NEL CUORE DEL COSIDDETTO “TRIANGOLO DELLA MORTE”, IL POLO PETROLCHIMICO ENICHEM DI PRIOLO-MELILLI-AUGUSTA, LA VITA DI SALVATORE PATANIA È STATA SEGNATA DA UNA LOTTA PER IL RICONOSCIMENTO DELLA GIUSTIZIA. IL LAVORATORE HA TRASCORSO QUINDICI ANNI NEL SETTORE METALMECCANICO, ESPONENDOSI INCONSAPEVLMENTE ALL’AMIANTO. DOPO DIECI ANNI DI BATTAGLIE LEGALI, CONTRO UN SISTEMA CHE TARDA A RICONOSCERE I DANNI CAUSATI DALLA PERICOLOSA ESPOSIZIONE, LA CORTE DI CASSAZIONE HA ACCOLTO IL RICORSO CONTRO L’INPS: INGIUSTO IL RIGETTO DEI BENEFICI CONTRIBUTIVI
Il caso Patania: dieci anni di lotte
Il caso, speculare a quello di Calogero Vicario e di altri lavoratori delle Industrie Meccaniche Siciliane, è quello di Salvatore Patania, operaio montatore impiegato al Polo Petrolchimico Enichem di Priolo Gargallo nel siracusano. Nello specifico, l’uomo aveva prestato servizio alle dipendenze di Siciltecnica Srl per 14 anni e di C.L.A.I Srl per un anno. Le mansioni svolte lo avevano portato a stretto contatto con fibre e polveri di amianto ma non era consapevole dei rischi.
Ad informarlo circa l’esposizione alla fibra killer, per altro dopo essere andato in pensione, i responsabili RSU del’azienda. Nel frattempo l’uomo, aveva ricevuto una diagnosi di “nodulità polmonare”. Cosa che confermava appunto i danni da asbesto.
Da qui, la richiesta dei benefici contributivi per esposizione amianto all’INAIL di Siracusa. L’ente tuttavia, pur riconoscendo l’esposizione, aveva respinto la domanda, come pure aveva deciso l’INPS, perché, secondo gli istituti, l’esposizione risultava inferiore ai dieci anni previsti dalla legge.
In tribunale, invece, il CTU (Consulente Tecnico di Ufficio) aveva accertato che Patania fu esposto effettivamente per un periodo di 14 anni e, quindi, avrebbe potuto godere dei benefici dell’amianto.
Nei giudizi, però, il ricorso dell’operaio era stato rigettato dal Tribunale di Siracusa, sulla base di una consulenza tecnico-ambientale che aveva riconosciuto una esposizione di 9 anni, 3 mesi e 1 settimana, confermata dalla Corte di Appello di Catania, che aveva dichiarato l’inamissibilità.
Dopo dieci anni giustizia è fatta
L’avv. Ezio Bonanni, legale della vittima e presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, ha pertanto impugnato la sentenza, perché illegittima.
Il ricorso di Bonanni ha ribaltato le due precedenti decisioni ottenendo ragione della Corte di Cassazione, la quale, nel dispositivo ha rilevato quanto segue. “La pronuncia non terrebbe conto dei documenti che dimostrano il superamento della soglia di 100 fibre litro per l’intero periodo di lavoro, anche dopo il 31 dicembre 1992”.
Il giudizio, così, ha stabilito il principio che, per poter determinare il termine ultimo di esposizione all’amianto, non si deve tener conto dell’entrata in vigore della L. 257/92, quanto piuttosto della reale condizione lavorativa. Quindi della data delle bonifiche (che in questo caso furono effettuate solo successivamente alla legge), dell’impiego operativo e delle misure di sicurezza. Pertanto, la Cassazione ha disposto un nuovo giudizio in Corte di Appello di Catania.
Patania ritrova la fiducia nelle istituzioni
«Ho finalmente ritrovato quella fiducia nella giustizia che ormai avevo perso, per me è stata dura affrontare questa situazione dal punto di vista economico, e soprattutto dal punto di vista psicologico», spiega Patania. «Sono sempre stato a contatto con le fibre di amianto e altri cancerogeni e ho avuto diversi incidenti sul lavoro – aggiunge l’ex lavoratore – raccontare come si vive all’interno di uno stabilimento non è facile… Si lavora direttamente a contatto con inquinanti, altissime temperature e rischi continui di incendi, soprattutto quando i macchinari vanno in blocco. Quanto alla “polvere bianca”, cioè l’amianto, si sprigionava nell’aria e a noi sembrava che fosse talco. Raccontare la mia storia, risveglia in me sempre dei ricordi indelebili. Certe cose non le resetto nemmeno se mi fanno l’anestesia».
L’amianto era presente dovunque, nelle coibentazioni, nelle guarnizioni, nelle paratie, nei forni, nelle tubature. Nessuno sospettava che quella nuvola di polvere dall’apparenza innocua fosse un killer silenzioso.
«Il candore che conferiva ai rivestimenti ce lo faceva percepire addirittura come qualcosa di affascinante». Ora la determinazione della Cassazione apre un nuovo spiraglio per tutti i lavoratori del Petrolchimico.