IL MCLEAN COUNTY MUSEUM OF HISTORY DI BLOOMINGTON, ILLINOIS, HA INAUGURATO UNA TOCCANTE MOSTRA CHE INDAGA SU UNA DELLE PAGINE PIÙ DRAMMATICHE DELLA STORIA INDUSTRIALE AMERICANA: L’USO DELL’AMIANTO E LE SUE DEVASTANTI CONSEGUENZE SULLA SALUTE PUBBLICA. INTITOLATA “A DEADLY DECEPTION: THE ASBESTOS TRAGEDY IN MCLEAN COUNTY”, L’ESPOSIZIONE È VISITABILE FINO AL 2027. ATTRAVERSO DOCUMENTI, TESTIMONIANZE E REPERTI STORICI, LA RASSEGNA RACCONTA COME QUESTO MATERIALE PERICOLOSO ABBIA SEGNATO IN MODO INDELEBILE LA VITA DI MIGLIAIA DI LAVORATORI E DELLE LORO FAMIGLIE AMERICANE, OFFRENDO UNA RIFLESSIONE SULLA NEGLIGENZA AZIENDALE E LE SUE TERRIBILI RIPERCUSSIONI
La mostra “A Deadly Deception: The Asbestos Tragedy in McLean County” e le storie di vite spezzate
Il cuore dell’esposizione è dedicato alla Union Asbestos and Rubber Company (UNARCO), un’azienda che ha operato a Bloomington dal 1951 al 1972, producendo materiali isolanti a base di amianto. La vicenda della compagnia rappresenta uno dei capitoli più tragici e controversi della storia industriale americana, una delle tante storie di negligenza aziendale e delle devastanti conseguenze sulla salute dei lavoratori.
La decisione della società di trasferire il proprio stabilimento da Cicero, Chicago, a Bloomington nel 1951 fu motivata da ragioni ben precise. A quel tempo, l’azienda era già sotto pressione a causa di un numero crescente di cause legali intentate (e vinte) da lavoratori affetti da patologie gravi, come l’asbestosi e il mesotelioma, causate dall’esposizione al pericoloso minerale utilizzato nei suoi materiali isolanti. Di conseguenza voleva lasciare alle spalle la sua controversa reputazione, trovando una nuova base operativa lontano da Cicero e dalle questioni legali che l’avevano colpita.
Bloomington offriva non solo una posizione strategica nel Midwest, ma anche l’opportunità di ripartire in un nuovo contesto industriale. Tuttavia, il trasferimento non fermò la produzione di materiali a base di asbesto, che proseguì fino al 1972, anche se già dagli anni ’50 le ricerche sui rischi per la salute derivanti dall’esposizione a questo materiale erano ormai note. Durante questo periodo, la compagnia cercò di minimizzare i rischi, adottando pratiche discutibili, come l’uso di radiografie per identificare eventuali segni di malattia nei lavoratori e successivamente licenziandoli una volta rilevati i primi sintomi di patologie respiratorie. Questo approccio mirava a ridurre le responsabilità legali dell’azienda, ma lasciò migliaia di persone esposte a condizioni lavorative altamente pericolose senza alcuna protezione adeguata.
Il crac di UNARCO
Nel 1982, travolta da cause legali e da richieste di risarcimento sempre più numerose, Unarco dichiarò bancarotta. Fu la prima azienda produttrice di materiali contenenti amianto a cadere sotto il peso delle controversie legali ma non l’ultima. Seguirono altre grandi industrie del settore, anch’esse colpite dall’ondata di azioni legali intentate da ex dipendenti malati.
Per fronteggiare l’immensa mole di richieste di risarcimento, nel 1990 fu istituito un fondo fiduciario da oltre cento milioni di dollari, destinato a risarcire i lavoratori affetti da malattie asbesto correlate. Tuttavia, la portata dei danni era così vasta che il fondo si esaurì nel 2019, segno dell’incredibile impatto che il minerale ebbe sulla salute di decine di migliaia di persone.
In definitiva, il trasferimento a Bloomington rappresentò un prolungamento del disastro sanitario che avrebbe segnato profondamente la vita di numerosi lavoratori e delle loro famiglie.
Le storie di vittime di esposizione secondaria
Le malattie come il mesotelioma e l’asbestosi non colpirono soltanto coloro che lavoravano direttamente nello stabilimento ma anche le famiglie, esposte indirettamente alle fibre killer trasportate dagli abiti dei lavoratori nelle loro case. La mancanza di trasparenza e la consapevolezza dell’azienda sui pericoli associati all’amianto aggravò ulteriormente la situazione, provocando uno degli scandali industriali più gravi della storia americana.
