Alla scoperta della “pet therapy”
La pet therapy è una “cura” che prevede l’interazione tra una persona e un animale addestrato, al fine di superare problemi fisici e mentali.
Si divide in tre rami:
- rieducazione attraverso il contatto e l’osservazione dell’animale (Eaa);
- riabilitazione attraverso attività svolte con gli animali (Aaa);
- terapia assistita con l’ausilio animale (Taa).
Solitamente si impiegano cani e gatti, tuttavia si può ricorrere anche a pesci, cavie, cavalli, asini, rapaci, delfini e altri animali.
L’elenco degli animali che possono essere coinvolti è definito dal Dpcm del 28 febbraio 2003.
Ad ogni modo, nella selezione dell’animale più adatto per i programmi assistiti, bisogna prendere in considerazione diversi fattori, primo fra tutti il paziente cui è destinato.
È essenziale infatti che si sviluppi la giusta empatia fra animale e malato: un animale eccessivamente nervoso, potrebbe impaurire il paziente, mentre un animale eccessivamente timido potrebbe non stimolare in modo adeguato un soggetto già di per sé introverso.
Quando è nata la pet therapy?
Il primo a ricorrere a questo tipo di terapia fu lo psichiatra infantile statunitense Boris Levinson, negli anni ‘60.
Il medico notò che il suo cane Jingles aveva aiutato un bambino autistico a progredire.
Da quelle osservazioni nacquero alcune teorie scritte nel “Il cane come coterapeuta” e la pet teraphy, quale disciplina di aiuto alle terapie tradizionali, iniziò ad essere seriamente considerata dalla medicina ufficiale.
Il percorso italiano
La prima proposta di legge che ne prevedeva il riconoscimento fu promossa dall’onorevole Piero Ruzzante nel 1997.
Nel 2003, l’allora deputata Carla Castellani presentò una seconda proposta di legge.
Il riconoscimento vero e proprio avvenne nello stesso anno con il Decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 28 febbraio del 2003.
Il decreto “recepisce un accordo tra il Ministero della Sanità e le Regioni sul benessere apportato dalla presenza degli animali, in particolare in alcune situazioni e patologie definendo le specie di animali da compagnia da utilizzare”.
Inoltre sancisce che questo approccio terapeutico debba venire esercitato da personale con competenze specifiche.
Il 25 marzo 2015 è arrivato un accordo tra Stato e Regioni, che definisce in maniera maggiormente dettagliata la pet therapy.
Fido in pole position
Il cane è senza dubbio l’animale che più frequentemente viene chiamato a svolgere il ruolo di co-terapeuta ed è di lui che parleremo in questo articolo.
Solo negli Stati Uniti si addestrano oltre 50.000 cani da terapia. I motivi sono diversi:
- Rapporto uomo-cane. Il cane è stato uno dei primi animali con i quali l’uomo ha instaurato un legame. È un animale socievole, che cerca il rapporto con l’uomo ed è abituato a un ordine gerarchico;
- È inoltre un animale capace di adattarsi a situazioni disparate e docile nel ricevere un’educazione. Tutte caratteristiche che lo predispongono a una più completa e profonda interazione con gli utenti della pet therapy.
- Parte di ciò che rende il cane speciale e che è una delle poche specie che generalmente non ha paura degli estranei.
Requisiti importanti per la pet therapy
Il primo passo nella pet therapy è la selezione dell’animale adatto.
Sia l’animale prescelto sia il suo formatore devono soddisfare inoltre determinati requisiti:
1) un esame fisico dell’animale deve confermare che è immunizzato e privo di malattie;
2) bisogna che il cane abbia frequentato un corso di addestramento all’obbedienza;
3) occorre una valutazione del temperamento e del comportamento dell’animale;
4) l’organizzazione promotrice deve possedere un’idonea certificazione.
Una volta approvato il team animale/formatore, gli animali vengono assegnati alla terapia in base alle esigenze di una persona specifica.
Il tipo, la razza, la taglia, l’età e il comportamento naturale dell’animale determineranno a quale paziente dovrà essere destinato.
Riguardo alla razza, alcune sembrano aver dimostrato un maggior grado di socialità e per questo vengono più facilmente scelte (es. il Golden Retriever).
I benefici
In linea di massima, tutte le persone beneficiano dell’interazione con i cani.
Sopratutto in ospedale, i malati possono avere meno ansia se è presente un animale domestico.
