Come si scrive una memoria? Franco Di Mare ci ha insegnato a farlo, non con formule astratte o retoriche, ma attraverso le testimonianze e l’esperienza viva di chi c’era. Il giornalismo, per lui, era una forma alta di verità. Il suo mestiere era dare voce a ciò che altrimenti sarebbe rimasto inascoltato. E anche oggi, a un anno dalla sua scomparsa, il suo ricordo continua a parlare.
“La guerra non è l’igiene del mondo, come diceva Tommaso Marinetti. La guerra è la malattia del mondo, causa di dolori infiniti, disastri, morte.
Ma le vittime delle guerre continuano anche quando i conflitti finiscono, come avviene con la sindrome dei Balcani, che continua a continuare anche dopo qui. I conflitti esplosi nell’ex Yugoslavia e in Kosovo sono finiti, regalando malattie da esposizione ai proiettili da uranio impoverito e tumori alle vie respiratorie causate da inalazioni di particelle di amianto. Queste vengono liberate nell’aria dalle esplosioni e dalle distruzioni di palazzi, fabbriche e complessi industriali. Le malattie colpiscono anche a distanza di molti anni, come è accaduto a me.
Io ho vissuto una vita piena di esperienze, ho fatto e visto cose straordinarie e ho attraversato la storia mentre questa si manifestava, mentre questa scriveva le sue pagine sotto i miei occhi. Sono circondato dall’amore per le persone che amano, dunque non ho recriminazioni da avanzare.”
Sono le parole suggestive in un video con Franco Di Mare, proiettato in occasione dell’evento commemorativo “Io sono Franco” svoltasi 17 maggio, nella suggestiva cornice della Sala Fellini presso Roma Eventi – Piazza di Spagna. Condotto da Federico Ruffo, l’iniziativa è nata per onorare il ricordo di un uomo che ha segnato il giornalismo italiano attraverso gli amici, i colleghi, i familiari e le storie che ha raccontato.
Uno dei più grandi reporter di guerra della storia del giornalismo italiano
Nato a Napoli nel 1955, Franco Di Mare si era laureato in Scienze Politiche alla Federico II, iniziando la carriera giornalistica a l’Unità nei primi anni ’80. Dopo essere diventato inviato speciale e caporedattore, nel 1991 entrò in Rai nella redazione esteri del TG2 e successivamente al TG1. Ha seguito i principali conflitti degli ultimi decenni — dai Balcani al Medio Oriente — firmando reportage da zone di guerra, territori in crisi e scenari di emergenza globale. Intervistò grandi protagonisti della politica e della cultura internazionale, come Blair, Arafat, Rice e Chirac.
Dal 2003 fu anche conduttore televisivo, volto noto di Rai 1 con programmi come Unomattina e Sabato & Domenica. Autore di libri di successo, tra cui Il cecchino e la bambina e Non chiedere perché — da cui fu tratta la miniserie L’angelo di Sarajevo — fu premiato per la sua attività anche in ambito letterario. Ebbe ruoli dirigenziali in Rai fino al 2021, quando andò in pensione, continuando comunque a condurre Frontiere su Rai 3 fino al 2023.
Impegnato anche nel sociale e nella divulgazione civile, fu protagonista di campagne umanitarie e spettacoli dedicati ai diritti umani.
Muore nel 2024 a causa di un mesotelioma, contratto — secondo le sue parole — respirando particelle di amianto durante le sue missioni all’estero.
La testimonianza dell’Avvocato Ezio Bonanni che lo ha assistito nella sua battaglia legale
La guerra, nella sua brutalità immediata, si mostra con il fragore delle bombe, il rumore secco delle armi, le immagini strazianti delle vittime. Nell’orrore che si dilata nel tempo, il corpo di Franco Di Mare è divenuto simbolo semantico di un’altra guerra. Quella che continua anche quando il conflitto sembra essersi placato. Franco Di Mare con il mesotelioma diviene ancora una volta testimone e vittima della guerra dell’amianto, dei metalli pesanti, delle particelle invisibili che si insidiano nei corpi dei soldati, dei reporter, dei civili, per esplodere anni dopo, sotto forma di malattie incurabili come il mesotelioma. E questa è una guerra che non fa rumore, ma che uccide lo stesso.
