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giovedì, Dicembre 12, 2024

Amianto: il Tribunale di Roma riconosce un maxi risarcimento per la famiglia di un operaio della raffineria di Napoli

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UNA SENTENZA ESEMPLARE ACCENDE I RIFLETTORI SULLA DRAMMATICA QUESTIONE DELL’ESPOSIZIONE ALL’AMIANTO NEL SETTORE PETROLCHIMICO. IL TRIBUNALE DI ROMA HA CONDANNATO LA KUWAIT PETROLEUM ITALIA, PROPRIETARIA DELLA RAFFINERIA DI NAPOLI (GIÀ MOBIL OIL ITALIANA), A RISARCIRE LA FAMIGLIA DI UN EX DIPENDENTE MORTO A 70 ANNI PER MESOTELIOMA PLEURICO, UN TUMORE STRETTAMENTE LEGATO ALL’INALAZIONE DELLE FIBRE DI ASBESTO. LA VICENDA RAPPRESENTA UN CASO EMBLEMATICO, E L’AVVOCATO EZIO BONANNI, PRESIDENTE DELL’OSSERVATORIO NAZIONALE AMIANTO (ONA), NE SOTTOLINEA L’IMPORTANZA PER IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI DELLE VITTIME E LA PREVENZIONE DEI RISCHI FUTURI

Amianto: una sentenza esemplare 

La vittima aveva respirato le fibre killer di amianto per ventidue anni

L’azienda Kuwait Petroleum Italia è stata ritenuta responsabile di gravi omissioni e imprudenze che hanno portato alla prolungata esposizione dell’operaio alle pericolose fibre di amianto. Il giudice ha stabilito un risarcimento complessivo di oltre 1,3 milioni di euro: 444.787 euro a titolo di indennizzo generale e circa 300mila euro ciascuno alla vedova e ai tre figli per i danni morali e biologici subiti.

L’uomo, per ventidue anni alle dipendenze della raffineria, aveva svolto ruoli operativi di grande rischio, dapprima come pompista e successivamente come conduttore di caldaie e impianti della centrale termoelettrica. Durante lo svolgimento delle sue mansioni, aveva respirato polveri e fibre di amianto in un ambiente lavorativo privo di adeguate misure di sicurezza, come accertato dalle indagini tecnico-legali. Non solo il contatto diretto con la fibra killer, ma anche l’esposizione indiretta e ambientale hanno contribuito alla sua malattia, un mesotelioma pleurico diagnosticato troppo tardi per essere arginato.

L’Osservatorio Nazionale Amianto in difesa delle vittime 

L’avvocato Ezio Bonanni, che ha seguito la causa a fianco della famiglia, ha dichiarato: «Si tratta di una importante pronuncia perché conferma il rischio amianto anche nel settore petrolchimico, che ha visto una elevata incidenza epidemiologica di casi di mesotelioma, tumore del polmone, della laringe e di tutti gli altri causati dall’amianto. Questo impone una accelerazione nella bonifica e messa in sicurezza del SIN relativo proprio a Napoli, come abbiamo più volte richiesto».

L’affermazione del presidente ONA è fondamentale per comprendere la portata del problema: il settore petrolchimico, spesso ignorato nel dibattito pubblico sull’asbesto, si rivela una delle aree più esposte. Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Amianto, il rischio è aggravato dall’assenza di un’efficace politica di bonifica nelle aree industriali storiche come Napoli.

Un problema che persiste: l’urgenza della bonifica

Questo caso non rappresenta un episodio isolato, ma è parte di una tragedia più ampia che coinvolge migliaia di lavoratori e famiglie. Nonostante la messa al bando dell’amianto in Italiano con la legge 257/1992, questo materiale continua a minacciare la salute pubblica, in particolare nei Siti di Interesse Nazionale (SIN) come quello di Napoli Est. Qui, l’inquinamento ambientale è amplificato dalla mancata bonifica di impianti industriali obsoleti.

Le richieste dell’Osservatorio Nazionale Amianto per una rapida messa in sicurezza della zona sono rimaste finora inascoltate. L’avvocato Bonanni, che da anni si batte per il risarcimento delle vittime e la prevenzione delle esposizioni future, ribadisce l’urgenza di un intervento deciso: «Ogni giorno di ritardo è una condanna per le generazioni presenti e future».

Una battaglia per il futuro

La sentenza del Tribunale di Roma rappresenta una conquista per la giustizia sociale e per le famiglie delle vittime, ma apre anche interrogativi sulla lentezza delle istituzioni nel contrastare l’emergenza amianto. Il caso della raffineria di Napoli evidenzia la necessità di un cambiamento sistemico che coinvolga non solo le aziende, ma anche le autorità locali e nazionali.

L’amianto, definito “fibra killer”, continua a mietere vittime, ma la sentenza offre una speranza: il riconoscimento della responsabilità può diventare il primo passo verso una società più giusta e sicura. 

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