Responsabilità professionale medica

Responsabilità professionale medica è l’obbligo del medico verso il paziente. È stato sempre concepito l’impegno a un comportamento professionalmente adeguato. Quindi, non è come il dovere di far conseguire al paziente il risultato sperato, cioè la guarigione o un miglioramento del proprio stato di salute.

Alla luce di queste considerazioni, sino ai primi anni 90’, dottrina e giurisprudenza erano concordi nel ritenere che a carico del medico sussistesse un’obbligazione di mezzi nei confronti del paziente e non anche un’ obbligazione di risultato.

Tuttavia le vittime di malasanità vanno tutelate. Per questo, in caso di errore medico, l’Osservatorio Nazionale Amianto, insieme al suo presidente, l’Avvocato Bonanni, ha istituito il Dipartimento Malasanità e Responsabilità Medica. Così tutte le vittime possono richiedere la consulenza gratuita medica e legale.

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Responsabilità professionale medica: obbligazioni

Si definisce obbligazione di mezzi, l’obbligo giuridico di garantire una corretta e diligente esecuzione di una determinata opera, ma non il risultato cui l’attività è finalizzata. Conseguentemente, il mancato raggiungimento del risultato non comporta nessun inadempimento e nessuna responsabilità del soggetto che ha realizzato la condotta.

Invece si definisce obbligazione di risultato l’obbligo giuridico di raggiungere il risultato promesso. La conseguenza è che, solo in questo momento, il debitore sarà liberato e potrà ottenere, se previsto, il compenso per l’attività svolta.

L’attività medica è innegabile, comporta un’alea sulla quale il professionista non sempre è in grado di intervenire. Ciò ha sempre comportato la concezione della responsabilità medica in termini di obbligazione di mezzi.

Il medico che abbia assunto un’obbligazione nei confronti del paziente deve, allora, operare con la massima diligenza ai fini del risultato sperato, senza esserne obbligato al concreto raggiungimento. Tuttavia, tale impostazione, si rivelava assai svantaggiosa per il paziente, soprattutto in punto di onere della prova.

Il problema della “medicina difensiva”

La previgente disciplina di fatto esponeva al rischio della “medicina difensiva“. Essa è definita “positiva” qualora il sanitario ponga in essere un comportamento cautelativo preventivo, ricorrendo a servizi aggiuntivi diagnostici o terapeutici non necessari. Al contrario, è “negativa” quando il medico non si occupi di determinati pazienti o non esegua interventi di cura altamente rischiosi per evitare esiti negativi per il paziente.

Un tentativo di contrasto alla medicina difensiva è stato attuato tramite la Legge Balduzzi (L.189/2012). In essa la responsabilità del medico veniva ricondotta sempre alla responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c..

L’espressione “extracontrattuale” non ha, tuttavia, evitato il dibattito giurisprudenziale, in particolare a causa dell’ulteriore introduzione dell’ipotesi di esonero dalla responsabilità penale per colpa lieve. Infatti, il medico che, pur attenendosi alle buone pratiche e alle linee guida, avesse provocato le lesioni o la morte del paziente, avrebbe risposto penalmente solo per colpa grave.

Tale distinzione non si applicava alla responsabilità civile, in ordine alla quale il medico rispondeva in ogni caso del danno provocato al paziente. La giurisprudenza della Suprema Corte era, dunque, giunta ad affermare che, ad ogni modo, l’art. 2043 c.c., non valeva a superare la teoria del contatto sociale e la responsabilità contrattuale.

Responsabilità professionale medica: Legge Gelli-Bianco

Sul punto è, poi, intervenuta la L. 24/2017, che ha accolto i vari orientamenti giurisprudenziali circa la natura della responsabilità medica, introducendo il “doppio binario” di responsabilità.

L’art.7, infatti, sancisce la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria ex art.1218 c.c., per la condotta dolosa o colposa degli esercenti di cui si avvale. Questo, in ragione del contratto di spedalità tra paziente ed ospedale. Ciò vale anche quando questi siano scelti dal paziente e non direttamente dipendenti da essa. Permane, quindi, l’obbligo della dimostrazione dell’esatto adempimento con l’onere probatorio carico della struttura stessa.

La medesima disciplina si applica ai medici privati, ovvero per coloro che abbiano stretto un rapporto professionale autonomo con il paziente.