“Questa è una morte lenta, che si manifesta quando le telecamere sono spente, quando il mondo ha voltato pagina, ma chi ha respirato quell’aria avvelenata continua a pagare il prezzo. Franco non è caduto sul campo di battaglia, ma la battaglia l’ha combattuta tutta, fino in fondo. Il suo corpo ha registrato il conto di un’esposizione non scelta, non consapevole, ma letale.” ha affermato l’Avv. Ezio Bonanni, Presidente di ONA – Osservatorio Nazionale Amianto.
Franco ha scelto di raccontare anche questo: che ci sono armi invisibili, più vigliacche, che non esplodono, ma si depositano nei polmoni, nella pleura, e lì aspettano. Un’attesa che non lascia scampo.
La memoria di Franco Di Mare ci chiede questo: non solo di ricordare il giornalista coraggioso, ma di guardare in faccia le verità scomode. Perché raccontare il mondo non è solo dire ciò che accade, ma anche ciò che si nasconde. E oggi, nel suo nome, siamo chiamati a farlo.

L’uomo, il professionista, il testimone
Franco Di Mare era prima di tutto un testimone. La sua voce era una bussola morale. Chi lo ha conosciuto ne ricorda la tenacia, la profonda umanità, il rigore nel raccontare i conflitti e nel dare senso al caos. La serata commemorativa ha raccolto sul palco e in video i volti di chi ha camminato al suo fianco: Everardo Bolletta, Fabio Chiucconi, Francesca Fialdini, Marco Garavaglia, Paola Miletich, Pietro Raschillà, Benedetta Rinaldi, insieme ai contributi di Giovanna Botteri, Fabio Fazio, Beppe Fiorello, Alberto Matano, Sigfrido Ranucci.
Accanto a loro, le due figure più intime della sua vita: la figlia Stella Di Mare e la moglie Giulia Berdini.
Ad accompagnare la serata, le note struggenti della chitarra del maestro Francesco Buzzurro, caro amico del giornalista.
Fabio Chiucconi: “Ho imparato tutto di questo mestiere grazie a Franco Di Mare”
“Franco Di Mare mi ha insegnato a guardare il mondo con gli occhi della gente. Le piccole storie, lui diceva sempre, rappresentano le grandi storie. Le storie della gente comune rimangono più impresse a chi sta a casa. Poi mi ha insegnato l’umiltà. Solo con l’umiltà si riesce ad ascoltare.
Ci diceva bisogna parlare poco, facciamo parlare gli altri e ascoltiamo. Anche quando
ci ferirono a Ramallah eravamo quasi una coppia di fatto perché facevamo tutto insieme.
In quel caso ce la siamo vista veramente brutta, ma dopo la bomba che è esplosa abbiamo sorriso e ci siamo detti è tutto a posto perché siamo vivi. L’umiltà e la semplicità è guardare con gli occhi degli altri. Questo era Franco.” ha confidato alle camere di Ona News Fabio Chiucconi, giornalista che ha lavorato a lungo con il grande inviato di guerra.
Ricordi commossi anche da Everardo Bolletta, tecnico Rai di Di Mare per oltre 10 anni. con cui ha condiviso: “E’ stato un fratello con cui ho condiviso tantissimi giorni e storie della mia vita”.

L’insegnamento di una vita
Franco Di Mare non ha scritto soltanto reportage, ha scritto pagine di memoria collettiva. Ha fatto del giornalismo un atto civile e poetico. Ha vissuto e raccontato il dolore, l’ingiustizia, ma anche la speranza, con uno stile che univa cuore e precisione, passione e rigore.
“Come si scrive una memoria?”
Si scrive con ciò che si è vissuto, e Franco Di Mare lo ha fatto fino all’ultimo giorno.
Oggi tocca a noi continuare a scriverla, con il suo esempio come guida.
In memoria di Franco Di Mare.
Testimone del nostro tempo, voce dei senza voce, uomo libero.