Selene Calloni Williams, è una scrittrice di successo. I suoi libri, hanno fortemente contribuito alla diffusione della psicologia immaginale di Hillman (di cui è stata allieva) e alla conoscenza del fenomeno sciamanico.
Selene Calloni Williams: la “sciamana” immaginalista
Selene Calloni William è un nome molto noto nel settore del coaching. I suoi libri, tradotti e pubblicati in diversi paesi del mondo, hanno contribuito alla diffusione della psicologia immaginale di James Hillman, di cui è stata allieva.
Il percorso di Selene è iniziato nelle foreste di Habarana, una piccola città nel distretto di Anuradhapura (Sri Lanka) e in un eremitaggio buddhista-theravada.
All’epoca aveva solo 19 anni, ma l’esperienza ha segnato definitivamente il suo destino.
Da allora ha insegnato in diversi atenei e tiene regolarmente conferenze in diverse lingue e in ogni angolo del Pianeta.
La sua formazione abbraccia il buddhismo esoterico e lo yoga sciamano e diverse altri lignaggi orientali tra cui quello giapponese.
La psicologia del profondo e il metodo immaginale, l’hanno portata a fondare la sua scuola, l’Imaginal Academy, che conta numerosissimi iscritti.
Possiamo ascoltarla tutte le mattine alle sette in diretta su Fb, Youtube e Instagram.
Intervista a Selene Calloni Williams
D. Il Mito. Ognuno di noi mette sulla scena della vita un mito e ciascuno di noi si libera, si riscatta, quando vede e riconosce il mito che sta vivendo.
Possiamo cambiare il codice narrativo che influenza la nostra vita rendendoci “vittime”, grazie all’identificazione del mito?
R. Sicuramente possiamo cambiare il codice narrativo della nostra vita. Se lo prendiamo in automatico – ha spiegato Selene Calloni Williams – ci affidiamo al codice sociale, che è un codice moralistico, figlio di una mentalità utilitaristica che mira a rendere gli individui misurabili, prevedibili e governabili. Attraverso la consapevolezza ci accorgiamo che c’è un altro codice che soggiace a quello sociale ed è quello “naturale”, che è il codice della Bellezza, dell’Amore, del Sacro. E’ la capacità di darsi, di offrirsi, il cosiddetto “sacrum facere”.
Il codice della bellezza ci aiuta a cambiare i nostri valori, i significati che diamo elle esperienze della nostra vita. Risultato? Cambiando i codici della nostra narrazione, cambiamo la direzione della stessa.
Mito, archetipo e simbolo secondo Selene
D. Il mito si lega all’archetipo, alla matrice e l’archetipo a sua volta si manifesta sotto forma di simboli. Facciamo chiarezza sui significati e sulla differenza fra mito, archetipo e simbolo.
R. Il mito è il grande contenitore, è la narrazione. Noi stessi siamo narrazione. Questa avviene sulla base di un codice che può essere sociale o naturale. Come abbiamo detto, il primo è quello dell’amore, della bellezza. Il secondo invece è un codice sociale estremamente pericoloso. E’ quello del potere, del controllo e ci rende “vittime”. Noi siamo narrazione, mito. Se siamo consapevoli, incarniamo un mito naturale se non lo siamo, incarniamo il mito nel suo significato sociale peggiore.
Archetipi
Gli archetipi sono la forma principale del mito e delle esperienze che noi mettiamo in scena vivendo. Gli antichi li definivano “dei”. Il termine archetipo è oggi usato dagli psicologici. Come diceva James Hillman, “noi non possiamo che fare nel tempo ciò che gli dei fanno nell’eternità”.
Ciascuno di noi fondamentalmente incarna un archetipo: della Madre, del Figlio, del Povero (mito di Penia, la dea della povertà e del bisogno), Plutos il dio della ricchezza e così discorrendo. L’archetipo si manifesta sotto forma di simboli.
La parola ha in sé la radice del prefisso greco σύμ- (sym-), “insieme” con il verbo greco βάλλω (ballo) “getto”, letteralmente significa quindi “mettere insieme”, unire, armonizzare. L’archetipo che si manifesta sotto forma di simbolo ha l’obiettivo di riunirci alla divinità originaria.
Risultato
Quando ciò avviene, ci rendiamo che la nostra esperienza non è più individuale ma universale. Alla fine non esiste un destino migliore o peggiore. Ciascuno deve compiere la propria esperienza, il proprio destino, perché essi sono divini. Quando arriviamo a questa profonda comprensione e accettazione del nostro destino, allora diventiamo narratori delle nostra narrazione, possiamo trasformarla a nostro piacimento. Siamo Uno con il dio stesso!
