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venerdì, Novembre 8, 2024

Convegno al Campidoglio: “Non abbandono i miei uomini esposti all’uranio impoverito” – Il racconto di una denuncia contro il sistema militare

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IL 2 OTTOBRE, NELLA SUGGESTIVA CORNICE DELLA SALA LAUDATO SÌ, ALL’INTERNO DEL PALAZZO SENATORIO DEL CAMPIDOGLIO, SI È SVOLTO UN CONVEGNO DAL FORTE IMPATTO EMOTIVO. ORGANIZZATO DALL’ACCADEMIA DELLA LEGALITÀ, PRESIEDUTO DALLA DOTT.SSA PAOLA VEGLIANTEI E PATROCINATO DA ROMA CAPITALE, L’INCONTRO HA ACCESO I RIFLETTORI SU UNO DEI PIÙ CONTROVERSI TEMI LEGATI ALLA SICUREZZA DEI SOLDATI ITALIANI IMPEGNATI NELLE MISSIONI ALL’ESTERO: L’ESPOSIZIONE ALL’URANIO IMPOVERITO. TRA I PROTAGONISTI DELL’EVENTO, OLTRE ALLA DOTT.SSA VEGLIANTEI, IL TENENTE COLONNELLO FABIO FILOMENI, AUTORE DEL LIBRO DENUNCIA “NON ABBANDONO I MIEI UOMINI ESPOSTI ALL’URANIO IMPOVERITO”, CHE HA ISPIRATO IL DIBATTITO. PREZIOSO IL CONTRIBUTO DELL’AVV. DANIELA SEGAT E DEL GIORNALISTA ETTORE LEMBO

La sicurezza dei militari sotto i riflettori del convegno

Non abbandono i miei uomini esposti all’uranio impoverito”, l’ultimo libro del tenente colonnello Fabio Filomeni, è una denuncia coraggiosa sul tema della sicurezza dei militari italiani impegnati in missioni all’estero, in particolare riguardo l’esposizione all’uranio impoverito e alle sue devastanti conseguenze. 

Il testo si basa sull’esperienza diretta dell’autore e mette in evidenza gravi mancanze nel sistema di protezione dei soldati italiani impegnati in missioni all’estero. Filomeni ha infatti ricoperto un ruolo di fondamentale importanza come responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, assicurando che i militari fossero informati e protetti adeguatamente.

Tra le missioni più critiche cui ha partecipato, spicca quella in Iraq, dove il contingente italiano faceva parte della coalizione internazionale anti-Isis. L’obiettivo di questa operazione era stabilizzare le aree precedentemente controllate dai jihadisti, operazione che, però, nascondeva pericoli letali, tra cui l’esposizione a sostanze tossiche come l’uranio impoverito utilizzato nelle munizioni. 

Filomeni aveva già trattato questi argomenti nel suo libro precedente, “Baghdad: Ribellione di un Generale“, in cui descriveva le manovre militari durante la missione Prima Parthica in Iraq nel 2018. Questo libro aveva già messo in evidenza il silenzio dei vertici militari italiani su tali questioni.

Il contesto del convegno e la denuncia del tenente colonnello Fabio Filomeni

Il tema centrale del convegno è stato l’esposizione dei militari italiani all’uranio impoverito durante le cosiddette “missioni di pace“, che di pacifico avevano ben poco. Nello specifico, il tenente colonnello Fabio Filomeni, ha affrontato con fermezza questioni riguardanti le gravi carenze nella protezione della salute dei soldati italiani impiegati in scenari bellici come Iraq, Balcani e Afghanistan. 

Durante le operazioni militari, i militari erano costantemente a contatto con sostanze tossiche, tra cui il cosiddetto “depleted uranium” (uranio impoverito). Nonostante numerosi studi scientifici avessero già evidenziato il legame tra l’inalazione di queste particelle pericolose e l’insorgenza di gravi patologie, molti soldati sono stati esposti a tali rischi senza misure di protezione adeguate.

Filomeni, ha voluto rompere il silenzio su un tema scomodo, mettendo in evidenza una responsabilità che coinvolge non solo le gerarchie militari, ma anche l’intero sistema di gestione delle missioni all’estero, dove le conseguenze della contaminazione radioattiva sono state minimizzate a lungo, nonostante i danni irreversibili causati ai soldati.

Ma perché l’uranio impoverito è così pericoloso? 

