerogeni presenti all’interno dello stabilimento. Ha avanzato l’ipotesi di una responsabilità in solido degli apparati pubblici, non solo perché l’impianto è stato designato dallo Stato ma anche perché vi fu un difetto di vigilanza, cioè una certa accondiscendenza rispetto a coloro che si rendono responsabili della violazione delle norme di sicurezza in materia di amianto e di altri cancerogeni.
Ex ILVA, gli impianti a caldo continueranno a funzionare
Lo spegnimento degli impianti a caldo è stata bocciato dal Consiglio di Stato il 23 giugno 2021, ribaltando la sentenza del Tar di Lecce.
Per i giudici di Appello non è stato riscontrato “un pericolo ‘ulteriore’ rispetto a quello ordinariamente collegato allo svolgimento dell’attività industriale […] pur senza negare la grave situazione ambientale e sanitaria da tempo esistente nella città di Taranto – hanno sottolineato i giudici del Consiglio di Stato – già al centro di vicende giudiziarie penali e di una sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti Umani, relativa però alla precedente gestione dello stabilimento, rispetto alla quale le misure intraprese negli ultimi anni hanno segnato “una linea di discontinuità”.
“Nonostante questo – ha dichiarato l’avvocato Ezio Bonanni – come avvocato delle vittime amianto e presidente dell’ONA credo che al di là di tutto sia inconcepibile che, ad oggi, ci siano ancora tonnellate e tonnellate di amianto all’interno dell’ex stabilimento ILVA. Il Ministero del Lavoro deve intervenire”.
L’ONA da tempo sollecita il Ministero del Lavoro, la Presidenza del Consiglio e lo stesso ministro della Transizione ecologica, a provvedere alla bonifica e messa in sicurezza del sito.
La denuncia dello SLAI COBAS sulla cassaintegrazione
I primi giorni di aprile 2022 il sindacato SLAI COBAS ha denunciato l’impiego della cassaintegrazione permanente per “realizzare esuberi”. “I complessivi 3000 lavoratori che dal 28 marzo l’azienda ha posto unilateralmente in cassintegrazione al di là delle promesse aziendali – si legge nella nota inviata alla stampa – tutti sanno che non saranno solo per 12 mesi, ma almeno fino al 2025 (data attualmente indicata per la ristrutturazione dell’azienda). Ma soprattutto questi 3000 o poco meno sono di fatto i numeri di operai di cui Acciaierie d’Italia vuole liberarsi soprattutto a Taranto”.
Il sindacato pone l’accento poi sull’aumento della produzione in un sito tanto discusso che è già stato sequestrato: “Attualmente i livelli produttivi a Taranto sono tarati per 4 milioni di tonnellate, poi c’è stato il via libera del governo ad aumentare la produzione per far fronte alla carenza di acciaio, con la rimessa in funzione dell’Afo4, per andare verso i 6 milioni di tonnellate. Questo aumento di produzione avrebbe dovuto portare a un rientro dei 1700 operai già in Cigs, invece si mettono in cigs ulteriori 2500 operai a Taranto. E nelle parole della Morselli alla trattativa romana di lunedì 28, un ipotetico rientro viene nuovamente rinviato legandolo alla prospettiva di produzione di 8 milioni di tonnellate, con l’entrata in funzione del forno elettrico tutto lì da venire”.
“Questo significa chiaramente che buona parte dei lavoratori cassintegrati – hanno concluso dal sindacato – ora diventeranno esuberi. Significa più produzione con meno operai, con più sfruttamento nello stabilimento e con più rischio per la salute. Mentre i piani di aumento della produzione ci sono, i piani di messa in sicurezza, anche di manutenzione degli impianti no e incidenti e infortuni sono sempre all’ordine del giorno. Sono evidenti anche gli effetti del conseguente peggioramento delle condizioni ambientali da inquinamento ILVA a Taranto”.
Inquinamento ILVA di Taranto: impegno dell’ONA
In questi anni l’ONA si è speso in tanti modi, restando sempre accanto ai dipendenti e alle famiglie di Taranto, sia per quanto riguarda l’aspetto sanitario, sia quello lavorativo. Tante volte ha chiesto il prepensionamento per chi era impiegato all’ILVA di Taranto e il sostegno sanitario.
L’Osservatorio ha chiesto anche al Ministro Di Maio il prolungamento dei benefici amianto, utili per il prepensionamento, dal 2 ottobre 2003 ad oggi, ed in ogni caso per ottenere la bonifica.
“La nostra battaglia – ha detto l’avvocato Bonanni – vuole evitare che 2.500 operai, alcuni dei quali già affetti da patologie asbesto correlate, siano privati del lavoro e della dignità. È dimostrato che l’amianto in ILVA è presente ancora oggi ed è giusto che i lavoratori siano collocati in prepensionamento immediato”.
