Il disastro ambientale dell’ILVA di Taranto

L’ILVA di Taranto è una delle pagine più buie del nostro Paese. L’inquinamento a Taranto ha causato tumori ed altre malattie. È un vero e proprio ILVA disastro ambientale. Sono ormai decenni che si continua ad inquinare, anche dopo il sequestro del sito industriale nel 2012. Questo a causa del falso problema della scelta tra tutela dell’ambiente e tutela del lavoro.

In realtà più volte i giudici hanno sottolineato come l’azienda abbia portato avanti soltanto l’idea del profitto, nonostante da tempo conoscesse i pericoli legati alla produzione dell’acciaio con quel tipo di processo e di attrezzature utilizzate.

L’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto da anni porta avanti questa battaglia, al fianco dei lavoratori dell’ILVA di Taranto, delle loro famiglie e dei tanti cittadini comunque esposti a diversi fattori inquinanti.

Già dal 2008 nasce un Comitato ONA Taranto che si rafforza nel 2016.

Riguardo la situazione ILVA di Taranto, l’Osservatorio e il suo presidente, l’avvocato Ezio Bonanni, portano avanti diversi procedimenti penali, ma anche una battaglia per la risoluzione del problema, con convegni e richieste al Governo per la tutela dei lavoratori.

consulenza ILVA di Taranto
Indice dei contenuti

  • Danni ambientali e alla salute dei lavoratori e cittadini

  • Processo Ilva Taranto

  • Le iniziative ONA

  • ILVA Taranto storia

  • Tempo di lettura:11 minuti

    ILVA a Taranto, i numeri del disastro ambientale

    I numeri di questa strage provocati dall’ILVA di Taranto sono spaventosi, specialmente per quanto riguarda il cancro.

    Si registrano il 40% in più di casi di tumore tra i lavoratori impiegati nelle fonderie ILVA, ma anche il 50% di malattie tumorali in più anche tra gli impiegati dello stabilimento, esposti solo in modo indiretto. Inoltre, l’inquinamento ILVA Taranto ha determinato una elevata incidenza anche nella popolazione generale del numero dei casi di cancro.

    Tant’è vero che si sono registrate molte neoplasie, anche tra i bambini, e casi di mesotelioma anche negli abitanti del rione Tamburi, attiguo allo stabilimento.

    ILVA di Taranto e le malattie asbesto correlate

    I dati epidemiologici registrati dall’ONA per quanto riguarda i tumori dell’amianto registrati nello stabilimento ILVA sono allarmanti. L’amianto è un minerale altamente cancerogeni, oltre a essere dose dipendente. Nonostante, infatti, siano stati definiti nei limiti di soglia non esiste un vero e proprio valore di concentrazione di fibre di asbesto al di sotto del quale il rischio morbigeno si annulla. Attualmente, anche con la nuova direttiva europea la soglia limite è stata diminuita a 10 ff/ll nei luoghi al chiuso e 0,2 ff/ll in luoghi aperti. Proprio per la sua elevata caratteristica cancerogena, l’esposizione all’asbesto si può rivelare fatale anche per i familiari della vittima esposta.

    Quella della zona di Taranto è una situazione singolare. Infatti, solo nella città dove è sorto lo stabilimento ILVA è stata registrata una percentuale di mesoteliomi pari al 40% dell’intera Regione Puglia. Questi dati sono stati confermati anche dal più recente VII Rapporto ReNaM dell’INAIL e dall’Avv. Ezio Bonanni: “Il libro bianco per le morti di amianto in Italia – ed. 2022”.

    Non solo mesoteliomi, la strage dei lavoratori dell’ILVA di Taranto è avvenuta anche per un’epidemia di altre malattie asbesto correlate. Tra le patologie che si sono maggiormente diffuse anche il tumore del polmone, della laringe, faringe, etc., ed altre patologie amianto correlate. Il dato spaventoso è che ancora oggi l’incidenza di tali malattia è elevata. Questo perché le bonifiche dello stabilimento industriale non sono state ancora portate a termine. Lo smaltimento dei materiali cancerogeni è tutt’oggi in corso, provocando quindi inquinamento, e una maggiore incidenza di tumori a Taranto.

