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domenica, Novembre 16, 2025

Ansia e amianto, la diagnosi non arriva ma la paura consuma

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Si parla spesso, giustamente, dell’importanza della psicoterapia per chi è affetto da una malattia amianto correlata.
Oggi focalizziamo l’attenzione verso coloro che non hanno sviluppato una patologia ma che potrebbero, potenzialmente, esserne affetti in futuro.
Chi ha avuto contatti con materiali contaminati, pur senza una diagnosi, vive spesso in uno stato di costante tensione psicologica.

Esposizione ad amianto e salute mentale: incertezza e stress cronico

Non serve una diagnosi per sentirsi malati. Per molte persone che in passato hanno lavorato a contatto con l’amianto, o vissuto in ambienti contaminati, il solo sospetto di essere a rischio basta a generare una condizione di terribile stress continuo. La paura che una patologia possa manifestarsi da un momento all’altro pesa come una condanna invisibile.

“È come vivere in attesa di una sentenza che non arriva mai, ma che temi da tempo”, raccontano in tanti.
È un disagio profondo: insonnia, difficoltà a concentrarsi, allarme costante per ogni piccolo sintomo. La mente reagisce come se la malattia fosse già presente.

Bonanni (ONA): “Venga garantita sorveglianza e supporto psicologico”

Ezio Bonanni, avvocato e presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, da anni evidenzia  le carenze nel sistema di prevenzione e assistenza ai soggetti esposti: “Il solo fatto di essere stati esposti all’amianto è causa di preoccupazione e sofferenza. Sarebbe opportuno garantire sostegno psicologico a tutti, non solo a chi ha già ricevuto una diagnosi”.

Bonanni insiste sulla necessità di un’azione più decisa da parte delle istituzioni: “E’ necessario porre l’attenzione non solo sul riconoscimento delle malattie, ma anche nella tutela preventiva, inclusa quella psicologica. Non possiamo abbandonare chi vive con questa angoscia: il diritto alla salute comprende anche la salute psichica”.

Una lunga attesa fatta di controlli e terrore

Le patologie asbesto-correlate come il mesotelioma, possono emergere anche a distanza di 20, 30 o 40 anni dall’esposizione. Questo dato scientifico, ormai noto, non fa che aumentare il senso di precarietà tra gli ex esposti. Ogni visita di controllo può trasformarsi in un momento di panico, ogni referto in una possibile condanna.

La sensazione di essere “malati in potenza” finisce per trasformarsi in disagio reale, che incide su vita lavorativa, relazioni personali, e salutee mentale.

L’urgenza di un riconoscimento anche per la sofferenza impalpabile

“Serve una presa in carico completa”, conclude Bonanni. “Non solo diagnosi e risarcimenti, ma prevenzione vera: informazione, monitoraggi continui, supporto psicologico. Perché anche chi non è ancora malato ha diritto a vivere senza essere schiacciato dalla paura”.

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