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martedì, Settembre 10, 2024

Il rischio amianto per flora e fauna

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Quando si parla di rischio amianto e lotta alle fibre killer si parla dei danni che l’asbesto provoca alla salute dell’uomo. Questi danni, comprovati, sono di estrema gravità e vanno dalle infiammazioni a vari tipi di cancro tra cui il mesotelioma, il più aggressivo. (ultima monografia IARC). Tutti i minerali, compreso il crisotilo sono cancerogeni, a prescindere dalla dose. 

Meno si sa e poco si parla invece dei danni che l’amianto provoca alla salute di flora e fauna. In questo articolo approfondiamo questo tema e scopriamo quali sono i datti dell’asbesto all’ambiente e in particolare ad animali e piante.

ONA-Osservatorio Nazionale Amianto si occupa di lotta all’amianto da decenni e di difesa legale degli esposti alle fibre di killer. Si occupa anche di tutela ambientale rispetto al rischio amianto e altri cancerogeni e inquinanti.

In questo giornale è possibile restare costantemente aggiornati sulla materia e gli sviluppi giudiziari, consultando la categoria news amianto.

Rischio amianto e salute della fauna

Nel corso degli anni, le ricerche si sono concentrate principalmente sugli animali domestici, che sono risultati malati dopo aver frequentato ambienti con presenza di fibre amianto. È possibile distinguere le ricerche condotte sui gatti, che sono state relativamente poche, da quelle condotte sui cani, che sono risultate invece più abbondanti.

Gli studi condotti sugli animali domestici lasciano presuppore che gli animali a contatto con le fibre di amianto sviluppano le stesse malattie amianto correlate che sviluppano gli esseri umani.

Il problema dell’amianto non è dunque un rischio esclusivamente per la salute umana ma anche per quella degli altri animali. I grandi stabilimenti di produzione dell’Eternit non ancora bonificati o i siti di interesse nazionale presentano quindi un rischio per mammiferi ed avifauna che possono frequentare le zone contaminate.

Gli studi effettuati sul rischio amianto per la fauna

Il primo articolo pubblicato sull’asbestosi risale al 1931 e riguardava il cadavere di un terrier che aveva vissuto per più di dieci anni in uno stabilimento di lavorazione dell’amianto in Inghilterra. Questo caso ha suscitato interesse perché ha rivelato un nuovo fatto: i polmoni dell’animale presentavano una quantità di collagene tale da causarne la morte per asfissia. Fino ad allora, un fenomeno simile non era mai stato osservato in nessun’altra specie vivente, compreso l’uomo, nonostante l’utilizzo dell’amianto fosse diffuso da secoli.

Dagli anni ’50 in poi, ulteriori studi hanno confermato lo stesso fenomeno: cani di età superiore ai quindici anni, che avevano vissuto a contatto con la polvere di amianto per anni, improvvisamente sviluppavano problemi respiratori e morivano nel giro di pochi mesi. Inoltre, è emerso che non tutte le razze canine erano altrettanto suscettibili e che c’erano differenze anche tra i sessi. Le razze più a rischio erano soprattutto i maschi di pastore tedesco, setter irlandese e bovaro delle Fiandre.

Nel 1983 è stata dimostrata una correlazione diretta tra la presenza di fibre di amianto nei polmoni dei ratti e lo sviluppo del Mesotelioma pleurico. Non molto tempo dopo, lo stesso risultato è stato riscontrato nei cani e negli esseri umani.

Diversi tempi di latenza nell’uomo e negli animali

Nell’uomo alcune malattie amianto correlate hanno lunghi tempi di latenza. Parliamo in particolare del mesotelioma che si sviluppa fino a 50 anni dopo l’esposizione all’asbesto. Nei cani si manifesta al massimo entro otto anni e nei ratti si sviluppa già dopo un anno dall’inalazione delle fibre di amianto.

Questa differenza nel tempo di latenza è correlata al metabolismo diverso delle varie specie e alla loro durata di vita media. Mentre gli esseri umani spesso raggiungono gli ottant’anni, i cani di solito vivono intorno ai quattordici anni e i ratti raramente superano i ventiquattro mesi di vita.

Rischio amianto per la flora esposta

Un aspetto più complesso riguarda il regno vegetale. Non ci sono molte pubblicazioni in questo campo, ma interessanti risultati sono giunti proprio dall’Italia.

Gli stagni e i corsi d’acqua che fiancheggiavano i siti di lavorazione o estrazione di minerali contenenti amianto sono stati i primi laboratori naturali per le analisi. In questi ambienti sono tipiche le fioriture di Lemna gibba, un’alga comunemente conosciuta come “lenticchia d’acqua”. I ricercatori hanno scoperto che le sottili fibre minerali che si depositano sull’acqua si insinuano all’interno delle cellule, causando uno stress ossidativo che influisce sulla formazione delle strutture intracellulari.

Questo processo è simile a quello che si verifica negli animali, ma naturalmente porta a risultati diversi. Nel sistema respiratorio degli animali, le sottilissime fibre di amianto vengono attaccate dai globuli bianchi che, non potendo eliminarle, esplodono e rilasciano atomi di ossigeno nel circolo sanguigno. Questi atomi, noti come “radicali liberi”, possono causare tumori o alterazioni dell’equilibrio interno dell’organismo.

Nelle piante, invece, i radicali liberi compromettono la normale funzionalità degli organelli e possono influire sulla stabilità dell’intera pianta.

Le piante come filtri naturali per le fibre di amianto

Come spesso succede nel regno vegetale, le piante mostrano meccanismi di difesa complessi ed enormi possibilità per la ricerca. Vicino alla miniera di amianto di Balangero (TO), che ha fornito materiale per lo stabilimento di Casale Monferrato per decenni è stata studiata una specie di lichene che si comporta come un vero e proprio filtro per le fibre di amianto. Infatti è in grado di intrappolare le fibre presenti nell’aria, proteggendo l’ecosistema circostante. I ricercatori dell’Università di Torino, Sergio Favero-Longo, Consolata Siniscalco e Rosanna Piervittori, sono stati gli autori di questa scoperta consultabile qui.

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