    La mappa del rischio ILVA di Taranto: epidemiologia

    L’ONA, oltre ad aver mappato i siti a rischio con l’App Amianto, ha compiuto delle indagini epidemiologiche. La vigilanza ILVA Taranto ha permesso di accertare che l’inquinamento di Taranto, per fibre di asbesto ILVA, ha provocato non meno di 1.020 decessi, solo per cittadini di alcuni quartieri: Tamburi, Paolo VI, Città Vecchia-Borgo di Taranto. Il 68% diagnosticati in individui di sesso maschile e il restante 32% in quelli di sesso femminile

    L’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto ha censito, tra i soli cittadini che si sono rivolti all’associazione:

    • 360 casi di cancro polmonare e mesotelioma
    • 85 tumori della vescica
    • 316 broncopatie
    • 201 asbestosi

    Ultime su ILVA di Taranto: l’effetto dell’inquinamento

    Le autorità competenti non fecero quello che dovevano: approfondire i motivi dell’alta incidentalità a Taranto di tumori e di altre malattie tra i lavoratori dell’ILVA e nei quartieri limitrofi all’azienda. Ciò mostrava un legame tra Taranto e l’inquinamento. In più, nel tempo, si è preferito continuare ad usare il carbone, che provoca inquinamento atmosferico.

    La combustione del carbone provoca dei residui che causano, oltre al cancro, anche diversi tipi di pneumoconiosi che hanno degli effetti anche sul sistema cardiaco.

    Furono due cittadini, un ex operaio dell’ILVA e un professore di lettere che, nel 2008, portarono a loro spese una forma di formaggio prodotta nella zona, a far analizzare. I risultati confermarono le paure di chi da tempo aveva capito gli effetti dell’inquinamento dell’ILVA di Taranto: era contaminato dalla diossina. Oltre 2000 pecore furono abbattute e partirono le prime denunce che portarono al processo “Ambiente svenduto”.

    ILVA di Taranto e violazione della sicurezza sul lavoro

    Fu proprio dalle prime indagini che fu confermato il rischio. Dalle analisi emerse l’esposizione a diversi cancerogeni tra cui ferro, ossidi di ferro, arsenico, piombo, vanadio, nichel e cromo. Presenti nell’aria anche molibdeno, nichel, piombo, rame, selenio, vanadio, zinco, platino, ossidi di zolfo e di azoto, in particolare NO2. Capitolo a parte merita l’utilizzo all’interno dell’azienda dell’amianto.

    L’asbesto (altro nome dell’amianto), è una materiale molto pericoloso che causa infiammazioni e tumori, primo tra tutti il mesotelioma. La battaglia per l’eliminazione dell’amianto da edifici, scuole, ospedali, attraverso le bonifiche amianto, è quella sposata dall’ONA che assiste le vittime e le loro famiglie.

    Le condizioni di lavoro, all’interno dell’ILVA, sono state descritte nella sezione ILVA di Taranto notizie, con l’intervista all’Avv. Gentile, già dipendente dell’ILVA.

    Per questi motivi, vi è una specifica sezione, di questo giornale, definita ultime su ILVA di Taranto. Il fine è quello di garantire i diritti di lavoratori mai informati dei pericoli e neanche dotati di misure di protezione adeguate, con un’assistenza legale gratuita.

    ILVA Taranto inquinamento colpisce i bambini

    Il dramma dell’ILVA di Taranto non ha risparmiato i bambini. Anche loro sono stati colpiti duramente. A causa dell’inquinamento prodotto nell’acciaieria di Taranto, così come dalle altre fabbriche, infatti, nella città pugliese si registra un +54% di incidenza delle malattie tumorali nei bambini e un +21% di mortalità infantile (0 – 14 anni). Nei quartieri Tamburi e Paolo VI il dato è ancora più drammatico e risulta maggiore del 70% rispetto alla media della città.

