IL TRIBUNALE DI ROMA HA STABILITO UN RISARCIMENTO COMPLESSIVO DI 1,3 MILIONI DI EURO PER I FAMILIARI DI ROCCO A., UN IMPIEGATO DEL SETTORE FERROVIARIO MORTO A CAUSA DI UN MESOTELIOMA EPITELIOIDE, UNA PATOLOGIA STRETTAMENTE CORRELATA ALL’ESPOSIZIONE PROLUNGATA ALLE FIBRE DI AMIANTO. AD ASSISTERE I FAMILIARI DELLA VITTIMA, L’AVVOCATO EZIO BONANNI, PRESIDENTE DELL’OSSERVATORIO NAZIONALE AMIANTO E L’AVVOCATESSA DANIELA LUCIA CATALDO
L’amianto nelle officine: una minaccia invisibile, un morto reale
La storia di Rocco A. rappresenta una delle tante ferite aperte nella memoria industriale italiana, marchiata dall’ombra letale dell’amianto, la fibra assassina che per decenni ha mietuto vittime silenziose nei luoghi di lavoro.
Tra il 1969 e il 1971, Rocco lavorò come aggiustatore meccanico alle Officine Grandi Riparazioni (OGR) di Foggia, un punto nevralgico della manutenzione ferroviaria italiana. Ogni giorno, l’uomo si muoveva tra motori, rotabili ferroviari, tubature e cavi elettrici, eseguendo interventi di riparazione e manutenzione. Tuttavia, dietro le attività quotidiane si celava una minaccia invisibile e subdola. Parliamo della polvere d’asbesto, che permeava l’aria delle officine e si depositava sugli abiti, sulle mani e, soprattutto, nei polmoni.
Gli ambienti di lavoro, privi di ventilazione adeguata, esponevano costantemente i lavoratori a livelli di rischio estremamente elevati. Rocco, come i suoi colleghi, operava in condizioni in cui dispositivi di protezione individuale – quali mascherine, tute e sistemi di aspirazione – risultavano del tutto assenti. Inoltre, i soffiatori industriali, impiegati per ripulire macchinari e superfici dai residui di lavorazione, non eliminavano il pericolo ma lo aggravavano. Sollevavano e diffondevano nell’aria fibre sottilissime di amianto.
Nessuna consapevolezza del rischio: un morto in nome del profitto
Rocco, come molti altri operai, non era consapevole del rischio che lo circondava. Nessuno informava il personale sui pericoli connessi all’inalazione delle fibre killer o sulle conseguenze devastanti che, decenni più tardi, avrebbero compromesso irrimediabilmente la salute.
Ogni turno di lavoro aggiungeva pertanto un nuovo capitolo a una tragedia che si sarebbe rivelata troppo tardi.
Le fibre di amianto, penetrate nei polmoni, provocarono nel tempo danni irreparabili.
Nel 2006, Rocco A. iniziò ad avvertire i primi sintomi: affaticamento, dolori al torace e difficoltà respiratorie. Gli accertamenti clinici evidenziarono la presenza di un versamento pleurico, spesso considerato il primo campanello d’allarme per le malattie asbesto-correlate.
Le terapie si rivelarono inutili, poiché la malattia progredì rapidamente, portando alla diagnosi definitiva di mesotelioma epitelioide. Nel marzo del 2009, all’età di 68 anni, Rocco è morto, lasciando una moglie e due figli.
Eppure, la tragedia di Rocco non fu il frutto di un destino inevitabile. Già dagli anni ’40 erano disponibili dispositivi di protezione, come mascherine, tute e sistemi di aspirazione, in grado di limitare l’esposizione. Tuttavia, la salute degli operai venne sacrificata sull’altare del profitto, alimentata da una miscela di negligenza, disinteresse e scarsa consapevolezza del rischio.
Una battaglia per la giustizia: la famiglia di Rocco e la vittoria contro RFI
Alla morte di Rocco, i suoi familiari intrapresero un’azione legale per ottenere il riconoscimento delle responsabilità aziendali legate al decesso del loro caro.
Nel marzo del 2009, l’INAIL (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) riconobbe ufficialmente l’origine professionale della malattia che aveva colpito il lavoratore, disponendo l’avvio di una rendita ai superstiti in favore della vedova e dei figli.
Nonostante questo primo riconoscimento, la famiglia decise di proseguire la battaglia legale, determinata a ottenere un risarcimento integrale e ad accertare, in sede giudiziaria, le responsabilità della società presso cui Rocco aveva prestato servizio.
Sostenuta dagli avvocati Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto e Daniela Lucia Cataldo, la famiglia intentò causa contro Rete Ferroviaria Italiana (RFI), chiedendo un risarcimento che tenesse conto non solo dei danni fisici subiti da Rocco, ma anche del dolore inflitto ai suoi cari.
Il Tribunale di Roma, nella prima sentenza, riconobbe un risarcimento di 200mila euro a titolo di danno diretto per la sofferenza e le lesioni subite da Rocco, attribuendo con chiarezza la causa della malattia all’esposizione all’amianto. Questo verdetto rappresentò un passo avanti significativo, ma non pose fine alla controversia.
Dopo ulteriori ricorsi, la Corte d’Appello di Roma ha ampliato il risarcimento, riconoscendo 850mila euro per il danno da lutto, una cifra destinata a risarcire le sofferenze patite dalla famiglia. Con l’aggiunta degli interessi legali e della rivalutazione, l’importo complessivo ha raggiunto 1,3 milioni di euro.
Un precedente fondamentale per i lavoratori italiani
Questa sentenza non rappresenta soltanto una vittoria personale per la famiglia di Rocco, ma costituisce un precedente importante per tutti i lavoratori esposti all’amianto in Italia. Il tribunale ha affermato il principio secondo cui le aziende non devono rispondere soltanto per il danno diretto subito dal lavoratore deceduto, ma anche per il dolore e la sofferenza inflitti ai familiari.
L’Osservatorio Nazionale Amianto: la difesa delle vittime
Il caso di Rocco A. si inserisce in un quadro più ampio di emergenza sanitaria legata all’amianto. L’ONA stima che, entro il 2028, ci saranno oltre 696 casi di mesotelioma tra i dipendenti di Ferrovie dello Stato, un numero che potrebbe aumentare includendo lavoratori dell’indotto e delle ditte appaltatrici.
L’Osservatorio Nazionale Amianto continua a offrire supporto e assistenza legale alle vittime e ai loro familiari attraverso il Pronto Soccorso Legale, raggiungibile al numero verde 800 034 294 o tramite il sito ufficiale.