In capo al singolo esercente la professione sanitaria è, invece, prospettabile una responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. In tal caso, il paziente dovrà eventualmente dimostrare il danno e la colpa del medico. Nella normativa previgente, invece, era proprio il medico a dover dimostrare l’esatto adempimento di tutti i suoi obblighi. I medesimi principi in punto di responsabilità e onere della prova sono condivisi anche da recentissima giurisprudenza, in particolare dalla Cass. civ. Sez. III, sent. n. 5128/2020.

L’azione per il risarcimento dei danni da responsabilità professionale medica è soggetto al termine prescrizionale decennale. Il dies a quo dai cui decorre tale termine coincide con quello di effettiva conoscenza del paziente del danno subito.

I confini della responsabilità professionale medica penale

Il medico che, per imperizia, provoca un danno ad un paziente, non sempre è punibile penalmente. L’esclusione della punibilità è, infatti, legata al rispetto delle linee guida o le buone pratiche assistenziali. Ciò è confermato dall’art. 6 della Legge Gelli in punto di “responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”.

L’errore del medico, verrà, allora, punito penalmente soltanto in caso di colpa grave. In buona sostanza, la legislazione si è evoluta nel circoscrivere il perimetro della responsabilità penale per colpa medica, superando in parte la graduazione della colpa.

Vi è un alleggerimento della responsabilità professionale dei medici, e rimane il principio di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, ai fini del risarcimento del danno. Per evitare la condanna al medico sarà sufficiente dimostrare il rispetto delle linee guida. 

Responsabilità professionale medica: onere probatorio

In conseguenza della disciplina sancita dalla Legge Gelli circa la responsabilità professionale medica, quando il giudizio è promosso avverso il medico, l’onere della prova è sempre a carico del paziente. Lo stesso, citando a giudizio il sanitario, deve provare il danno evento subito, così come il nesso causale e l’elemento psicologico che ha definito l’illecito.

Ciò anche con particolare riferimento al rischio della causa ignota, in cui se il paziente non riesce a dimostrare il nesso eziologico e la negligenza del medico, è escluso l’ottenimento del risarcimento del danno.

Per danno alla salute si intende anche solo il peggioramento del proprio stato di salute o nel senso di mancato miglioramento dello stesso, specie negli interventi estetici.

Al contrario, spetterà al medico dimostrare di aver agito bene, secondo la diligenza professionale richiesta dal caso concreto. Oltre all’onere di provare che il peggioramento dello stato di salute del paziente è dovuto ad uno o più fattori eccezionali non imputabili alla sua condotta.

La Suprema Corte ha confermato questo principio, ribadito in Cass. Civ., Ord. n. 7044/2018. Quindi il danneggiato da colpa medica, ai fini del risarcimento del danno, deve provare il nesso causale tra la malattia, l’aggravamento, la nuova patologia e la condotta del sanitario.

Stante tale prova, la struttura deve dimostrare l’impossibilità non imputabile, o l’evenienza imprevedibile che ne avrebbe escluso l’evitabilità anche a fronte della dovuta diligenza.

“Il duplice ciclo causale” delle Sentenze San Martino

L’impostazione della Legge Gelli è stata, comunque, in parte rivoluzionato dalle sentenze gemelle n. 28991 e 28992 del 2019 della III Sez. Civile della Corte di Cassazione.

Nella responsabilità contrattuale in materia sanitaria, si ravvisa un “duplice ciclo causale“:

  • evento dannoso;
  • impossibilità di adempiere.

Il primo ciclo causale, dunque, è quello che lega la condotta del sanitario al danno subito dal paziente, la “causalità materiale“. Ad essa si aggiunge la “causalità giuridica“, costituita dal legame tra il danno evento e il danno conseguenza patito dal paziente.

Occorre precisare che in materia medica l’inadempimento non coincide sostanzialmente con la causalità materiale. Infatti, il medico stipulando un contratto con il paziente assume l’obbligo di comportarsi diligentemente, rispettando le linee guida e le buone pratiche. Egli, dunque, si impegna a curare il paziente con la diligenza di cui all’art. 1176 comma 2 c.c., ovvero quella del professionista medio. Questo inadempimento può essere anche solo allegato dal paziente, senza la dimostrazione della condotta negativa del sanitario, che sarebbe eccessivamente oneroso per un soggetto privo di conoscenze mediche.