Il convegno ONA a Taranto del 27 novembre 2021
Per affrontare l’annoso problema dell’ILVA di Taranto l’ONA, insieme all’USB, ha organizzato anche un convegno nella città lo scorso anno.
“E’ necessario – ha spiegato l’avvocato Ezio Bonanni in quella occasione – un diverso approccio da parte delle istituzioni. Questi problemi non possono essere risolti solo con le azioni giudiziarie repressive di reati. È indispensabile mettere in pratica il concetto di prevenzione primaria che, attraverso la bonifica, restituisca dignità ai territori sfregiati da una cultura che ha privilegiato il profitto alla vita umana”.
“Il territorio, quello ionico – ha aggiunto Francesco Rizzo, della segreteria nazionale USB – è purtroppo interessato in maniera importante dalla presenza dell’amianto. Solo all’interno dello stabilimento siderurgico si contano ancora ben 4.000 tonnellate della sostanza, molto pericolosa per la salute. Altrettanto preoccupante la situazione all’interno dell’Arsenale”.
“Da molti decenni i lavoratori dell’industria, a Taranto ILVA e altre altrove, sono stati lasciati soli ad affrontare le gravi crisi globali – ha dichiarato il professor Gaetano Veneto, Ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Bari -. L’internazionalizzazione di aziende del settore meccanico – siderurgico, dalla Fiat alla Italsider, o del trasporto aereo, ha causato processi di emarginazione, ignorando la ricaduta sul lavoro. Quest’ultima si amplifica dal vuoto di rappresentanza della politica, con decisioni prese senza alcun progetto globale, talvolta perfino lasciando adito a gravi sospetti”.
ILVA di Taranto storia dell’azienda
L’ILVA, ora Acciaierie d’Italia S.p.A., è costituita da Am InvestCo Italy e Invitalia. Il complesso industriale di Taranto è il più grande in Europa per la produzione di acciaio. L’attuale assetto societario è il risultato di molte trasformazioni societarie. Infatti, nel 1989, l’ILVA nasce dall’ITALSIDER.
L’ILVA in Italia, dal 1 novembre 2018, entra a far parte del complesso franco-lussemburghese ArcelorMittal, fino al subentro della nuova Am InvestCo Italy.
La prima ha assunto la ragione sociale di Acciaierie d’Italia Holding, mentre ArcelorMittal Italia ha la ragione sociale di Acciaierie d’Italia.
L’ITALSIDER nacque all’inizio del 900, nel nord Italia, con la costruzione ITALSIDER Taranto di alcuni stabilimenti di acciaierie.
Nel corso della prima guerra mondiale, l’ILVA ha acquisito altre aziende della cantieristica navale ed aerea. Solo che la società si è indebitata, con gravi conseguenze finanziarie.
Con l’IRI, la società passò in mano pubblica costituendo gli stabilimenti di Genova – Cornigliano e quello di Bagnoli – Napoli. Successivamente, dopo il periodo della seconda guerra mondiale, grazie al boom economico italiano, anche l’ILVA crebbe ed nacque lo stabilimento di Taranto, inaugurato il 10 aprile 1965.
Negli anni ’80 entrò in crisi e nel 1983 subì una liquidazione, con la costituzione della “Nuova Italsider”.
Nella ristrutturazione, lo stabilimento di Italsider Taranto cambiò denominazione e divenne ILVA, che assorbì anche FINSIDER. Nel 1995, la famiglia Riva rilevò l’ILVA, dandole questo nome, nel 1995.
Acciaierie d’Italia contesta valutazione danno sanitario
Il 2022 non inizia con buone notizie per chi sta cercando di liberare un territorio da agenti inquinanti che lo hanno martoriato. I consulenti di Acciaierie d’Italia hanno trasmesso una relazione al Ministero della Transizione Ecologica nella quale contestano la valutazione di danno sanitario. Nello studio mettono in evidenza quelli che sono, dal loro punto di vista, i limiti della valutazione del danno sanitario.
Una norma inserita dal governo Draghi nel decreto Milleproroghe permetterebbe inoltre di utilizzare i fondi sequestrati alla famiglia Riva non solo per “risanamento e la bonifica ambientale dei siti”. Questo consentirebbe ad Acciaierie d’Italia di continuare a produrre acciaio e restare in vita puntando alla decarbonizzazione.
L’ultima parola spetta all’Unione Europea, ma a Taranto la norma suona come l’ultimo tradimento.
Il Governo avrebbe dovuto utilizzare quei fondi, che provengono dal sequestro di oltre un miliardo di euro ai vertici dell’azienda, esclusivamente alla bonifica del territorio. Così, qualcuno suggerisce, sarebbero invece un aiuto di Stato alle Acciaierie d’Italia. Su questo il dibattito, anche all’interno dell’Unione europea sarà acceso.
