IL COLONNELLO DEL RUOLO D’ONORE DELL’ESERCITO ITALIANO CARLO CALCAGNI, FIGURA DI SPICCO E COORDINATORE DELL’OSSERVATORIO NAZIONALE AMIANTO (ONA), SI DISTINGUE PER IL SUO INCESSANTE IMPEGNO NELLA DIFESA DELLE VITTIME DELL’AMIANTO E DELL’URANIO IMPOVERITO NON SOLTANTO NELL’ESERCITO, MA IN TUTTE LE FORZE ARMATE ITALIANE.
EROE MODERNO, RICONOSCIUTO COME VITTIMA DEL DOVERE A CAUSA DELLE GRAVI MALATTIE CONTRATTE DURANTE LA MISSIONE IN BOSNIA-HERZEGOVINA, CALCAGNI RICORDA COME I MILITARI, DOVENDO OBBEDIRE AGLI ORDINI, AVREBBERO AVUTO DIRITTO A ESSERE INFORMATI DELLA PRESENZA DI QUESTE SOSTANZE E, SOPRATTUTTO, PROTETTI E TUTELATI
Il Colonnello Calcagni si racconta
Colonnello Calcagni, può raccontarci la sua esperienza personale con l’uranio impoverito e come questa ha influenzato la sua vita e carriera?
Sono entrato in contatto con le nanoparticelle di uranio impoverito e tutto ciò che viene generato nell’esplosione, nel 1996, durante la missione internazionale di pace della NATO denominata “IFOR”, nei Balcani, sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Sono stato impiegato come unico pilota del primo Contingente Italiano e tra le numerose missioni di trasporto e ricognizione, ho effettuato anche missioni MEDEVAC, evacuazioni medico-sanitarie, di soccorso umanitario, il più nobile dei servizi per la collettività, salvare vite umane.
In realtà, di fatto, ho sacrificato la mia.
Un nemico invisibile, subdolo, silente per anni, con un nome ed un cognome, ma tutt’oggi “innominabile” mi ha tagliato le ali nel momento più folgorante della mia carriera.
Il tutto, quando ero proiettato ai più alti traguardi e successi, rispettato dai vertici italiani e stranieri, elogiato ed encomiato per gli indiscussi ed innumerevoli meriti conquistati sul campo e per aver dato “lustro” all’Esercito e all’Italia intera in contesto internazionale.
Per il Colonnello “un’esperienza da ripetere”
Eppure, nonostante tutto, rifarei esattamente quello che ho fatto e risponderei senza esitazione alcuna: “Comandi, Signor sì!”.
Un soldato rimane tale per sempre, nell’animo e nel cuore.
Benché la mia carriera e la mia vita siano state irrimediabilmente distrutte dall’insorgere della malattia, una lunga serie di patologie croniche, degenerative, irreversibili, io sarei pronto ancora oggi a rispondere agli ordini superiori per l’alto senso del dovere e della responsabilità, per rispetto del Tricolore e per amor di Patria.
Nonostante io oggi sia stato privato dell’uniforme, che rimane cucita in maniera indelebile sulla mia pelle, nella mia anima, nel mio cuore, continuo a svolgere il mio dovere di “motivatore seriale” .
Di conseguenza, ho sostituito le missioni di pace con altre missioni, quelle di evangelizzazione, rivolte alle comunità scolastiche e civili in genere, perché io possa essere di esempio e di aiuto a chi lotta o è in difficoltà. Solo così la mia malattia, da ostacolo diventa opportunità e io posso ancora dare un senso profondo alla mia esistenza.
I primi segnali della malattia
Quali sono stati i sintomi iniziali che l’hanno portata a scoprire la sua esposizione all’uranio impoverito? Quanto tempo è passato prima che fosse fatta una diagnosi corretta?