    Negli anni, per tutelare lo stabilimento ex Italsider Taranto, qualcuno ha pure tentato di spostare la colpa sui residenti, dicendo che il quartiere fosse stato costruito dopo la realizzazione del sito industriale. A parte la meschinità di certe dichiarazioni, sarebbero anche false. Come riporta “Il Fatto Quotidiano” il quartiere è nato 10 anni prima della fabbrica, su una collina che era nota per la salubrità dell’aria.

    Ultime notizie ILVA Taranto: editoriale

    La nostra testata ha sempre seguito il dramma ambientale causato dallo stabilimento ILVA di Taranto, oggi e allora, e da ILVA inquinamento ambientale. In particolare ha parlato di ILVA Taranto news anche l’editoriale del Dott. Ruggero Alcanterini: “ILVA: da Taranto pessime notizie“.

    L’autore illustra come l’illusorio beneficio messo in atto dalla Cassa per il Mezzogiorno abbia portato alla creazione del grande polo siderurgico, negli anni sessanta. In questo modo si è distrutta la vocazione turistica e si è provocata una grave crisi epidemiologica, oltre che economica e sociale, causando altresì grande inquinamento provocato dall’ILVA Taranto.

    Ciò che bisognava auspicare per l’area era, invece, la salvaguardia dei valori culturali e ambientali e la difesa di una straordinaria civiltà, elementi per un reale sviluppo.

    ILVA di Taranto, il processo “Ambiente svenduto”

    Il processo Ambiente svenduto Taranto è iniziato nel 2016, dopo che il primo procedimento fu annullato. La vicenda giudiziaria è partita, però, ancora nel 2012, quando il gip Patrizia Todisco ha sequestrato sei impianti a caldo, dopo le indagini della Procura partite da un pezzo di formaggio. Fu il Tribunale del Riesame a confermare il sequestro, ma a concedere l’uso ai Riva, che quindi continuarono a produrre acciaio con gli stesi sistemi di sempre.

    Secondo l’accusa le emissioni avrebbero generato, nei lavoratori e nella popolazione limitrofa al sito industriale, “malattie e morte“. Sia i terreni che gli animali, secondo le indagini – come denunciato diversi anni prima dall’associazione ambientalista Peacelink – sarebbe stato contaminato da diossina e non solo.

    La sentenza

    Ci sono voluti nove anni per ricevere una sentenza, quantomeno definitiva. I vertici dell’ILVA sono stati condannati per disastro ambientale. La Corte d’Assise di Taranto ha condannato i due principali responsabili, Fabio Riva e Nicola Riva, rispettivamente a 22 e 20 anni di carcere. Tra i 47 imputati compare anche il nominativo di Nichi Vendola. Quest’ultimo è stato accusato di aver fatto pressione sull’Arpa Puglia, per cercare di “coprire” i danni causati dall’emissioni dello stabilimento. La condanna ricevuta è stata di tre anni e mezzo di reclusione.

    ONA parte civile nel processo ILVA ter

    A carico dei vertici dell’ex ILVA, ora Acciaierie d’Italia, ci sono altri due procedimenti in corso.

    Nell’ottobre del 2019 nella prima udienza del processo ILVA ter si conferma la costituzione di parte civile dell’ONA. Sul banco degli imputati siedono dodici ex dirigenti dell’acciaieria più grande d’Europa per lomicidio colposo di tre lavoratori (morti per mesotelioma) e per lesioni colpose di un altro lavoratore.

    L’ONA – ha dichiarato l’avvocato Bonanni – si è costituito parte civile nel procedimento penale al fine di sostenere la pubblica accusa nelle istanze di giustizia e anche per il risarcimento dei danni subiti prima di tutto dalle vittime e dai loro familiari. L’amianto e le altre sostanze tossico-nocive hanno causato l’insorgenza di mesotelioma, tumore del polmone e di altre patologie asbesto correlate. Questi danni debbono essere risarciti, sia quelli della vittima primaria, sia quelli dei loro familiari.