I danni dell’uranio impoverito 

Questa sostanza, usata per migliorare la capacità penetrativa dei proiettili, ha conseguenze devastanti non solo sui bersagli, ma anche sull’ambiente e sulle persone del posto o che vi operano. Quando queste munizioni colpiscono l’obiettivo, l’esplosione rilascia nell’aria e nel terreno nanoparticelle di metalli pesanti che contaminano ampie zone, compromettendo aria, acqua e suolo. I militari e i civili presenti nelle aree colpite inalano e ingeriscono attraverso cibi contaminati queste particelle tossiche, con il rischio di sviluppare malattie gravi come tumori, leucemie e malformazioni.

Le inchieste condotte a livello internazionale e nazionale hanno confermato che migliaia di militari, al ritorno dalle missioni, hanno sviluppato gravi patologie, in molti casi letali: ad oggi, 382 militari italiani hanno perso la vita a causa di malattie correlate a questa esposizione, e oltre 7mila risultano gravemente ammalati.

Il muro di gomma istituzionale

Purtroppo, nonostante numerosi tentativi di far emergere la questione, le istituzioni militari italiane hanno spesso eretto un “muro di gomma” per proteggere l’apparato. Quattro commissioni parlamentari d’inchiesta e molteplici studi scientifici non sono riusciti a smuovere le resistenze dei vertici militari, che continuano a minimizzare i rischi e a mantenere il silenzio sui veri danni causati dall’uranio impoverito.

In questo clima di negligenza e omertà, il libro di Filomeni e il convegno al Campidoglio rappresentano un passo importante per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulla necessità di tutelare la salute dei militari. Come sottolineato dall’a dottoressa Vegliantei, «Abbiamo giurato e baciato la nostra bandiera per servire il nostro popolo, la nostra Patria e le nostre famiglie. La sicurezza sul lavoro anche dei nostri militari non può essere messa in secondo piano».

L’emozione del dibattito

Durante il convegno, l’atmosfera è diventata particolarmente animata. Giornalisti, medici, avvocati e militari, tra cui diversi comandi dell’Arma dei Carabinieri di Roma e dei paesi limitrofi, hanno espresso la loro preoccupazione e il desiderio di far luce su queste gravi omissioni. 

In particolare, è emersa con urgenza la necessità di rivedere e potenziare la normativa sulla sicurezza sul lavoro per i militari. I partecipanti hanno messo in evidenza come questi uomini e donne, nonostante il loro instancabile impegno e dedizione, siano frequentemente percepiti come “guerrieri bellicosi” anziché come vittime di un sistema che li espone a rischi mortali. Inoltre, hanno sottolineato l’importanza di portare questa tematica nelle scuole e nella società civile, per aumentare la consapevolezza e sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli ai quali sono sottoposti i nostri soldati.

«Vitale è migliorare le norme sulla sicurezza, importantissimo creare delle opportunità per fare conoscere questa nostra storia anche nelle scuole».Queste parole cariche di significato hanno sottolineato la gravità della situazione, ribadendo l’importanza di una maggiore sensibilizzazione sui rischi corsi dai militari in missione.

L’Osservatorio Nazionale Amianto e la lotta all’uranio impoverito

L’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA), ha a lungo denunciato i devastanti effetti dell’uranio impoverito sulla salute dei militari italiani. In diverse occasioni, Bonanni ha sottolineato l’importanza di riconoscere le responsabilità delle istituzioni nel proteggere i lavoratori delle Forze Armate esposti a sostanze tossiche durante le missioni, spesso senza adeguate misure di sicurezza.

«Non possiamo ignorare il grido di sofferenza di tanti uomini e donne che hanno servito il loro Paese con onore, solo per vedersi abbandonati di fronte a malattie devastanti come il cancro», ha dichiarato il legale. «L’uranio impoverito è stato impiegato senza la dovuta considerazione per gli effetti sulla salute, portando a un vero e proprio disastro umano».

L’ONA si impegna in prima linea per ottenere giustizia per i militari colpiti e le loro famiglie, assistendo molti di loro in cause legali che hanno portato a risarcimenti significativi. Bonanni ricorda che ci sono state oltre 130 sentenze che hanno riconosciuto la correlazione tra esposizione all’uranio impoverito e gravi patologie oncologiche.

Nonostante questi progressi, il presidente ONA denuncia il persistere di una negazione da parte delle istituzioni, nonostante le evidenze scientifiche e le testimonianze. «Abbiamo il dovere di non dimenticare chi è stato sacrificato e di lottare affinché le nuove generazioni di militari non debbano affrontare lo stesso destino».

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