Nel 2002 ho iniziato ad accusare i primi sintomi di cedimento strutturale, come se il mio corpo di atleta, forgiato dagli allenamenti costanti sin dalla tenera età di tre anni, facesse fatica a mantenere gli standard altamente performanti ai quali era abituato e che mi permettevano di mietere successi e vittorie nelle numerose competizioni sportive, nazionali ed internazionali, alle quali partecipavo.
Da lì è iniziato quello che i più definiscono il mio calvario, ma che per me è stato a tutti gli effetti un rinascere a nuova vita.
La malattia mi ha distrutto, ma non mi ha sconfitto o annientato. Ha paradossalmente messo in luce la (r)esistenza di un uomo capace di portare sempre il cuore oltre l’ostacolo e di guardare con ottimismo e fiducia al futuro, nonostante questo sia tracciato in una scia di decadimento fisico e psicologico che è sempre più delineata.
Ho preso in mano il mio cuore, fatto a pezzi dalle ingiustizie della vita ed il mio corpo, ridotto a brandelli dalla malattia, costellato di cicatrici e punti di sutura. Poi ho ripreso in mano la mia vita, dopo un iniziale comprensibile momento di disorientamento e sbandamento. Infine ho ricucito cuore e corpo e mi sono adattato alla nuova condizione, accettando limiti, privazioni, restrizioni. Senza mai voltarmi indietro, nonostante i non pochi momenti di umana comprensibile fragilità.
Un muro di gomma: il Colonnello di Ruolo Calcagni e il senso del dovere
Ha riscontrato resistenza o indifferenza da parte delle istituzioni militari o governative nel riconoscere e affrontare questo problema? Se sì, in che modo?
Di uranio impoverito non si poteva e non se ne può parlare ancora oggi. Da soldato sono stato addestrato ai massimi livelli a riconoscere le situazioni di difficoltà.
Ho imparato altresì a prevenirle e affrontarle nel migliore dei modi, a portare in salvo vite umane, anche a scapito della mia.
Un soldato, soprattutto un uomo della Folgore come me, sa perfettamente sin dall’inizio cosa significhi mettere la propria vita al servizio dello Stato e degli altri.
Conosco i rischi e li accetto grazie al costante addestramento e alla spiccata professionalità. So bene che potrebbe esistere un angolo di cielo ad attendermi e che ogni missione potrebbe essere l’ultima.
Essere un soldato, un pilota di elicotteri nello specifico, un istruttore di volo, significa mettere ogni giorno in secondo piano sé stesso e la propria vita.
Ma non nel senso di disprezzarne il dono, ma di essere pronto, sempre, a privilegiare quella altrui, quella in pericolo, da salvare e tutelare. Ecco, nessuno mi aveva addestrato a riconoscere un nemico invisibile e subdolo, che mi ha colpito alle spalle. La prima resistenza è stata proprio quella di far riconoscere il problema, la causa scatenante della mia serie di patologie croniche, irreversibili e degenerative. Ho lottato per dimostrare il nesso causale, efficiente e determinante, tra la missione espletata nei Balcani e l’insorgere della malattia riconosciuta, poi, dipendente da cause e fatti di servizio.
Gli accertamenti della patologia
La Commissione Medica dell’ospedale militare di Bari, nel 2005, ha accertato, verificato e riconosciuto: “una massiccia contaminazione da metalli pesanti e verosimilmente esposto a uranio impoverito”.
Ho lottato per dimostrare la vera verità, e ci sono riuscito dopo ben 17 anni di battaglie, dopo aver eliminato il segreto di Stato che mi impediva l’accesso alla mia personale documentazione, nella quale in un documento “erroneamente” compilato dal Ministero della Difesa, nel 2007, era stato attestato che il sottoscritto non aveva effettuato alcuna attività di volo nei Balcani: falso!