    Le richieste dell’ONA

    L’ONA, proseguendo la battaglia contro l’amianto, segue da vicino gli ultimi avvicendamenti giuridici che riguardano l’ex ILVA di Taranto. Inoltre, l’associazione ha sollecitato i responsabili a provvedere a una tutela preventiva dei cittadini del capoluogo pugliese per frenare l’epidemia di patologie asbesto correlate. La bonifica, e quindi la completa rimozione dell’amianto, non è ancora stata portata a termine.

    Per tale motivo, l’ONA ha avanzato addirittura l’ipotesi di una responsabilità in solido degli apparati pubblici. Non solo perché l’impianto è stato designato dallo Stato ma anche perché vi fu un difetto di vigilanza. In particolare, sarebbe stata evidenziata una certa accondiscendenza rispetto a coloro che si rendono responsabili della violazione delle norme di sicurezza.

    Ex ILVA, gli impianti a caldo continueranno a funzionare

    Lo spegnimento degli impianti a caldo è stata bocciato dal Consiglio di Stato il 23 giugno 2021, ribaltando la sentenza del Tar di Lecce.

    Per i giudici di Appello non è stato riscontrato “un pericolo ‘ulteriore’ rispetto a quello ordinariamente collegato allo svolgimento dell’attività industriale […] pur senza negare la grave situazione ambientale e sanitaria da tempo esistente nella città di Taranto – hanno sottolineato i giudici del Consiglio di Stato – già al centro di vicende giudiziarie penali e di una sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti Umani, relativa però alla precedente gestione dello stabilimento, rispetto alla quale le misure intraprese negli ultimi anni hanno segnato ‘una linea di discontinuità’”.

    Nonostante questo – ha dichiarato l’avvocato Ezio Bonanni – come avvocato delle vittime amianto e presidente dell’ONA credo che al di là di tutto sia inconcepibile che, ad oggi, ci siano ancora tonnellate e tonnellate di amianto all’interno dell’ex stabilimento ILVA. Il Ministero del Lavoro deve intervenire”.

    L’ONA da tempo sollecita il Ministero del Lavoro, la Presidenza del Consiglio e lo stesso ministro della Transizione ecologica, a provvedere alla bonifica e messa in sicurezza del sito.

    La denuncia dello SLAI COBAS sulla cassaintegrazione

    I primi giorni di aprile 2022 il sindacato SLAI COBAS ha denunciato l’impiego della cassaintegrazione permanente per “realizzare esuberi”. “I complessivi 3000 lavoratori che dal 28 marzo l’azienda ha posto unilateralmente in cassintegrazione al di là delle promesse aziendali – si legge nella nota inviata alla stampa – tutti sanno che non saranno solo per 12 mesi, ma almeno fino al 2025 (data attualmente indicata per la ristrutturazione dell’azienda). Ma soprattutto questi 3000 o poco meno sono di fatto i numeri di operai di cui Acciaierie d’Italia vuole liberarsi soprattutto a Taranto”.

    Il sindacato pone l’accento poi sull’aumento della produzione in un sito tanto discusso che è già stato sequestrato: “Attualmente i livelli produttivi a Taranto sono tarati per 4 milioni di tonnellate, poi c’è stato il via libera del governo ad aumentare la produzione per far fronte alla carenza di acciaio, con la rimessa in funzione dell’Afo4, per andare verso i 6 milioni di tonnellate. Questo aumento di produzione avrebbe dovuto portare a un rientro dei 1700 operai già in Cigs, invece si mettono in cigs ulteriori 2500 operai a Taranto. E nelle parole della Morselli alla trattativa romana di lunedì 28, un ipotetico rientro viene nuovamente rinviato legandolo alla prospettiva di produzione di 8 milioni di tonnellate, con l’entrata in funzione del forno elettrico tutto lì da venire”.