Selene e l’importanza del rito e dell’iniziazione
D. Quanto è importante il rito, con tutte le sue pratiche, dai mantra ai mudra delle mani alle posizioni yoga, soprattutto dello shamanic leap.
E, per accedere al rito è necessaria una iniziazione?
R. Il rito è fondamentale per trasformare il mito. Quando noi abbiamo compreso il mito che abbiamo messo in scena nella nostra vita vivendo e abbiamo accettato il Dio, l’Archetipo, noi siamo lui e, come detto, abbiamo il potere di trasformare la narrazione. Come? Solo attraverso il rito.
Purtroppo al rito è stato tolto il potere. Questo è accaduto quando è stato separato dal mito e viceversa.
Ad appropriarsi di esso sono pochi “eletti”: le Istituzioni, fondamentalmente, (politiche, religiose, economiche, terapeutiche).
Dobbiamo riprenderci questo potere del rito perché è lui a darci il potere di essere i narratori, i protagonisti della nostra storia e del nostro destino. Il rito è potentissimo. Quando lo compiamo, la psiche, che non distingue fra la realtà e finzione (questi sono solo parametri mentali) vede quello che sta accadendo e lo manifesta.
Selene parla del “Sacro”
D. Sacro: è una parola inflazionata. Cosa vuole dire per lei?
R. L’etimologia “sacrum facere” lo spiega bene: vuol dire fare offerta di sé, darsi, offrirsi. E’ l’azione dell’amore, che è il vero senso dell’esistenza. Significa esistere per il Sacro che è il principio e la fine della nostra esistenza. E’ ciò che da senso a tutto.
Insidie nascoste
D. I pericoli dell’Ego, la trappola dell’autostima, del pensiero “positivo” e della smania del potere. Perché è meglio restituire il “toro bianco” protagonista della leggenda del Minotauro?
R. Il senso dell’Io è il grande problema! L’Io ha senso solo quando è associato al verbo amare. Quando è associato a qualsiasi altro verbo: io sono, io ho, io faccio etc, diventa il principio della sofferenza.
Gesù ma anche Buddha, ci hanno indicato la vera strada. Il Messia ha portato in essere fortemente questo senso dell’Io, ma unicamente allo scopo del sacrificio, dell’amore, del darsi.
In psicologia (Selene è anche psicologa n.d.r) le patologie principali affondano le loro radici in un senso dell’Io rigido, sclerotico. Si è tanto più creativi e vincenti, tanto più abbiamo un Io creativo, elastico, capace di dare soluzioni, di dissolversi e ritrovarsi come luce di lampo, in grado di svanire e apparire incessantemente. Un Io chiuso in sé stesso è fortemente limitante.
Ogni percorso spirituale deve portarci al suo superamento.
E’ un cammino che si differenzia molto dalle terapie desacralizzate, le quali partono sempre dall’Io e hanno come fine il rinforzo delle sue stesse categorie Perché lo fanno? Sostanzialmente allo scopo di poter esercitare un controllo sociale.
Missione dell’anima
D. Daimon: Nel suo libro ci insegna ad ascoltare la voce del Daimon per realizzare la missione dell’anima. È possibile guarire le ferite dell’anima leggendo una storia?
R. Certo. Questo è il metodo sciamanico. Gli sciamani di tutte le tradizioni del mondo sono cantautori, bardi, poeti. E’ chiaro che ogni sciamano – ha continuato Selene Calloni Williams – a seconda della sua tradizione etnica e culturale, fa riferimento a un mito diverso. Gli sciamani turco-mongoli ad esempio si ispirano ai cicli epici, gli sciamani sudamericani a quelli di Pachamama, Pachacamac. E così i polinesiani ad altri ancora, i birmani ai Nat e noi, che siamo di tradizione immaginale occidentale, guardiamo al mito greco.
Chi conosce la struttura del mito ha la chiave della psiche. Tocca al coach, allo sciamano, attraverso le chiavi poietiche, immaginali del mito, restituire questa narrazione alla persona che te l’ha data, potenziandola, a livello dinamico, gioioso, liberata dalle radici del dolore e della sofferenza. Solo così una vittima si trasforma in vincente.
Questa è l’operazione psico sciamanica che va fatta, ma la nostra cultura, quella del potere e del controllo, l’hanno dimenticato. Essa vuole che tutti abbiano un mito sociale universale. Ci vuole tutti uguali.
