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martedì, Settembre 10, 2024

Sacro Bosco di Bomarzo: viaggio nel Parco dei mostri

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Il Sacro Bosco di Bomarzo, anche noto come il “Parco dei Mostri”, è un luogo carico di riferimenti ermetici e alchemici. Iniziamo questo viaggio nel mondo metafisico.

Sacro Bosco di Bomarzo: committente e realizzatore

Il Sacro Bosco di Bomarzo, si trova nell’omonima località in provincia di Viterbo (Tuscia), alle pendici dei monti Cimini.

A idearlo, l’architetto Pirro Ligorio (1513- 1583), un nobile napoletano appassionato d’arte. Per intenderci, è lo stesso personaggio che portò a termine i lavori di Michelangelo nella “Fabrica di San Pietro”, alla morte del genio.

Riguardo al Sacro Bosco, il committente fu il Principe Pier Francesco Orsini, detto “Vicino” (Signore di Bomarzo dal 1542 al 1586), in memoria della moglie Giulia Farnese.

Il Signore, si era ritirato nel palazzo di famiglia dopo la carriera militare al seguito delle truppe papali. Da quel momento decise di dedicarsi alla realizzazione del bosco, per “sfogare il core”, a seguito del grave lutto.

Un Principe “esoterista”

Orsini era un amante dell’esoterismo, dell’ermetismo, dell’alchimia, nonché seguace della corrente neoplatonica cara a Cosimo de Medici, Pico della Mirandola e Marsilio Ficino.

Ebbene, durante i cenacoli rinascimentali, gli intellettuali discutevano di argomenti di altissima filosofia, incluso il viaggio metafisico oltre le “Colonne d’Ercole”.

Parliamo del viaggio della “mente illuminata” verso la conoscenza in generale, ma anche e soprattutto della conoscenza di sé stessi.

Il Sacro viaggio alla ricerca della Verità

In questo contesto, lo stesso Bosco, doveva rappresentare in maniera allegorica, il viaggio dell’uomo oltre i “veli della Maya”, cioè di quell’illusione che impedisce all’uomo di fare esperienza della Verità. 

E in effetti, addentrandosi nel Parco, si ha la sensazione di perdersi in una dimensione surreale, onirica, densa di misteri non facili da decifrare.

Un viaggio in cui, passando attraverso le “selve oscure”, della passione e del vizio, ci si può finalmente elevare.

Per farlo occorre tuttavia morire e rinascere,  passando attraverso un percorso iniziatico che porta a ricongiungersi con l’armonia dell’Universo.

Solo così è possibile raggiungere la vera felicità,  l’atarassia, che per gli epicurei coincideva con la liberazione da ogni turbamento.

Il Parco sembra la traduzione, in chiave architettonica, della Hypnerotomachia Poliphili, un romanzo allegorico del 1499, che ha per tema centrale la ricerca della donna amata (metafora di una trasformazione interiore alla ricerca dell’amore platonico).

Richiama altresì alla memoria le descrizioni surreali presenti nei racconti mitologici. Iniziamo l’avventura.

La casa pendente nel Sacro Bosco di Bomarzo

All’ingresso si incontra come prima cosa un arco merlato e lo stemma degli Orsini. 

Poi una serie di statue risalenti alla seconda metà del XX secolo.

Vicino all’ingresso antico c’è la “casa pendente”, una struttura che sfida, volutamente, la forza di gravità.

Su un lato della costruzione campeggia la scritta enigmatica: «Quiescendo Animus Fit Prudentior Ergo» cioè “riposando l’anima diventa migliore”.

La frase si riferisce alla “quiete” alchemica, a quella stabilità elementale che si può ottenere solo quando ci si ricongiunge con l’Uno, con il principio Creatore. 

Le sfingi guardiane 

Superata la soglia d’ingresso, due sfingi accolgono i visitatori. Anche in questo caso, troviamo due scritte sibilline. 

«Chi con ciglia inarcate et labbra strette non va per questo loco manco ammira le famose del mondo moli sette».

E «Tu ch’ entri qua, pon mente parte a parte e dimmi poi se tante meraviglie sien  fatte per l’inganno o pur per l’arte».

Significato?

L’uomo ordinario che guarda solo con l’organo della vita, senza usare la mente, non  comprende il valore della vera arte “regia”, cioè l’alchimia.  

Il profeta Proteo Glauco nel Sacro Bosco di Bomarzo

Fra la vegetazione scorgiamo la statua del profeta Proteo Glauco, l’oracolo marino.

Si tratta di una divinità minore della mitologia greca, che oltre al dono della profezia, aveva anche quello di assumere diverse sembianze per sottrarsi a chi lo interrogava. Si poteva trasformare in animali ma anche in elemento naturale (fuoco, vento o acqua).

La scultura ovviamente non è messa a caso, quale semplice elemento scenografico, ma cela un significato nascosto.

Indica infatti la natura dell’uomo, persa nella vanità di apparire o atteggiarsi in qualcosa che non è.

Morale? 

Solo annullando l’Ego, l’uomo potrà riunirsi con l’Uno e approdare a una vita felice, priva di malizia.

Ercole e Caco

Dopo la scalinata del mausoleo appaiono due giganti:  Ercole e Caco.

A fianco si legge «Se Rodi altier fu già del suo colosso pur di questo il mio bosco anco si gloria ed è per più non poter fo quanto posso».