    Questo significa chiaramente che buona parte dei lavoratori cassintegrati – hanno concluso dal sindacato – ora diventeranno esuberi. Significa più produzione con meno operai, con più sfruttamento nello stabilimento e con più rischio per la salute. Mentre i piani di aumento della produzione ci sono, i piani di messa in sicurezza, anche di manutenzione degli impianti no e incidenti e infortuni sono sempre all’ordine del giorno. Sono evidenti anche gli effetti del conseguente peggioramento delle condizioni ambientali da inquinamento ILVA a Taranto”.

    Inquinamento ILVA di Taranto: impegno dell’ONA

    In questi anni l’ONA si è speso in tanti modi, restando sempre accanto ai dipendenti e alle famiglie di Taranto, sia per quanto riguarda l’aspetto sanitario, sia quello lavorativo. Tante volte ha chiesto il prepensionamento per chi era impiegato all’ILVA di Taranto e il sostegno sanitario.

    L’Osservatorio ha chiesto anche al Ministro Di Maio il prolungamento dei benefici amianto, utili per il prepensionamento, dal 2 ottobre 2003 ad oggi, ed in ogni caso per ottenere la bonifica.

    “La nostra battaglia – ha detto l’avvocato Bonanni – vuole evitare che 2.500 operai, alcuni dei quali già affetti da patologie asbesto correlate, siano privati del lavoro e della dignità. È dimostrato che l’amianto in ILVA è presente ancora oggi ed è giusto che i lavoratori siano collocati in prepensionamento immediato”.

    Il convegno ONA a Taranto del 27 novembre 2021

    Per affrontare l’annoso problema dell’ILVA di Taranto l’ONA, insieme all’USB, ha organizzato anche un convegno nella città lo scorso anno.

    E’ necessario – ha spiegato l’avvocato Ezio Bonanni in quella occasione – un diverso approccio da parte delle istituzioni. Questi problemi non possono essere risolti solo con le azioni giudiziarie repressive di reati. È indispensabile mettere in pratica il concetto di prevenzione primaria che, attraverso la bonifica, restituisca dignità ai territori sfregiati da una cultura che ha privilegiato il profitto alla vita umana”.

    Il territorio, quello ionico – ha aggiunto Francesco Rizzo, della segreteria nazionale USB – è purtroppo interessato in maniera importante dalla presenza dell’amianto. Solo all’interno dello stabilimento siderurgico si contano ancora ben 4.000 tonnellate della sostanza, molto pericolosa per la salute. Altrettanto preoccupante la situazione all’interno dell’Arsenale”.

    Da molti decenni i lavoratori dell’industria, a Taranto ILVA e altre altrove, sono stati lasciati soli ad affrontare le gravi crisi globali – ha dichiarato il professor Gaetano Veneto, Ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Bari -. L’internazionalizzazione di aziende del settore meccanico – siderurgico, dalla Fiat alla Italsider, o del trasporto aereo, ha causato processi di emarginazione, ignorando la ricaduta sul lavoro. Quest’ultima si amplifica dal vuoto di rappresentanza della politica, con decisioni prese senza alcun progetto globale, talvolta perfino lasciando adito a gravi sospetti”.

    ILVA di Taranto: la storia dell’azienda

    L’ILVA è un grande stabilimento industriale, tra i maggiori poli dell’industria siderurgica italiana. All’inizio degli anni ‘900 il progetto di cui si parlava da anni, infatti, si è concretizzato, prendendo il nome di Italsider. Inizialmente la posizione scelta per la costruzione della fabbrica era quella della Toscana, precisamente nei pressi di Piombino, in provincia di Livorno. Si decise poi di optare, invece, per Taranto, generando quindi anche nuovi posti di lavoro e provando a tamponare la crisi che incombeva sul Mezzogiorno d’Italia.