Per ammissione dello stesso Ministero della Difesa, nel 2019, in autotutela, il documento erroneamente compilato in cui era stato dichiarato che il sottoscritto, benché destinatario di elogi ed encomi a livello nazionale ed internazionale, non avesse mai volato nei Balcani, è stato annullato ed integralmente sostituito con la dichiarazione della reale e dettagliata attività svolta nei Balcani.
Un documento corretto, perché il mio stato di servizio attestava la vera verità, ma la “erroneamente” compilata dichiarazione, di fatto, è servita per negare al sottoscritto il risarcimento del danno spettante per l’insorgere della malattia per causa di servizio e per non essere stato informato sui rischi, già noti, e la mancata tutela della salute. Risarcimento simbolico, per quanto mi riguarda, come ho più volte ribadito e dichiarato, anche di un solo euro, ma accompagnato dalle scuse pubbliche di chi non ha tutelato e ha esposto i suoi uomini a morte certa o a malattie invalidanti e permanenti, nel migliore dei casi.
L’intervista alle Iene
Il 25 maggio 2021 anche la trasmissione televisiva Le Iene ha trattato la mia storia, mandando in onda l’intervista realizzata da Luigi Pelazza.
Ad oggi, la mia vita è fatta di giorni uguali ai giorni, di pesanti terapie che mi permettono di sopravvivere, di ricoveri programmati in Inghilterra con cadenza trimestrale, sempre con il rischio di setticemie mortali dietro l’angolo, come già più volte è accaduto.
Ma ciò che fa più male è il silenzio assordante sulla mia situazione, l’indifferenza che percepisco da parte di chi dovrebbe mettersi al mio fianco per affermare la vera verità, perché ciò che è accaduto a me e a tanti miei colleghi meno fortunati non accada più. Ma non mi arrendo, sono fiducioso che il futuro possa regalarmi ciò per cui, fino ad oggi, ho resistito e lottato, non per me, ma per chi come me ha sofferto e soffre o ha addirittura pagato il prezzo altissimo della vita, per le nostre famiglie, costrette ad assistere impotenti ed inermi al nostro decadimento fisico e ai nostri momenti di sconforto psicologico.
Sono un uomo di Stato e nello Stato e nelle istituzioni continuo a credere, perché un giorno la vera verità posa trionfare. Prima o poi incontrerò lungo il mio cammino chi vorrà farsi carico e risolvere in maniera definitiva la questione, a dir poco bollente, dell’uranio impoverito e delle conseguenze dell’esposizione alle nanoparticelle da metalli pesanti. Sarebbe stato sufficiente informare per tutelare e proteggere, invece di esporre a pericoli certi, noti ai vertici ma non trasmessi ai soldati operativi in prima linea. Sarebbe stato sufficiente parlare.
Un impegno per le vittime di amianto e uranio impoverito
Quali sono le principali difficoltà che ha incontrato nel promuovere la consapevolezza e la giustizia per le vittime dell’amianto e dell’uranio impoverito all’interno delle Forze Armate?
La difficoltà nel pronunciare le parole “uranio impoverito”, nel far conoscere e riconoscere il problema, nel promuovere la consapevolezza sull’esistenza di un nesso causale, dimostrato, provato scientificamente e senza ombra di dubbio alcuno. Ad oggi, numerosi casi hanno ottenuto sentenze di condanna nei confronti del ministero della Difesa con conseguente risarcimento del danno. La mia battaglia, per me ancora in salita, ha almeno permesso ai tanti colleghi che si sono rivolti a me, direttamente o per il tramite delle loro famiglie, di veder riconosciuti i propri diritti. È una magra consolazione, soprattutto se si è pagato un servizio reso con orgoglio e onore con il prezzo altissimo della propria vita. Ma almeno è stata fatta giustizia.
I rischi per la salute
Può spiegare quali sono i rischi specifici legati all’uranio impoverito e come influisce sulla salute dei militari esposti?