Amianto: una tragedia locale con eco nazionale
La mostra non si limita a raccontare le storie dei lavoratori di questa azienda. Mike Matejka, storico e co-curatore dell’evento, spiega che «l’UNARCO non è un’eccezione: è un esempio lampante di un problema ben più vasto. I lavoratori di Bloomington rappresentano una piccola parte di una tragedia che ha coinvolto tutto il Paese». Questa esposizione, infatti, parla di uomini e donne usati come cavie, vittime inconsapevoli di un sistema in cui il profitto prevaleva sulla vita umana.
La direttrice esecutiva del museo, Julie Emig, ha sottolineato la portata universale di questa vicenda: “Questa non è solo la storia di una contea. «È la storia di persone sacrificate in nome del guadagno, costrette a lavorare in condizioni tossiche senza consapevolezza dei rischi che stavano correndo».
Un memoriale per non dimenticare le storie delle vittime
Tra le opere più intense della mostra, spicca un muro commemorativo che rende omaggio alle vittime dell’esposizione a questa micidiale sostanza. Su di esso sono incisi i nomi di 133 persone della contea di McLean, tutte decedute a causa dell’esposizione al “killer silente”. La scelta di chiamarlo così non è casuale: il minerale, invisibile e inodore, ha causato devastazioni irreversibili senza che le sue vittime ne avessero la minima percezione fino a quando non era troppo tardi.
Tra i nomi più significativi incisi su questo memoriale spicca quello di William McHenry, un ex dipendente della fabbrica UNARCO, il cui tragico destino incarna la drammatica realtà di un’intera comunità. McHenry non solo pagò con la vita il prezzo di anni di esposizione all’asbesto sul luogo di lavoro, le fibre causarono involontariamente anche la morte della moglie e dei tre figli.
Questa tragedia familiare mette in evidenza una delle realtà più angoscianti legate a questa sostanza: la trasmissione secondaria delle fibre tossiche. I lavoratori trasportavano involontariamente queste minuscole particelle all’interno delle loro case, una volta che si depositavano sui loro vestiti, capelli o pelle, esponendo così i familiari a un rischio letale.
Oltre a ripercorrere le storie passate, la mostra lancia un forte monito sul rischio asbesto che, purtroppo, persiste ancora oggi in diverse industrie. Gli operai e i macchinisti, che maneggiano prodotti contenenti amianto, sono particolarmente esposti.
Una mostra per riflettere
La mostra del McLean County Museum of History non è solo un viaggio nel passato, ma una lezione potente e attuale. Racconta di un tempo in cui il profitto aveva priorità sulla sicurezza, e i lavoratori pagavano con la loro salute. Oggi, ci ricorda quanto sia importante continuare a lottare per i diritti dei lavoratori e garantire che nessuno debba più soffrire per l’avidità e la negligenza.
“A Deadly Deception” vuole altresì incoraggiare chiunque abbia perso una persona cara per colpa del pericoloso minerale a farsi avanti e condividere la propria storia. Gli organizzatori sperano che, grazie alla loro iniziativa, emergano nuove testimonianze di persone che non hanno mai avuto la possibilità di ottenere giustizia.
L’avv. Ezio Bonanni, presidente ONA: “il profitto aveva la precedenza su ogni altra considerazione”
«La mostra A Deadly Deception: The Asbestos Tragedy in McLean County rappresenta una testimonianza dolorosa di quanto l’avidità economica abbia prevalso sulla vita umana – dichiara il presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, l’avv. Ezio Bonanni – La tragedia della Union Asbestos and Rubber Company (UNARCO) non è un caso isolato, ma riflette un sistema industriale globale in cui il profitto veniva anteposto alla salute dei lavoratori».
Come da anni sottolineo nella mia attività con l’ONA – prosegue Bonanni – la produzione di materiali contenenti amianto è stata portata avanti con piena consapevolezza dei rischi mortali, ignorando deliberatamente le evidenze scientifiche sui danni che avrebbe causato. Migliaia di persone hanno perso la vita o hanno visto le loro famiglie distrutte a causa dell’esposizione a questo “killer silenzioso”. Questo dimostra ancora una volta che, per molte aziende, i guadagni erano più importanti della salute dei lavoratori. Questo tragico modus operandi, che emerge dalla vicenda di Unarco negli Stati Uniti, è purtroppo lo stesso che ha colpito migliaia di lavoratori italiani esposti all’asbesto. Si tratta di una vera e propria guerra contro i diritti umani, dove l’unico vincitore è stato il profitto, a discapito di vite spezzate».