    Nei primi anni di produzione, l’Italsider ha rappresentato una tra le maggiori aziende di cantieristica navale e aerea, specialmente nel corso della Prima Guerra Mondiale, inglobando al suo interno anche altre aziende. Ma ai primi problemi finanziari, a cui hanno fatto seguito diversi cambi di società, sono presto subentrate anche le diatribe con la giustizia italiana.

    Per le prime denunce è servito attendere fino al 2012, anche se gli effetti del disastro ambientale causato dall’ILVA erano visibili già negli anni precedenti. A seguito delle operazioni peritali al fine di fare una relazione chimica ed epidemiologica, è stato possibile inquadrare i proprietari della società come responsabili di un disastro ambientale. Oltre al danno all’ecosistema, i problemi si sono riversati anche sulla popolazione adiacente allo stabilimento, generando un’epidemia di neoplasia, che inizialmente non trovava una solida e concreta spiegazione.

    Oggi, il complesso ha preso la denominazione di Acciaierie d’Italia S.p.A., costituita da Am InvestCo Italy e Invitalia. Il complesso industriale di Taranto è il più grande in Europa per la produzione di acciaio. L’attuale assetto societario è il risultato di molte trasformazioni societarie. Tre le tante opere di ristrutturazione, lo stabilimento di Italsider di Taranto ha assunto anche la denominazione di ILVA, nominativo con il quale poi è stato conosciuto maggiormente a livello nazionale.

    Acciaierie d’Italia contesta valutazione danno sanitario

    Il 2022 non inizia con buone notizie per chi sta cercando di liberare un territorio da agenti inquinanti che lo hanno martoriato. I consulenti di Acciaierie d’Italia hanno trasmesso una relazione al Ministero della Transizione Ecologica nella quale contestano la valutazione di danno sanitario. Nello studio mettono in evidenza quelli che sono, dal loro punto di vista, i limiti della valutazione del danno sanitario.

    Una norma inserita dal governo Draghi nel decreto Milleproroghe permetterebbe inoltre di utilizzare i fondi sequestrati alla famiglia Riva non solo per “risanamento e la bonifica ambientale dei siti”. Questo consentirebbe ad Acciaierie d’Italia di continuare a produrre acciaio e restare in vita puntando alla decarbonizzazione.

    L’ultima parola spetta all’Unione Europea, ma a Taranto la norma suona come l’ultimo tradimento.

    Il Governo avrebbe dovuto utilizzare quei fondi, che provengono dal sequestro di oltre un miliardo di euro ai vertici dell’azienda, esclusivamente alla bonifica del territorio. Così, qualcuno suggerisce, sarebbero invece un aiuto di Stato alle Acciaierie d’Italia. Su questo il dibattito, anche all’interno dell’Unione europea sarà acceso.

    Momentaneamente, nemmeno il governo Meloni è riuscito a sistemare l’intera situazione. La Presidente del Consiglio pensa che l’industria siderugica possa avere ancora molte possibilità sul mercato europeo, per questo non nasconde i suoi ambiziosi obiettivi, che comprendono anche l’ex ILVA di Taranto. Al momento, diversi investitori, prima dal mercato indiano e adesso ucraino, hanno effettuato visite nello stabilimento di Taranto, ma senza generare ancora alcuna proposta concreta. Di certo, è una questione su cui ci sarà ancora molto da fare anche in futuro.

    La Cedu condanna un’altra volta l’Italia

    La Cedu, Corte europea dei diritti dell’uomo, nel 2022 si è espressa ulteriormente sulla questione dell’ex ILVA di Taranto e ha condannato lo Stato italiano, incolpandolo di inadempimento. Nemmeno nei più recenti consigli, infatti, l’Italia non avrebbe fornito informazioni specifiche sull’attuazione efficace di provvedimenti, innanzitutto, sul piano ambientale.

