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martedì, Settembre 10, 2024

Stress, la relazione con lo stile di vita

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Lo stress fa invecchiare, e può incidere sui ritmi del sonno-veglia, ed essi a loro volta possono incidere sui livelli di stress stesso. Un bel problema, a prima vista, ma che in realtà può essere risolto. E lo dimostrano le ultime ricerche sul tema.

Altri aspetti che riguardano lo stress, sono appunto l’alternanza sonno-veglia e il lavoro. Ed in quest’ultimo caso, a soffrirne di più sono le donne. Lo ha messo ben in evidenza una ricerca pubblicata sulla rivista Labour Economics. Lo stress delle donne deriva soprattutto dalla mancanza di flessibilità oraria e dal mancato riconoscimento delle proprie competenze. A questi aspetti, inolre, si aggiungono le disparità di trattamento economico e contrattuale con gli uomini; nonché la sproporzione del carico di lavoro e cura familiare che va dai figli ai genitori anziani. Lo smart working può solo in parte risolvere alcune questioni.

Stress e invecchiamento, il dietro front biologico

stress grafico
Fonte: Jesse R. Poganik, Bohan Zhang, Gurpreet S. Baht, Alexander Tyshkovskiy, Amy Deik, Csaba Kerepesi, Sun Hee Yim, Ake T. Lu, Amin Haghani, Tong Gong, Anna M. Hedman, Ellika Andolf, Göran Pershagen, Catarina Almqvist, Clary B. Clish, Steve Horvath, James P. White, Vadim N. Gladyshev, Biological age is increased by stress and restored upon recovery, Cell Metabolism, 2023

Esempi di gravi fonti di stress per l’organismo umano possono essere un intervento chirurgico d’emergenza, una gravidanza o una grave forma di Covid. Questi eventi possono far invecchiare prima del tempo le nostre cellule, a causa di modificazioni chimiche che cambiano l’espressione del Dna. Si tratta però di un processo reversibile.

Un gruppo internazionale di studiosi, provenienti dalla Duke University School of Medicine e dall’Harvard Medical School di Boston, hanno compreso come avvengono le fluttuazioni dell’età biologica dopo stimoli molto stressanti. I ricercatori erano coordinati, rispettivamente, dal dott. James White e dal dott. Vadim Gladyshev. Lo studio è stato condotto sia sui topi che sugli essere umani ed è uscito sulla rivista Cell Metabolism.

Spiegano gli studiosi nella loro pubblicazione, che i “dati mostrano che l’età biologica subisce un rapido aumento in risposta a diverse forme di stress, che si inverte dopo il recupero dallo stress. Il nostro studio scopre un nuovo livello di dinamica dell’invecchiamento che dovrebbe essere considerato in studi futuri. L’elevazione dell’età biologica dovuta allo stress può essere un obiettivo quantificabile e perseguibile per interventi futuri“.

Infatti – sostengono – “l’età biologica è fluida e mostra rapidi cambiamenti in entrambe le direzioni“. E “gli individui possono essere biologicamente più vecchi o più giovani di quanto la loro età cronologica implichi“. Insomma l’età biologica è strettamente collegata agli eventi della vita.

Lo strumento di misurazione usato dai ricercatori, sono gli “orologi biologici epigenetici” del Dna. Si tratta delle modificazioni che avvengono a livello cellulare a seguito dell’influenza di fattori esterni quali ambiente e stile di vita fattori (esposizione ad agenti fisici e chimici, dieta, attività fisica, etc). L’analisi delle modificazioni ha fatto comprendere agli studiosi che lo stress può influenzare molto l’invecchiamento cellulare. Ciò può avvenire anche in breve tempo (giorni o mesi), ma tale processo è transitorio e dopo un periodo di recupero si inverte. Per il futuro, sarà necessario studiare ancora questi processi per “collegare, ad esempio, il recupero riuscito dell’età biologica a seguito di un evento stressante a un migliore esito clinico“.

Come influiscono il sonno e le abitudini di vita

L’altro aspetto che può incidere sullo stress è il ritmo del sonno. E viceversa. Infatti le abitudini di vita possono incidere sui ritmi del sonno e questi ultimi possono a loro volta incidere sui livelli di stress, che può essere affrontato in maniera diversa da chi ha abitudini diverse relativamente al ritmo sonno-veglia.

In foto: prf. Ugo Faraguna (unipi.it)

In base ad una ricerca dell’Università di Pisa coordinata dal prof. Ugo Faraguna e pubblicata sulla rivista Chronobiology International, infatti, è emerso che chi per abitudine è più attivo di notte, risponde in maniera meno efficace agli stimoli stressanti. Lo studio ha coinvolto un campione di 120 persone adulte e sane. Il 15% della popolazione sono i cosiddetti “gufi”, soggetti cioè che hanno le stesse abitudini dei rapaci notturni: fanno tardi la sera e la mattina sono in difficoltà. Un altro 15% invece sono le cosiddette “allodole”, cioè persone che preferiscono essere attive la mattina molto presto e sfruttando al massimo le prime ore del giorno. Analizzando il campione, i ricercatori hanno visto che i “gufi” hanno minore capacità di risposta allo stress o eventi traumatici (separazioni, lutti, etc) rispetto alle “allodole”; e che tendono di più a fumare o bere alcolici.

Da tempo l’università di Pisa studia i meccanismi del sonno e i disturbi ad esso legati. “Monitorare i disturbi del sonno è difficile” – spiega il prof. Faraguna. “Però è cruciale, perché la qualità del sonno influenza la salute ed è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di malattie neurodegenerative come demenze e malattia di Parkinson“.

Di recente il prof. Faraguna ha anche presentato un dispositivo denominato “Dormi“, che è in grado di fornire al medico, a distanza, i dati clinici del sonno del paziente. Si tratta del primo dispositivo indossabile validato scientificamente per il monitoraggio continuo dei disturbi del sonno.

Donne e lavoro, lo stress anche in smart working

Lo smart working, ossia il lavoro da casa, può in alcuni casi contribuire ad alimentare lo stress. Lo ha sottolineato il ministro della salute Orazio Schillaci, che è intervenuto sul tema in occasione della Giornata della salute delle Donne.

Lo smart working è la possibilità di lavorare da casa che enti pubblici e privati hanno la facoltà di prevedere per i propri dipendenti. Può essere avviato su richiesta del dipendente; oppure gli enti possono proporlo in maniera spontanea, per ridurre le spese, oppure istituirlo per motivi di necessità (come è successo nel periodo della pandemia, per prevenire e limitare i contagi da Sars-Cov-2).

Lavorare da casa, però, spesso in spazi piccoli dove ai doveri lavorativi si sommano quelli familiari, aumenta il livello di stress e richiede interventi di tutela della salute a garanzia del benessere psicofisico“. Importante quindi, ha sostenuto il ministro Schillaci, “assicurare la piena tutela delle lavoratrici madri“.

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