Quando un penetratore all’uranio impoverito impatta su un obiettivo, o quando un carro armato con corazzatura all’uranio prende fuoco, parte dell’uranio impoverito brucia e si frammenta in piccole particelle: micro e nanoparticelle. I penetratori all’uranio impoverito che non colpiscono l’obiettivo possono rimanere sul suolo, essere sepolti o rimanere sommersi nell’acqua, ossidandosi e disgregandosi nel corso del tempo. La dimensione ridottissima delle particelle, generate dall’uranio impoverito, la facilità con cui esse possono essere inalate o ingerite e la loro capacità di muoversi attraverso l’aria, la terra, l’acqua o nel corpo di una persona, dipendono dalla maniera in cui si è polverizzato l’uranio impoverito metallico.
Un pericolo dimostrato
I test effettuati dall’esercito statunitense hanno dimostrato che quando un penetratore all’uranio impoverito colpisce un obiettivo, dal 20 al 70% del penetratore brucia e si frammenta in piccole particelle.
Ciò significa che a seguito dell’impatto di un penetratore all’uranio impoverito da 120 mm contro un bersaglio corazzato si liberano da 1 a 3 kg di polvere di uranio, radioattiva e altamente tossica. Un carro armato colpito da tre di queste munizioni e l’area attorno ad esso potrebbero essere contaminati da 3 a 9 kg di particolato di uranio.
Naturalmente la polvere prodotta da un impatto iniziale potrebbe essere rimessa in sospensione da impatti successivi. Le esplosioni durante i test e gli studi sul campo hanno mostrato che la maggior parte della polvere prodotta dagli impatti (costituita dal proiettile stesso ed in maggior proporzione dal bersaglio stesso) finisce per depositarsi entro un raggio di 50 metri dal bersaglio.
Tuttavia, considerando le particelle più fini (tra il miliardesimo ed il milionesimo di metro), pur costituendo una parte relativamente ridotta della massa totale, queste saranno disperse in atmosfera sotto forma di aerosol su distanze di centinaia di chilometri. L’uranio impoverito è un metallo pesante radioattivo. Un contatto diretto e prolungato con munizioni o corazzature all’uranio impoverito può causare effetti clinici nefasti. Tuttavia, l’uranio impoverito giunge al suo massimo potenziale di danno quando suoi frammenti o polveri penetrano nel corpo. La tossicità chimica dell’uranio impoverito rappresenta la fonte di rischio più alta a breve termine, ma anche la sua radioattività può causare problemi clinici nel lungo periodo (anni o decenni dopo l’esposizione).
Troppe vittime
Una stima delle vittime?
Non è il numero delle vittime, tante, troppe, a rendere la problematica importante e da affrontare con urgenza, perché credo che fosse soltanto “una” vittima dovrebbe avere la stessa attenzione! Ma per farvi capire quanto grave sia quanto accaduto, ad oggi, sappiate che siamo oltre diecimila i malati e circa mille “contaminati” sono deceduti.
Misure concrete per arginare il rischio e tutelare i militari
Ha menzionato l’importanza di informare i militari sui rischi delle sostanze pericolose. E in effetti, molti militari, come lei, non sono stati adeguatamente informati dei pericoli dell’uranio impoverito. Quali misure concrete suggerisce che il ministero della Difesa dovrebbe adottare per migliorare la sicurezza e l’informazione tra i militari per evitare simili tragedie in futuro?
Banalmente sarebbe sufficiente formare e soprattutto informare, senza pensare ad azioni eclatanti. Ciò che fino ad oggi è mancato è l’ammissione delle responsabilità ed il pieno riconoscimento del problema, che si è invece insabbiato, sottovalutato, nascosto. Ancora oggi si spara con proiettili all’uranio impoverito, ad esempio in Ucraina.
Non è certo un mistero, né il loro utilizzo, né la loro provenienza.