    Nonostante in passato i magistrati avessero evidenziato più volte come non intervenire sulla situazione generi una situazione di inquinamento maggiore, l’Italia ha continuato a non prendere alcuna posizione concreta sull’intera vicenda. La Cedu ha fatto leva proprio su questo atteggiamento, per riproporre la nuova condanna. L’azienda, purtroppo, continua ad essere un pericolo non solo per l’ambiente, ma anche per i cittadini del capoluogo pugliese.

    ILVA di Taranto tutela legale e risarcimento dei danni

    Purtroppo, il disastro ambientale non ha ancora trovato una concreta situazione. Anzi, i problemi si protrarranno per i prossimi decenni, a causa del mancato intervento. Tra le maggiori criticità, si evidenzia il palese ritardo nelle bonifiche, che causa il proseguimento delle esposizioni morbigene a sostanze cancerogene, per tutte le abitazioni e industrie che circondano la zona.

    Dovrà, inoltre, tenersi conto dei tempi di latenza, che proiettano l’epidemia di patologie asbesto correlate in tempi remoti. La città di Taranto, quindi, è condannata, almeno per i prossimi cinquant’anni.

    L’ONA ha tentato di tutelare i cittadini di Taranto, oltre agli stessi lavoratori industriali, chiedendo innanzitutto la conversione della produzione con la sostituzione del carbone. Inoltre, sarebbe stata avanzata la richiesta per accelerare i tempi di smaltimento dell’eternit, ancora presente nell’ILVA di Taranto e all’utilizzo di materiali non inquinanti. L’impegno dell’associazione non si è comunque arrestato e continua tutt’oggi per la tutela legale delle vittime del disastro ambientale, con il risarcimento di tutti i danni subiti.

    La prevenzione primaria

    L’unico strumento in grado di invertire la rotta ed evitare che il disastro diventi irreversibile è la prevenzione. Innanzitutto, è bene rispettare la prevenzione primaria, che consiste nell’evitare ogni forma di esposizione cancerogena. In tal senso, andrebbero rielaborate e pianificate anche le logiche urbanistiche e abitative.

    Bisogna considerare che l’inquinamento ambientale che giunge dall’industria arriva fino alle abitazioni circostanti. A questo punto, bisognerebbe pensare di dotare i cittadini di quartieri incontaminati e quindi di abitazioni salubri, anche collocandoli in altri territori distanti dall’ex ILVA.

    Inoltre, la città di Taranto è stata epicentro di un’epidemia di patologie asbesto correlate a causa della presenza dell’Arsenale Militare e delle unità navali della Marina Militare, colmi di amianto. Servirebbe, pertanto, una nuova politica di igiene.

    Il prepensionamento potrebbe essere sfruttato come strumento di prevenzione, per tutti i lavoratori dell’ex ILVA. Infatti, il collocamento in quiescenza eviterebbe ulteriori esposizioni agli ex dipendenti, con diminuzione del rischio di insorgenza di malattie, anche ad esito mortale.

    Sorveglianza sanitaria: la prevenzione secondaria

    Oltre alla prevenzione primaria, occorre prendere in considerazione altri interventi per porre rimedio alla situazione generale. In tal senso, risulta necessario anche rafforzare un programma di sorveglianza sanitaria, che peraltro è obbligatoria per legge nelle aziende a rischio, ma che potrebbe essere utile a delineare diagnosi precoci e contenere gli effetti dei cancerogeni inalati.

    Oltre a far eseguire tutti gli opportuni test agli ex operai, infatti, l’ONA pensa possa essere utile sottoporre l’intera città di Taranto a screening di massa per accelerare le diagnosi. Andrebbe, quindi, di conseguenza potenziato il sistema sanitario pubblico della Regione Puglia. Anche la prevenzione secondaria appare, quindi, fondamentale, in quanto, in alcuni casi, se la neoplasia viene diagnosticata in tempi ridotti, si ha maggiori chance di sopravvivenza, oltre a una migliore aspettativa di vita.