Il riferimento non è solo alla città di Rodi, nota per il suo colosso, ma al superamento delle “Colonne d’Ercole”, un invito a ridestare il dio interiore, a ritrovare sé stessi, superando i limiti della mente ordinaria.

A cavallo della testuggine 

Addentrandosi tra la folta vegetazione si incontra poi la statua gigantesca di una testuggine, sormontata dalla figura di una donna in forma di colonna. 

L’animale “sacro” alla tradizione orientale, rappresenta  la “Madre primordiale”, la stabilità e la protezione, la saggezza, la lentezza, la longevità, l’immortalità.

La sua corazza rappresenta, a livello simbolico, l’intera struttura cosmica.

Nello specifico, il guscio tondo è un riferimento al cielo, il piastrone quadrato alla terra.  

Insomma è l’emblema del microcosmo (l’uomo) e del macrocosmo (l’Universo).

Ergo, ogni essere umano, attraverso un cammino di perfezionamento, può evolversi, elevarsi dal materiale allo spirituale, fino a divenire il mediatore del cielo e della terra, l’uomo vetruviano per eccellenza.

L’elefante sormontato da una torre

Più oltre appare la statua di un elefante, sormontato questa volta da una torre militare. 

A cavallo del pachiderma, il conduttore cattura un legionario romano. 

Il primo significato, quello più apparente, ci riporta alla vittoria di Annibale su Roma, durante la seconda guerra punica (211 a.C)

Guardando bene la torre, si nota tuttavia la presenza dei merli ghibellini.

Cosa vuol dire?

Come accennato, Orsini era un uomo del Papa, ma se ne era allontanato sia a seguito della strage del 1557, perpetuata da Papa Paolo IV contro il paese di Montefortino, sia per via del decadimento morale della Chiesa.

Analizzando la statua sotto questa prospettiva, si potrebbe ipotizzare che il nobile volesse bacchettare l’intera istituzione religiosa.

Il legionario potrebbe essere quindi il simbolo della romanità papale, mentre l’elefante rappresenterebbe il potere regale.

Dante e Bomarzo: la stessa idea del sacro 

Poco distante, la statua di un drago attaccato da tre bestie, ci fa pensare a Dante nell’Inferno, assalito da una lonza, un leone ed un lupo (lussuria, superbia e cupidigia).

Anche l’idea del viaggio ctonio, della risalita dal basso verso l’alto “al dilettoso monte”, a nuova vita, mostrano delle evidenti analogie con le descrizioni del Sommo Poeta.

Ma non finisce qui.

Il drago era presente nell’iconografia mitologica occidentale precristiana e cristiana, quale incarnazione delle potenze demoniache.

Di contro, nelle scienze alchemiche ed ermetiche e in oriente, ben prima del cristianesimo, l’animale era collegato a Dio. Rappresentava l’idea della trasformazione, dell’evoluzione, della Grande Opera Alchemica applicata sia alla materia bruta sia all’Individuo.

Di conseguenza, la sua duplice natura, benefica e malefica, suggerisce una chiave di lettura ben più profonda: bisogna andare oltre all’apparenza perché ciò che appare “negativo” potrebbe in realtà essere “positivo”. 

Ancora Dante 

Nel mascherone raffigurante un Orco, su cui oggi si legge l’epigrafe «Ogni pensiero vola», originariamente vi era inciso: «Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate». 

L’Orco insomma corrisponderebbe al mostruoso cane Cerbero, il custode del III Cerchio (golosi) (Inf., Canto VI) descritto da Dante. Esso rappresenta il custode che impedisce ai vivi di entrare e ai morti di uscire.

Echidna 

Ancora più avanti incontriamo l’Echidna.

Si tratta di una figura della mitologia greca, che aveva il corpo di donna, ma al posto delle gambe terminava con una coda di serpente e aveva la vulva a bella vista.

Evidente il riferimento alla Dea Madre, la cui vulva rappresenterebbe la “caverna primordiale”, il “luogo delle origini”.

Tanto altro nel Sacro bosco di Bomarzo

Non elencheremo ogni statua, perché sono davvero tante e ognuna ha un significato simbolico nascosto.

Arriviamo direttamente alla fine del percorso, nei pressi del tempio eretto per raccogliere le spoglie mortali di Giulia Farnese.

Iniziamo dalle colonne e dalla cella. Il loro numero  varia da otto (quelle libere) a sedici (quelle accorpate alla cella). 

In numero otto rovesciato è il simbolo dell’infinito. 

La costruzione inoltre ha dei riferimenti astrologici molto evidenti.

Si lega all’ottava casa astrologica, che indica i distacchi e le perdite.

In aggiunta, un disegno del tempio eseguito dal pittore Giovanni Guerra, mostra che il basamento originario era  decorato da dodici medaglioni araldici e da dodici segni zodiacali. 

Il tamburo della cupola ha invece degli oculi orientati verso i punti cardinali. 

Conclusione 

Orsini, attraverso il suo giardino ermetico ci suggeriva insomma di superare la mente, attraverso una ragione illuminata, che lavora in sinergia con l’anima.

«Chi tenta di entrare nel Rosario dei Filosofi senza chiave è pari a un uomo che vuol camminare senza piedi».

Questi gli strumenti di un vero uomo sapiente?

La tavola sul portale del giardino non sembra lasciare spazio, in questo caso, a duplici interpretazioni.

Fonti 

Axismundi

bomarzo.net

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