Ci sono evidenti interessi economici, politici, governativi che, a vari livelli di scelte e responsabilità, consentono tutto ciò. Dico sarebbe sufficiente, perché sono un sognatore ma non certo credo nell’utopia, per questo è fondamentale informare e proteggere adeguatamente. L’ideale sarebbe non usare più proiettili all’uranio impoverito, ma almeno sarebbe auspicabile rendere il più possibile sicuro per i militari il loro utilizzo. Certo, fa male constatare che poi rimanga il problema gravissimo delle malformazioni, delle patologie, dei rischi ai quali si espone la popolazione civile che vive in prossimità dei poligoni o nei territori bellici dove se ne fa ancora uso.
Il Colonnello Calcagni e il ruolo di coordinatore ONA
Com’è iniziato il suo impegno con l’ONA e qual è stato il momento decisivo che l’ha portata a diventare coordinatore?
Sono fermamente convinto che occorra unire le forze per affrontare grandi battaglie. Per questo, insieme al presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, avv. Ezio Bonanni, abbiamo deciso di fare fronte comune, con l’obiettivo di: informare, aiutare, assistere e tutelare chi ha soltanto la “colpa” di aver fatto il proprio dovere, eseguendo un ordine, e si ritrova “solo” proprio nel momento del bisogno. Questo si amplifica, ancor di più, per chi perde un familiare e si ritrova a vivere il dolore nel silenzio più assordante, nell’assenza delle Istituzioni.
Obiettivi nel breve e lungo termine
La sua esperienza personale come vittima del dovere ha certamente influenzato il suo lavoro di coordinatore ONA, in difesa delle vittime dell’uranio impoverito e dell’amianto, sia nell’Esercito sia nelle altre Forze Armate. Quali sono i principali obiettivi e sfide che affronta in questo ruolo?
Metto a disposizione la mia esperienza, anche se negativa, perché so quanto sia necessario e utile. La mia competenza e la mia professionalità mi hanno permesso di far ottenere il riconoscimento della causa di servizio e lo status di vittima del dovere o soggetto equiparato, per molti colleghi e familiari, con i relativi benefici. Ho fatto parte, in qualità di consulente esperto, della Commissione Parlamentare d’inchiesta e, come componente, dell’unico tavolo tecnico sull’uranio impoverito, istituito nel 2019 con decreto ministeriale dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta che mi ha nominato suo consulente e consigliere.
Obiettivi raggiunti
Può condividere un esempio concreto di un successo ottenuto dall’ONA sotto la sua guida nella difesa delle vittime dell’uranio impoverito?
Proprio grazie al mio vissuto ed alla profonda conoscenza della normativa e della legislazione vigente, degli studi scientifici effettuati su di me e numerose pubblicazioni scientifiche, sono riuscito a documentare gli effetti della “contaminazione” sull’uomo ed ottenere sentenze a favore di vittime o familiari delle stesse, nei procedimenti di ONA contro i provvedimenti di diniego da parte del Ministero della Difesa.
Una goccia nel mare…
Come possono i cittadini e le famiglie dei militari supportare le vittime dell’uranio impoverito e contribuire alla loro causa?
Le famiglie possono fare ben poco, se non stare accanto ai propri cari, fornendo supporto e sostegno per la causa. E questo già sarebbe tanto.
Se penso alle numerose vittime che non hanno più voce, le famiglie possono invece continuare a lottare per fare valere i diritti negati.
Questo perché si possa affermare senza ombra di dubbio la vera verità. Anche per questo io sono a disposizione di chiunque richieda il mio aiuto e sono pronto a tendere una mano a chi è in difficoltà nel disbrigo delle procedure burocratiche e legali.
Ho addirittura studiato, mi sono specializzato in diritto, ho approfondito la giurisprudenza sul tema, conseguendo una laurea, per poter affiancare con competenza e serietà le situazioni che mi venivano sottoposte.
Ogni giorno, lavoro per gli altri, trascurando il mio.
