QUINDICI ANNI DOPO IL DECESSO DI LUIGI ANGELO PITTAU, UNA SENTENZA DEFINITIVA EMESSA DAL TRIBUNALE CIVILE DI TORINO HA SANCITO FINALMENTE IL RICONOSCIMENTO DI UNA VERITÀ DOLOROSA E INELUDIBILE. MONICA PITTAU, FIGLIA DEL MARINAIO MORTO A CAUSA DI UN MESOTELIOMA PLEURICO PROVOCATO DALL’ESPOSIZIONE ALL’AMIANTO, HA VISTO RICONOSCIUTI I SUOI DIRITTI IN UN RISARCIMENTO DI CIRCA 280MILA EURO
Amianto e il caso di Luigi Angelo Pittau: un uomo esposto al silenzioso killer
Dal 1967 al 1973, Luigi Angelo Pittau, motorista navale della Marina Militare, ha svolto il suo lavoro in condizioni di gravissimo pericolo, senza alcuna protezione adeguata contro l’amianto. Le sue mansioni, che lo portavano a occuparsi della manutenzione delle caldaie e delle turbine a vapore a bordo di una nave ormeggiata all’Isola della Maddalena (Sardegna), lo esponevano quotidianamente alle micidiali polveri. Nonostante il materiale fosse ampiamente conosciuto per i suoi effetti letali, l’amministrazione militare ha continuato a ignorare le misure di protezione, permettendo che centinaia di uomini lavorassero in ambienti saturi di fibre pericolose senza il minimo accorgimento.
La tragica diagnosi del mesotelioma pleurico è arrivata nel 2009, e un anno dopo il lavoratore è morto a soli 60 anni. L’uomo ha passato gli ultimi mesi della sua vita lottando contro una malattia incurabile, devastante e che, purtroppo, rappresenta solo uno degli innumerevoli casi di esposizione all’asbesto che hanno segnato la vita di tanti lavoratori italiani.
La battaglia di Monica Pittau: un percorso legale segnato dal coraggio
La morte del padre ha spinto Monica Pittau a intraprendere una battaglia legale, un percorso tortuoso e doloroso che è durato quasi dieci anni. Nonostante il riconoscimento di Luigi Angelo come Vittima del Dovere da parte della Corte d’Appello di Torino nel 2019, la donna ha deciso di non fermarsi e di chiedere giustizia non solo per l’amato genitore, ma per tutte le vittime di amianto che, come lui, sono state esposte a un rischio mortale in totale indifferenza da parte delle istituzioni. Così, con l’assistenza dell’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, Monica ha portato il caso davanti al Tribunale Civile di Torino, chiedendo che il ministero della Difesa fosse riconosciuto responsabile della morte del padre per negligenza nella gestione dei rischi legati al pericoloso minerale.
In fase di causa, il Ministero ha cercato di opporsi sollevando la questione della presunta prescrizione del diritto al risarcimento. Tuttavia, la sentenza ha smontato questa obiezione, stabilendo che la morte di Luigi Angelo Pittau non rientrava nelle prescrizioni ordinarie, bensì nella fattispecie criminosa di omicidio colposo, per la quale la prescrizione è di 14 anni. Questo ha permesso di portare avanti la causa e di ottenere il risarcimento che oggi Monica ha diritto a ricevere.
La sentenza: una condanna che risuona come un monito
La sentenza, rappresenta un punto di svolta in una lunga serie di condanne che, purtroppo, non bastano ancora a fermare il martirio delle vittime dell’amianto. Il giudice Francesco Moroni ha sottolineato che il ministero della Difesa ha «colposamente omesso le cautele per tutelare i militari nell’esposizione all’amianto» e che non sono state adottate «misure antinfortunistica nel rispetto delle regole».
Ovviamente, il risarcimento a favore di Monica è una somma che non può mai restituire un padre, ma che rappresenta, almeno simbolicamente, un atto di giustizia che si fa attendere da troppo tempo.
Il presidente ONA, Ezio Bonanni: una battaglia che continua
L’avvocato Bonanni, che ha assistito Monica Pittau in questa lunga e difficile causa, ha commentato l’esito processuale con parole di forte denuncia: «Si tratta dell’ennesima sentenza, in sede civile, di condanna a carico della Difesa per la malattia e il decesso di un militare per l’elevata e non cautelata esposizione a fibre e polveri d’amianto nelle unità navali e nelle basi arsenalizie». Il presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto ha inoltre sottolineato, con toni che lasciano poco spazio a dubbi, che «il problema è tutt’altro che risolto» e che solo una piena assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni può portare ad una vera giustizia per le vittime.
Amianto: una piaga ancora viva
Il caso di Luigi Angelo Pittau è solo uno degli innumerevoli esempi di un’emergenza sanitaria che non accenna a placarsi. Sebbene la legge 257 del 1992 abbia imposto il divieto di utilizzo dell’asbesto, la bonifica dei luoghi contaminati è ancora inadeguata, e migliaia di strutture pubbliche e private continuano a rappresentare una minaccia per la salute di chi le frequenta. Il “killer silente” è ancora presente in innumerevoli edifici, impianti industriali e navi militari, e la lenta attuazione di un piano di rimozione nazionale continua a ritardare una soluzione definitiva.
Quanto alle vittime dell’amianto, sono ancora troppe, e il sistema sanitario italiano sta affrontando una vera e propria emergenza economica e sociale, destinata a durare nel tempo.
Una giustizia che arriva tardi, ma che può ancora essere un punto di partenza
La sentenza del Tribunale Civile di Torino è, senza dubbio, una vittoria importante, ma la giustizia postuma, sebbene necessaria, non può cancellare il dolore delle famiglie che hanno perso i loro cari per una malattia che avrebbe potuto essere evitata. Serve una vera e propria rivoluzione nelle politiche di prevenzione, informazione e bonifica. Finché non si agirà con la stessa determinazione con cui si affrontano altre emergenze sanitarie, le vittime continueranno a pagare il prezzo di una negligenza che si è perpetuata per troppo tempo.
Le parole di Bonanni sono chiare e indiscutibili «Il tempo delle attese è finito. È il momento di agire». Non basta una sentenza: servono azioni concrete e tempestive per porre fine a una tragedia che sta ancora mietendo vittime.