Tracciato l’identikit delle cellule dormienti e resistenti alle terapie del tumore del polmone e del colon. La scoperta di un gruppo di ricercatori dell’Istituto superiore di sanità (Iss), è proprio che queste cellule che non permettono la cura della malattia siano simili in diversi tipi di tumore.
L’annuncio è stato dato proprio dall’Iss. Queste cellule tumorali riescono a sfuggire alle terapie proprio perché quiescenti. Si riattivano, però, cessate le cure e rigenerano il tumore.
I risultati della ricerca, sostenuta dalla Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, sono appena stati pubblicati online sulla rivista International Journal of Molecular Sciences. Lo studio è stato possibile grazie a un’intensa collaborazione tra biologi molecolari e i biostatistici dell’Istituto superiore di sanità.
Cellule dormienti, trovati i processi chiave
“Questo studio è stato una grandissima sfida, sia per i biologi che per i biostatistici coinvolti nella ricerca – ha detto Ann Zeuner, Dirigente di Ricerca presso il Dipartimento di oncologia e medicina molecolare dell’Iss e coordinatrice della ricerca – Siamo riusciti a ottenere una minuscola quantità di cellule quiescenti da tumori del colon e del polmone.
Le abbiamo dapprima analizzate separatamente e quando abbiamo confrontato i risultati abbiamo scoperto che esiste un sottoinsieme di caratteristiche comuni. L’identikit che caratterizza le cellule quiescenti dei due tipi di tumore include una serie di proteine coinvolte nella plasticità, ovvero la capacità di adattamento delle cellule tumorali, nella resistenza alle terapie e – curiosamente – nello sviluppo embrionale”.
Tumore colon e polmone, stesso comportamento cellule quiescenti
“Questo nuovo identikit è importante – ha aggiunto Zeuner – perché mostra come i processi-chiave responsabili dello stato quiescente siano simili in tumori diversi. La somiglianza fa anche pensare che potrebbero essere sfruttati a fini terapeutici per eliminare le cellule quiescenti o impedire loro di risvegliarsi”.
Il tumore del polmone
Il tumore del polmone è una delle diverse patologie asbesto correlate causate, tra gli altri elementi cancerogeni che contaminano il nostro vivere, anche dall’amianto. Così come spiegato dall’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Ona – Osservatorio nazionale amianto, ne “Il libro bianco delle morti di amianto in Italia – ed. 2022“. Tanti lavoratori che negli anni hanno lavorato a contatto con l’asbesto si sono ammalati di questo tipo di cancro che purtroppo presenta i sintomi, molto spesso, quando ormai è tardi per intervenire.
In questi anni sono allo studio analisi meno invasive e meno costose che possano essere eseguiti su un certo tipo di popolazione, ma per ora la diagnosi arriva dopo esami complessi.
In alcuni settori di più elevata esposizione, i casi di tumore maligno ai polmoni sono molto numerosi. Si pensi ai SIN (siti di interesse nazionale) e ad alcune attività, come quello di Siracusa, Melilli, Priolo ed Augusta. L’aumento di questa patologia è aumentato, in questi territori, anche tra la popolazione che non lavorava nelle fabbriche o nei cantieri. Si tratta della cosiddetta esposizione ambientale.
Tante sono le famiglie che si sono avvalse della consulenza legale gratuita dell’Ona. L’associazione, inoltre, contribuisce alla mappatura dei siti contaminati con una App apposita.
Tumore polmone nella Lista I dell’Inail
Come patologia professionale il tumore del polmone è inserito nella Lista I dell’Inail. Per queste malattie (tra cui è incluso anche il mesotelioma), è onere del paziente o dei familiari della vittima di provare soltanto la presenza dell’amianto sul luogo di lavoro e, quindi l’esposizione. Anche relativa a decenni precedenti la manifestazione della malattia, per via dei lunghi periodi di latenza. A questo punto può ritenersi dimostrata la rilevanza causale di quest’ultima rispetto alla patologia insorta e la vittima dell’amianto può ottenere il risarcimento.
Tumore colon nella Lista II
L’Inail, invece, riconosce l’amianto come “probabile” causa del tumore del colon. In questo caso spetta invece al paziente colpito dalla patologia di dimostrare scientificamente, attraverso i dati epidemiologici, la riconducibilità causale all’esposizione all’asbesto.