Ora, con l’insediamento del governo Meloni (22 ottobre 2022), bisogna capire quale sarà l’orientamento in questo senso. Nell’ultima bozza di manovra del governo Meloni c’è un nuovo aiuto all’ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia. L’articolo 7, tra altre cose, istituisce “un Fondo con una dotazione di 650 milioni di euro per l’anno 2023, da destinare al contenimento delle conseguenze derivanti agli utenti finali dagli aumenti dei prezzi nel settore del gas naturale”. Sarebbe in corso, invece, una trattativa sui 2 miliardi stanziati da Draghi e non ancora arrivati alla società.
La Cedu condanna per la quarta volta l’Italia
La Cedu, Corte europea dei diritti dell’uomo, il 5 maggio 2022 si è espressa condannando di nuovo lo Stato italiano per inadempimento sull’Ilva. Nella riunione di marzo l’Italia non avrebbe infatti fornito informazioni specifiche sull’attuazione efficace del piano ambientale.
La Cedu ha ricordato come già in passato era stato evidenziato dai magistrati “il prolungarsi di una situazione di inquinamento ambientale” che mette “in pericolo la salute dei ricorrenti e, più in generale, quella dell’intera popolazione residente nelle aree a rischio”. Insomma, rispetto a 4 anni fa, nulla è cambiato e l’azienda continua ad essere un pericolo per i cittadini.
Contro questa ipotesi si batte il M5s e in particolare il senatore pentastellato Mario Turco. Per approfondire leggi l’articolo al seguente link.
ILVA di Taranto tutela legale e risarcimento dei danni
Questo vero e proprio disastro ambientale è, tutt’ora, in corso e, purtroppo, si protrarrà per i prossimi decenni. Ciò perché vi è un sostanziale ritardo nella bonifiche e, quindi, le esposizioni stanno proseguendo. Inoltre, si dovrà tener conto dei tempi di latenza. Per tali motivi, si prevede che si continueranno a registrare casi, anche dopo circa 40 anni, dalla fine delle bonifiche. La città di Taranto è, quindi, condannata.
Per questi motivi, l’ONA ha, a più riprese, chiesto la conversione della produzione con la sostituzione del carbone, altamente inquinante. In più, di provvedere allo smaltimento eternit ancora presente nell’ILVA di Taranto e all’utilizzo di materiali non inquinanti.
ILVA di Taranto e prevenzione primaria
L’unico strumento per poter invertire questa rotta che sta portando al disastro irreversibile è quello della prevenzione. Prima di tutto la prevenzione primaria, che si sostanzia nell’evitare ogni forma di esposizione cancerogena.
Inoltre, vanno ripensate anche le logiche urbanistiche ed abitative. Occorre, infatti, pensare di dotare i cittadini dei quartieri contaminati, di abitazioni salubri in altri territori, distanti dall’ILVA.
Infatti, le zone limitrofe allo stabilimento rimarranno altamente contaminate e lo saranno in modo proporzionale alla distanza della fonte inquinante. In più, occorre una nuova politica di igiene, riferita anche ad altre situazioni, come quella dell’Arsenale Militare.
Infatti, la città di Taranto paga un ulteriore ed elevato tributo all’uso dell’amianto nell’Arsenale e nelle unità navali della Marina. In buona sostanza, la città di Taranto è martoriata dall’amianto ed è il nuovo epicentro delle malattie asbesto correlate.
Ulteriore strumento di prevenzione, indispensabile, è quello del prepensionamento amianto di tutti i lavoratori dell’ILVA. Infatti, il collocamento in pensione di questi lavoratori, evita ulteriori esposizioni e, quindi, l’aumento del rischio. Infatti, le malattie asbesto correlate sono dose dipendenti.
Se si fa riferimento al tumore del polmone, che è multifattoriale, con altri agenti presenti nello stabilimento, a maggior ragione, il prepensionamento è fondamentale.
Come riportato in più occasioni, nelle ultime su ILVA di Taranto il numero dipendenti di ILVA Taranto è stato molto elevato e solo pochi sono in pensione.
ILVA di Taranto prevenzione secondaria
La situazione allarmante è dovuta all’inquinamento di Taranto, oltre all’esposizione dei singoli dipendenti. Per questo, è necessario, intanto, sottoporre tutti gli ex operai ILVA di Taranto, a sorveglianza sanitaria amianto. In più, anche screening nella popolazione generale per permettere la diagnosi precoce delle malattie.
Inoltre occorre potenziare la sanità pubblica pugliese ed, in particolare, le strutture ospedaliere di Taranto, a maggior ragione in questo periodo di Covid-19.
Una nuova politica di prevenzione secondaria è fondamentale. Infatti, molte neoplasie, come i cancri del polmone, se diagnosticati in tempo, hanno un più elevato indice di sopravvivenza.