Come non perdersi nel caos secondo Selene
D. Bisogna avere un caos dentro di sé, per generare una stella danzante (Nietzsche)
Come facciamo a livello pratico a non perderci nel caos improduttivo?
R. Dobbiamo avere una luce che ci guida. Questa è la luce dell’ideale, dell’eidolon (dal greco εἴδωλον, immagine). E’ immagine simulacro di una dea, di un dio. Dobbiamo avere questo ideale che ci guida e che trascende l’Io.
Occorre tuttavia fare attenzione a non confondere l’ideale con l’ideologia. Quest’ultima è sempre animata dalla paura. Parte dall’Io e lo illude, facendogli credere di poter raggiungere qualsiasi obiettivo, ma non è così.
Attraverso le ideologie i popoli vengono manipolati. L’ideale è invece qualcosa che trascende l’Io. Per i giapponesi è ikigai (iki-vivere, gai-ragione).
Ho espresso questi concetti nel mio libro Ikigai: ciò per cui vale la pena vivere (2109).
Questo ideale il più delle volte è difficilmente traducibile in termini razionali dalla mente, perché è più vasto della mente stessa, la trascende. E’ un sentimento del cuore che può essere colto solo dal pensiero del cuore ma non dalla mente razionale. Avere questo ideale ci permette sempre di partorire una stella danzante quando ci troviamo nel caos, senza farci diventare vittime dello stesso.
Sesso secondo Selene
D. Lei parla spesso di unione erotica con con il divino, ierogamia. Cosa vuol dire “sesso” per un immaginalista?
R. L’unione con il divino è l’espressione pura dello stato creativo. Il divino è tutto ciò che ancora non sappiamo e che ci resta da conoscere. Il mistero che abbiamo tutto intorno. Quando ci uniamo con il divino creiamo qualcosa di nuovo, originale e proviamo piacere. L’atto creativo è sempre un atto orgasmico. Tutti gli organi provano piacere. Se facciamo cose ripetitive, in unione con la mente, con il conosciuto, non solo non produciamo niente di creativo ma ci sentiamo sviliti.
Bisogna avere il coraggio, ogni volta che si affronta un compito, di svuotare la mente e di agire in uno stato di non mente, come se fosse veramente la prima volta che noi facciamo qualcosa. Avere il coraggio di vivere senza modelli e sistemi precostituiti significa avere il coraggio della ierogamia, delle nozze divine, del matrimonio mistico. Coraggio che Cassandra, nel mito greco, non ha avuto. Cassandra era amata da Apollo e il dio le aveva offerto il dono della profeteia, della profezia. Ma quando si trattò di unirsi eroticamente a lui, ebbe paura. Il Dio, che non poteva ormai riprendersi il suo dono, le sputò in bocca. Da quel momento la donna non fu mai più creduta.
Platone chiamava questa unione con il divino “mania”, follia. E’ una follia estatica, entusiastica, che dobbiamo manifestare quotidianamente, anche in ogni piccola cosa.
Pacificare gli antenati
D. I nostri antenati, che sono daimones, lasciano una traccia indelebile nella nostra esistenza, ma spesso non ce ne rendiamo conto. Lei dice che il tempo non esiste: passato, presente e futuro sono simultanei.
Cosa possiamo fare per “pacificare” il nostro rapporto con loro e guarire pertanto simultaneamente ogni arco, canonicamente definito “temporale”, guarendo altresì i “venti del karma”.
R. I nostri antenati – ha continuato Selene Calloni Williams – influiscono moltissimo sulla nostra vita, almeno fino a duecento cinquant’anni prima della nostra nascita. Perché? Chi sono gli antenati? Fin tanto che siamo dentro al paradigma dell’Io, vediamo gli antenati come individui che sono esistiti prima di noi. In verità, essi sono immagini dell’anima, nelle quali riflettiamo paure, resistenze, attaccamenti che ci portiamo dietro in base al mito che abbiamo scelto e che dobbiamo risolvere.
Quando vediamo un disagio, una imperfezione, un limite in un nostro antenato, ma anche in un nostro discendente, dobbiamo avere la forza di riconoscerlo come uno specchio. Dobbiamo capire che quel limite è lì per permetterci di superarlo attraverso l’amore incondizionato. Se riusciamo in questa impresa, ci troviamo davanti a un’azione spirituale che ci nobilita, ci eleva e ci libera.
In caso contrario, ci sentiremo sempre vittime. Affrontare il tema degli antenati vuol dire ribaltare completamente la visione delle cose, vuol dire guardare dentro, non fuori di noi e trovare le risorse per amare, benedire, ringraziare ed avere fede.