Se è vero che l’inadempimento è sempre il mancato soddisfacimento dell’interesse del paziente all’attività medica diligente, il danno evento che eventualmente subisce inerisce al diritto alla salute. Pertanto, egli non potrà limitarsi ad affermare di aver subito un pregiudizio a causa della negligenza. A questo punto è necessario, infatti, che egli dimostri l’insorgenza di nuove patologie o, comunque, il peggioramento della patologia già presente.

Il regime probatorio nel secondo ciclo causale

Poste le considerazioni circa il primo, la Corte di Cassazione ha affermato l’esistenza di un ulteriore ciclo causale.

In punto di responsabilità medica, infatti, provata la causalità materiale, il medico può dimostrare l’esistenza di una causa esterna, sopravvenuta, determinante l’impossibilità di adempiere alla prestazione.

La prova liberatoria è posta a carico del debitore dall’art. 1218 c.c.. Ad avviso della Suprema Corte, però ,ai fini del secondo ciclo causale, idoneo a esonerare il debitore dalla responsabilità ex art. 1218 c.c., è indispensabile la dimostrazione della causa esterna. Allo stesso modo, grava sul sanitario provare l’assenza di colpa, essendo necessario un quid pluris rispetto alla dimostrazione della diligenza richiesta dall’art. 1176 comma 2 c.c.

In altri termini, il sanitario deve dimostrare la sopravvenienza di un fattore esterno, imprevedibile e inevitabile nonostante il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche.

Responsabilità professionale medica e struttura sanitaria

Come anticipato, la natura della responsabilità del medico operante all’interno di una struttura sanitaria, sino alla Legge Gelli, è stata molto dibattuta in giurisprudenza.

In riferimento alla responsabilità della struttura è sempre stato chiarito che essa rispondesse a titolo contrattuale. Questo sia che fosse sollevato un inadempimento della struttura, ovvero che l’inadempimento fosse dovuto a negligenza del medico.

La struttura avrebbe risposto in forza del “contratto di spedalità” nella prima ipotesi e in forza dell’art. 1228 c.c., ossia per fatto degli ausiliari, nella seconda.

Circa la responsabilità del medico, si erano formati, invece due orientamenti. A ragione del primo, la responsabilità aveva natura extracontrattuale, non essendovi alcun rapporto contrattuale tra medico e paziente. La seconda teoria, piuttosto, legava la responsabilità del sanitario al concetto di “contatto sociale qualificato”, ascritto tra le fonti atipiche dell’obbligazione di cui all’art. 1173 c.c..

Aldilà del doppio binario di responsabilità introdotto dalla Legge Gelli del 2017, sul punto si è recentemente espressa la Corte di Cassazione, Sez. III Civile, Sent. 5128/2020. Nell’ipotesi di medici operanti all’interno di una struttura sanitaria, l’oggetto dell’obbligazione è una prestazione complessa di assistenza sanitaria. Il medico è ausiliario necessario, a prescindere da un rapporto di lavoro subordinato e dalla sussistenza di un rapporto di fiducia con il paziente.

Occorre allora distinguere. Qualora il paziente si rivolga direttamente alla struttura sanitaria, la responsabilità di essa si fonda sul contratto stipulato. Se, invece, il rapporto sorge direttamente con il medico e comunque il paziente si rivolge alla struttura sanitaria, questa risponderà anche in ragione del “contatto sociale“.

La struttura risponde limitatamente alle prestazioni accessorie, nel caso in cui abbia affittato le attrezzature e locazione delle stanze al medico che ad essa si sia rivolto.

L’onere della prova per la responsabilità della struttura

Alla luce delle considerazioni circa la natura della responsabilità professionale medica, la giurisprudenza ha precisato le conseguenze sull’onere della prova.

Il paziente, danneggiato deve dimostrare l’esistenza del contratto, oltre all’aggravamento o insorgenza della patologia. Egli, inoltre, deve provare l’inadempimento astrattamente idoneo a causare il pregiudizio.

La struttura o il medico, devono, invece, dimostrare l’assenza di inadempimento, ovvero che lo stesso sia stato determinato da un evento imprevisto e imprevedibile.

In sostanza, il creditore-paziente dovrà provare, sulla base del criterio del “più probabile che non”, che la condotta del sanitario sia stata causa del danno. Inoltre, deve provare che il pregiudizio è stato determinato da un inadempimento “qualificato”,  astrattamente idoneo a produrre il danno.