La prevenzione secondaria è, dunque, importante, al pari di quella primaria e non meno della prevenzione terziaria.
La prevenzione terziaria per il rischio ILVA di Taranto
Un ulteriore profilo di tutela è quello della prevenzione terziaria che presuppone la valorizzazione del dato epidemiologico e della tutela previdenziale e risarcitoria.
Infatti, l’epidemiologia permette di rendere oggettivo il quadro e di dimostrare il c.d. disastro ambientale. Non tanto e non solo in sede penalistica (art. 434 c.p.), quanto, piuttosto, in chiave di tutela della salute pubblica. Perciò, proprio questa strage ancora in corso, ha fatto emergere la necessità di tutelare la salute, anche come bene collettivo. Infatti, recita l’art. 32 della Costituzione Italiana, che non è in contrasto con il diritto al lavoro, anch’esso tutelato nell’art. 4 della stessa Carta Fondamentale.
Come più volte chiarito dall’Avv. Ezio Bonanni, non vi è alcun contrasto tra il diritto al lavoro ed il diritto alla salute. Quello agitato dagli ex proprietari dell’ILVA di Taranto è, quindi, un falso dilemma. Non si può obbligare a scegliere tra morire di lavoro e morire di fame. Questa condizione ricattatoria è stata più volte denunciata dall’ONA. Per questi motivi sono in corso diverse azioni giudiziarie a tutela dei dipendenti ILVA Taranto e dei cittadini.
Malattie professionali ed indennizzo INAIL
L’ONA assiste tutte le vittime di malattia professionale per la liquidazione di quanto dovuto. Infatti chi è stato esposto ad amianto sul luogo di lavoro ha diritto all’indennizzo INAIL.
In base al grado invalidante riconosciuto si ha diritto a diverse prestazioni:
- se è inferiore al 6% non sussiste il diritto all’indennizzo INAIL, perciò il risarcimento malattia professionale è totalmente a carico del datore di lavoro;
- tra il 6 e il 15% l’INAIL indennizza il danno biologico, mentre tutte le altre componenti sono risarcite dal datore di lavoro;
- dal 16% la vittima ha diritto alla rendita INAIL, che prevede l’indennizzo del danno biologico e del danno patrimoniale per diminuite capacità di lavoro.
Diritto al prepensionamento per le vittime
Le vittime di malattie asbesto correlate di origini professionali hanno diritto ai benefici contributivi (ex art. 13, co. 7, L. 257/1992). Grazie alla maggiorazione contributiva, pari al 50% del periodo di esposizione, si può accedere al prepensionamento. Se si è già in pensione, invece, si avrà diritto alla rivalutazione pensionistica, utilizzando sempre il coefficiente 1,5.
Infine, chi, nonostante l’accredito contributivo, non raggiunga il diritto alla pensione, può fare domanda per la pensione inabilità amianto.
Tutela vittime ILVA di Taranto: risarcimento dei danni
Tutti coloro che hanno subito dei danni debbono essere integralmente risarciti. Così, prima di tutto, le maestranze ILVA, cioè coloro che hanno subito danni alla salute, devono essere risarcite. Infatti, sono dimostrate le violazioni dell’art. 2087 del Codice Civile e delle altre norme sulla sicurezza sul lavoro.
In questo modo, si sono verificate esposizioni cancerogene che, di per sè, sono dannose. Questo aspetto è stato confermato dalla stessa Corte di Cassazione, IV Sez. Penale, 45935/2019. Infatti, le decisioni della Corte di Appello di Lecce, nel processo ILVA è stato dimostrato che la sola esposizione è, comunque, dannosa per la salute.
Tutti coloro che hanno subito dei danni biologici per infermità occupazionali hanno diritto al risarcimento dei danni. Infatti, l’INAIL indennizza solo il danno biologico e quello da minori capacità lavorative. Sussiste, quindi, il diritto al risarcimento dei danni differenziali e complementari, defalcando l’indennizzo per poste omogenee.
ILVA di Taranto e indennizzo per esposizione ambientali
Anche le vittime ambientali, cioè per esposizione domestiche e per l’inquinamento, hanno diritto al risarcimento ILVA.
Intanto, in caso di mesotelioma, possono accedere all’una tantum del Fondo Vittime Amianto. Poi, si possono costituire parte civile nei diversi procedimenti ancora in istruttoria. Quello della tutela giuridica di queste vittime è una delle finalità dell’ONA.
Consulenza legale gratuita: il ruolo dell’ONA
Oltre a informare i lavoratori vittima di esposizione ad agenti cancerogeni sul luogo di lavoro di ultime notizie su ILVA di Taranto, per loro è possibile rivolgersi al servizio di consulenza legale gratuita messa a disposizione dall’ONA e dall’Avvocato Bonanni.
È possibile richiedere maggiori informazioni chiamando il numero verde o compilando il form.