Le ondate di calore marine “blob”, sono dei picchi di temperature elevate, causate dal cambiamento climatico. Questi eventi possono ripercuotersi sugli ecosistemi marini per anni, anche dopo che la temperatura dell’acqua è nuovamente scesa.
Blob: la devastante bolla di caldo marino
Blob. Dal 2013, il livello dell’acqua del Golfo dell’Alaska ha iniziato a innalzarsi e anche la temperatura è aumentata in media di 2,8 °C (in alcuni punti fino a 3,9 °C).
A causare il fenomeno, è stata una cresta atmosferica di lunga durata ad alta pressione. Essa ha riscaldato la superficie dell’Oceano, soffocando le tempeste invernali che di solito portano acqua più fredda e più profonda in superficie.
Il calore si è poi trasferito dall’oceano all’atmosfera, di conseguenza, il golfo è rimasto insolitamente caldo per tutto l’anno successivo.
Inizialmente, la bolla aveva colpito una zona circoscritta dell’oceano, larga circa 800 chilometri e profonda più di 90 metri.
Nick Bond, uno scienziato del clima dell’Università di Washington a Seattle, ha soprannominato questo fenomeno “The Blob”, nome tratto dall’omonimo film horror del 1958.
Il fenomeno dura almeno cinque giorni, anche se in molti casi persistono per settimane o anche mesi.
Lo studio, pubblicato nel 2020 sulla rivista Science, afferma che queste ondate di calore marine sono aumentate di oltre 20 volte, a seguito del riscaldamento globale.
Cosa ha trasformato il blob in un mostro
A metà del 2014, questa ondata di calore marina ha raggiunto un’estensione di 3.200 chilometri tra l’Alaska e il Messico, mantenendo alte le temperature del mare.
I venti hanno spinto l’acqua calda più vicino alle coste dell’Oregon e di Washington. Poi, nel 2015 e nel 2016, il riscaldamento periodico del Pacifico centrale, noto come El Niño, ha alimentato la crescita della bolla.
Alla fine del 2016, La Niña (fenomeno inverso a El Niño), ha provocato delle tempeste che hanno agitato e raffreddato l’oceano.
In ogni caso, nel corso di tre anni, la bolla ha completamente stravolto l’ecosistema dell’Oceano Pacifico settentrionale e adesso sta praticamente interessando tutte le acque del Pianeta. Con conseguenze importanti per l’ambiente.
Danni causati dal blob a livello dell’ecosistema oceanico
Molti i danni causati dalla bolla.
- La quantità di plancton, copepodi e krill è notevolmente diminuita
- Migliaia di leoni marini e uccelli marini sono morti di fame
- Le megattere, in mancanza di krill, hanno iniziato a cibarsi di acciughe. Poiché questi pesci abbondano nel acque vicine alla costa, i cetacei hanno finito per impigliarsi nelle reti da pesca. Anche le nascite nelle popolazioni di megattere sono diminuite del 75%
- La formazione di fioriture algali tossiche ha ostacolato la pesca del granchio. La catena alimentare, basata sul krill, è stata sostituita da organismi gelatinosi, poveri di sostanze nutritive chiamati pirosomi, che non erano mai stati rilevati così a nord
- Le popolazioni di merluzzi nordici al largo delle coste dell’Alaska si sono ridotte e sono vicine all’estinzione.
Il mistero dei merluzzi spariti per via del blob
Nel 2017, il biologo marino Steve Barbeaux stava esaminando alcuni dati, a dir poco allarmanti, sulla scomparsa di oltre 100 milioni di merluzzi in Alaska.
Inizialmente pensò ad un problema tecnico del computer.
Nelle ore successive, lui e i colleghi del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) di Seattle, Washington, confermarono tuttavia i numeri.
I dati, raccolti dai pescherecci da traino di ricerca, indicavano che il numero di merluzzo bianco era crollato del 70% in due anni, cancellando essenzialmente una pesca del valore di 100 milioni di dollari all’anno.
Il pesce non si era spostato per qualche fenomeno migratorio! Era sparito a causa del “blob”.
Per consentire una ripopolazione dei merluzzi, i funzionari federali hanno pertanto tagliato le catture consentite dell’80%.
Molti fenomeni non sono ancora chiari
Riguardo alle ondate di calore marine, molti fenomeni non sono ancora del tutto chiari.
Ad affermarlo, Nicholas Bond, ricercatore dell’Università del Washington e climatologo dello Stato di Washington.
La prima questione irrisolta, riguarda il perché questi eventi persistano per settimane o anche per mesi. «Dev’esserci qualcos’altro in atto, che contribuisce a mantenere quelle condizioni», spiega.
Secondo Bond «riscaldandosi, la superficie dell’oceano irradia nell’atmosfera calore. Questo, impedisce la formazione della copertura nuvolosa, esponendo l’acqua del mare a una maggiore irradiazione solare, e quindi a un ulteriore riscaldamento».
La minaccia pende come una spada di Damocle
Anche quando il blob si arresta, così come è avvenuto nelle acque del Pacifico nord-orientale (hanno cominciato a raffreddarsi nel 2016, tre anni dopo il blob), non bisogna cantare vittoria.
Prima che l’ecosistema ritorni alle condizioni pre-blob, ci vorrà del tempo.
Sopratutto desta preoccupazione il suo potenziale impatto nelle zone tropicali, a livello delle barriere coralline.
Perché è importante studiare gli effetti del blob
Anche se molti danni sono orami irrimediabili, conoscere gli effetti del blob aiuterà a prevedere le future ondate di calore marine.
Se il riscaldamento globale non verrà frenato- avertono gli scienziati- le onde di calore diventeranno più frequenti, più grandi, più intense e più durature. Entro la fine del secolo, Bond dice: «L’oceano sarà un posto molto diverso».
Nel frattempo, il National Park Service ha iniziato a monitorare gli ambienti marini vicini alla costa per rilevare e comprendere i cambiamenti nei parchi dell’Alaska.
Fonti
National geogrphic
Science.it