    La prevenzione terziaria per il rischio ILVA di Taranto

    Un ulteriore profilo di tutela, da tenere in considerazione, è quello della prevenzione terziaria. Quest’ultima presuppone la valorizzazione dei dati epidemiologici e della tutela previdenziale e risarcitoria.

    Infatti, attraverso i dati epidemiologici è possibile dimostrate oggettivamente il disastro ambientale. Non solo in sede penalistica (art. 434 c.p.), quanto, piuttosto, in chiave di tutela della salute pubblica. Quest’ultima intesa anche come bene collettivo. Al contrario di ciò che hanno dichiarato gli ex proprietari dell’ILVA durante il processo, infatti, non vi è alcun contrasto tra diritto al lavoro e diritto alla salute. Si tratta, quindi, di un falso dilemma: non si può scegliere se morire di lavoro oppure morire di fame.

    Malattie professionali e indennizzo INAIL

    L’ONA ricorda a tutti i suoi assistiti che qualora la propria patologia venga riconosciuta come malattia professionale, si accede all’indennizzo INAIL, a cui hanno diritto tutti coloro che hanno subito esposizione morbigena all’amianto. In base al grado di invalidità riconosciuti si avrà diritto a differenti prestazioni.

    Diritto al prepensionamento

    Le vittime di malattie asbesto correlate hanno diritto ai benefici contributivi, nei casi in cui l’origine di tali patologie è stata accertata di tipo professionale, come da ex art. 13, co. 7, L. 257/1992. In questo modo, grazie alla maggiorazione contributiva, pari al 50% del periodo di esposizione, si può accedere al diritto al prepensionamento.

    Anche per coloro già collocati in quiescenza e affetti da malattie amianto correlate è possibile una rivalutazione dell’importo del rateo pensionistico. Chi, invece, al di là dell’accredito contributivo non raggiunga in alcun modo i requisiti per il diritto alla pensione anticipata, potrebbe procedere con la domanda per la pensione di inabilità amianto.

    Risarcimento danni per le vittime dell’ex ILVA di Taranto

    Tutti coloro che hanno subito dei danni debbono essere integralmente risarciti. Così, prima di tutto, le maestranze ILVA, cioè coloro che hanno subito danni alla salute, devono essere risarcite. Infatti, sono dimostrate le violazioni dell’art. 2087 del Codice Civile e delle altre norme sulla sicurezza sul lavoro.

    In questo modo, si sono verificate esposizioni cancerogene che, di per sè, sono dannose. Questo aspetto è stato confermato dalla stessa Corte di Cassazione, IV Sez. Penale, 45935/2019. Infatti, le decisioni della Corte di Appello di Lecce, nel processo ILVA è stato dimostrato che la sola esposizione è, comunque, dannosa per la salute.

    Tutti coloro che hanno subito dei danni biologici per infermità occupazionali hanno diritto al risarcimento dei danni. Infatti, l’INAIL indennizza solo il danno biologico e quello da minori capacità lavorative. Sussiste, quindi, il diritto al risarcimento dei danni differenziali e complementari, defalcando l’indennizzo per poste omogenee.

    ILVA di Taranto e indennizzo per esposizione ambientali

    Anche le vittime ambientali, cioè per esposizione domestiche e per l’inquinamento, hanno diritto al risarcimento ILVA.

    Intanto, in caso di mesotelioma, possono accedere all’una tantum del Fondo Vittime Amianto. Poi, si possono costituire parte civile nei diversi procedimenti ancora in istruttoria. Quello della tutela giuridica di queste vittime è una delle finalità dell’ONA.

    Consulenza legale gratuita: il ruolo dell’ONA

    Oltre a informare i lavoratori vittima di esposizione ad agenti cancerogeni sul luogo di lavoro di ultime notizie su ILVA di Taranto, per loro è possibile rivolgersi al servizio di consulenza legale gratuita messa a disposizione dall’ONA e dall’Avvocato Bonanni.

    È possibile richiedere maggiori informazioni chiamando il numero verde o compilando il form.

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