Il risarcimento dei danni malasanità

Per la quantificazione del danno da responsabilità professionale medica, la Legge Gelli, nell’art. 7 co. 4, dispone l’applicazione delle tabelle degli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni private. In esse sono indicate tutte le lesioni all’integrità psicofisica e i relativi punteggi, in base alle quali viene calcolata l’invalidità permanente complessiva del danneggiato.

Il risarcimento viene calcolato applicando ulteriori tabelle. In particolare, per le lesioni micropermanenti, esistono specifiche tabelle, aggiornate quasi ogni anno con decreti del Ministero dello sviluppo economico, in base alle variazioni ISTAT.

Per i danni macropermanenti, non è ancora stata istituita alcuna tabella unica nazionale, pertanto vengono utilizzate quelle del Tribunale di Milano sul danno biologico.

Il risarcimento del danno patrimoniale

Alla responsabilità professionale medica possono conseguire pregiudizi non solo biologici ma anche di carattere economico. Così, i soggetti danneggiati da malasanità hanno diritto all’integrale risarcimento dei danni, patrimoniali (danno emergente e lucro cessante) e non patrimoniali (biologico, morale, esistenziale).

Pertanto, nella quantificazione del danno risarcibile verranno considerati sia le perdite economiche subite, come ad esempio le spese mediche sostenute, che il mancato guadagno nel lucro cessante. Inoltre nel mancato guadagno deve essere compreso anche il danno economico subito per effetto della menomazione, ovvero perdita, della capacità lavorativa del danneggiato.

Le prescrizioni ulteriori della Legge Gelli

Prima di adire il Tribunale, l’art. 8 della L. 24/2017, impone l’obbligo di tentare la conciliazione stragiudiziale. Tramite tale conciliazione è possibile ottenere il risarcimento per malasanità in tempi più rapidi. Ad essa, sono, poi, chiamate a partecipare entrambe le parti con le rispettive compagnie assicuratrici. In alternativa, sarà necessaria l’istituzione di un accertamento tecnico preventivo.

Occorre precisare, infatti, che la Legge Gelli impone e disciplina l’obbligo di copertura assicurativa, oltre alle modalità di svolgimento dei giudizi aventi inerenti alla responsabilità medica. In particolare, l’art. 10 impone alle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, di essere provviste di adeguata copertura assicurativa sia per la responsabilità civile verso terzi che verso i prestatori d’opera.

Qualora, tuttavia, non sia raggiunta la conciliazione, è sempre possibile agire in sede giudiziaria, citando il sanitario, la struttura o la compagnia assicurativa. La possibilità di citare direttamente quest’ultima ha ulteriormente risposto alle esigenze di celerità. In precedenza, infatti, erano il medico o la struttura a dover chiamare in causa le compagnie, allungando, così, i tempi.

La Legge Gelli più favorevole al reo

Danni da amiantoCome già anticipato, la Legge Gelli ha costituito una sorta di colpo di spugna per i procedimenti penali in corso. Se in linea di principio liberare il medico dalla paura di essere sottoposto a procedimenti penali è corretto, concretamente non sempre si può dire lo stesso. Infatti, ci sono stati casi di colpe inescusabili dei sanitari.

Tale evenienza, soprattutto per casi arrivati già in Cassazione, dopo due sentenze di condanna, non può essere condivisa. Ciò, a titolo esemplificativo, è avvenuto nella sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, n. 50078/2017.

In questo modo, l’applicazione della Legge Gelli nei procedimenti in corso, perché ritenuta più favorevole, ha portato al proscioglimento di molti sanitari. Il medico è divenuto non punibile. Si applica, infatti, il principio del favor rei. Per cui, in forza della Legge Gelli, nel caso di imperizia, e indipendentemente dal grado di colpa, l’aver seguito le linee guida, rende il medico non punibile.

Il problema è divenuto rilevante per i casi in cui le vittime e i loro familiari erano costituite parte civile nel procedimento penale. Quindi, ciò conferma la tesi dell’Avv. Ezio Bonanni, che è preferibile, sempre e comunque, esercitare l’azione con una causa civile.

La Corte di Cassazione, Sezione IV, con sentenza n. 16140/2017, ha disposto il rinvio alla Corte di Appello per applicare il favor rei.

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