Tuttavia lo faccio per senso del dovere e della responsabilità, con spirito di abnegazione e sacrificio, le stesse qualità per le quali e con le quali ho espletato il mio servizio militare, sempre e comunque.
Progetti futuri
Quali sono i progetti futuri dell’ONA per rafforzare la tutela delle vittime dell’amianto e dell’uranio impoverito? Ci sono nuove iniziative in programma?
Oggi sono a disposizione dell’altro. Non volo più, non indosso l’uniforme, benché sogni ancora di poterlo fare e di essere nuovamente richiamato in servizio, non posso più salvare vite umane nelle missioni.
Posso però dare un senso alla mia vita ed alla mia sofferenza ed è il senso del servizio, del donarmi in maniera disinteressata e gratuita.
Il tutto, senza chiedere nulla in cambio, per il piacere di aiutare chi è in difficoltà o ha bisogno, anche solo di una persona che possa raccogliere uno sfogo o aiutare a districarsi nei meandri della burocrazia. Insieme all’ONA continueremo nella nostra attività di assistenza e tutela delle vittime, sempre al fianco delle famiglie: “nessuno resta indietro!”
Il Colonnello Calcagni lancia un messaggio ai militari
Infine, quale messaggio vorrebbe dare ai militari che potrebbero attualmente essere esposti a sostanze pericolose e alle loro famiglie?
Una persona, nel momento in cui decide con consapevolezza e coscienza di abbracciare la carriera militare, mette in conto rischi e pericoli. È una missione, a tutti gli effetti. I rischi sono altissimi, indipendentemente dalle munizioni con uranio impoverito.
La vita è appesa ogni giorno a un filo invisibile, la vita di ognuno di noi esseri umani che siamo di passaggio su questa Terra. L’unica certezza, al momento della nascita, è la morte, insita nella stessa condizione umana.
Certo, un soldato rischia di più e più spesso. La precarietà della vita umana è percepita come amplificata. Oggi posso solo sperare che i miei colleghi, che vivono quotidianamente al servizio dello Stato, per onorare il Tricolore ed agiscono spinti dall’amor di Patria, abbiamo la tutela dell’informazione ed abbiano le protezioni adeguate. Ecco perché non dobbiamo mai stancarci di parlare, di divulgare informazioni, di tenere accesi i riflettori sulla questione dell’uranio impoverito. Si deve diffondere la consapevolezza e la conoscenza del problema e dei rischi, ormai scientificamente accertati ed acclarati. Solo così, si potrà sperare che in futuro ci siano meno vittime. Alle famiglie, posso solo dire di essere sempre al fianco dei propri cari, che hanno compiuto una scelta difficile, ma consapevole e responsabile. L’importante è far percepire la propria vicinanza e il proprio sostegno, senza criticare o giudicare.
Sostenere e mai arrendersi: il Colonnello insegna
La parola chiave è “sostenere”. Io mi impegno, con l’esempio, ad esortare tutti a “Mai arrendersi”. La vita è un percorso a ostacoli, ma ciò che conta è come uno di noi reagisce alle piccole grandi difficoltà quotidiane.
Il libro della vita si scrive ogni giorno, ecco perché io ringrazio il Signore Dio per ogni nuova alba che mi permette di vedere e valorizzo al massimo ogni giorno che mi concede di vivere. La vita è un dono meraviglioso, sempre e comunque, nonostante tutto e tutti. Il nostro compito, per onorare il dono che abbiamo ricevuto gratuitamente, è non sprecare neppure un istante.
Bisogna cercare di trovare sempre, in ogni accadimento della vita, il senso profondo e le giuste motivazioni che ci possano dare la forza di andare avanti. “La forza può mancare, il coraggio no!”.
Per dare forza e supporto, ci sono anche io. Per il coraggio, ognuno deve sforzarsi di trovarlo dentro di sé, perché esiste, basta crederci. Niente è impossibile per chi ci crede veramente.