Nella riabilitazione, i pazienti possono essere più motivati a riprendersi e a praticare la loro terapia quando lavorano con un animale domestico.
Le persone che hanno disabilità sensoriali a volte possono comunicare più facilmente con un animale.
Anche se la pet therapy da sola non è risolutiva, associata ad una terapia vera e propria darà il suo valido contributo.
Qualche esempio?
Accarezzare un cane può rilasciare endorfine che producono un effetto calmante.
Questo può aiutare ad alleviare il dolore, ridurre i livelli di ormone dello stress e migliorare lo stato psicologico generale, regolare la respirazione e abbassare la pressione sanguigna.
Pare inoltre che, grazie alla terapia, si riesca a rilasciare ossitocina, l’ormone “dell’amore”, che stimola il desiderio sessuale, favorisce l’affettività e l’empatia.
Gli obiettivi della pet therapy
Gli obiettivi della pet therapy sono diversi e definiti di volta in volta a seconda delle esigenze de paziente.
I relativi progressi vengono poi registrati e monitorati in sessioni strutturate.
Tra gli obiettivi più comuni:
1) migliorare le capacità motorie e il movimento articolare;
2) migliorare il movimento assistito o indipendente;
3) aumentare l’autostima;
4) aumentare la comunicazione verbale;
5) sviluppare abilità sociali;
6) migliorare le interazioni con gli altri;
7) motivare all’esercizio fisico
Altri vantaggi della pet therapy includono:
Di seguito potrai leggere altri vantaggi riscontrati dopo aver effettuato questa particolare terapia:
1) un ottimo antidepressivo;
2) diminuisce il senso di solitudine e l’isolamento;
3) riduce la noia;
4) riduce l’ansia grazie ai suoi effetti calmanti;
5) aiuta i bambini ad apprendere abilità empatiche ed educative.
Rischi della pet therapy
I rischi della pet therapy riguardano sostanzialmente la sicurezza e l’igiene.
1) Le persone allergiche ai peli di animali possono avere reazioni durante la pet therapy;
2) Sebbene non comuni, possono verificarsi lesioni umane quando vengono utilizzati animali non idonei;
3) Gli animali stessi possono subire lesioni;
4) In alcuni casi, le persone possono diventare possessive nei confronti degli animali ed essere riluttanti a rinunciare alla loro presenza dopo le sedute.
A chi si rivolge la pet therapy?
A parte che chiunque può trarre giovamento della vicinanza con gli animali, la pet therapy è rivolta sopratutto a:
1) persone sottoposte a chemioterapia;
2) residenti in strutture di lungodegenza;
3) persone ricoverate con insufficienza cardiaca cronica;
4) persone con disturbo da stress post-traumatico;
6) bambini sottoposti a riabilitazione fisica o psichica;
7) vittime di ictus e persone sottoposte a terapia fisica per recuperare le capacità motorie;
8) persone con disturbi di salute mentale;
9) pazienti affetti da autismo o anziani con parkinson e alzheimer.
Non è che si sfruttano gli animali?
I benefici della pet therapy sull’uomo sono reali, ma gli animali sono altrettanto contenti?
La risposta si presta a molteplici considerazioni.
Buona parte del mondo vegan non vede di buon occhio questo genere di terapia, proprio in virtù del fatto che rientra nella logica dello “sfruttamento” animale. La scienza tuttavia ci rassicura.
Uno studio pubblicato su Applied Animal Behavior Science evidenzia che i cani da terapia nei reparti di oncologia pediatrica non sono stressati dal loro “lavoro”.
Pare addirittura che lo apprezzino.
“Ciò che ha reso unico questo studio è stato il fatto che era multisito – si è svolto in cinque diversi ospedali in tutto il paese”, afferma l’autrice dello studio Amy McCullough, direttrice nazionale della ricerca e della terapia presso American Humane, un’organizzazione per il benessere degli animali con sede a Washington, DC.
Come lavorano i cani
I ricercatori hanno misurato i livelli di cortisolo, un ormone elevato in risposta allo stress, nella saliva dei cani.
I tamponi sono stati prelevati sia a casa sia il durante le sedute di terapia in ospedale.
Gli scienziati non hanno trovato alcuna differenza tra i livelli di cortisolo dei cani dello studio a casa e in ospedale, prova che i cani da terapia non erano particolarmente stressati.
In ogni caso, il compito principale dei volontari è assicurarsi che i cani non si stressino troppo.
Per questi motivi, ogni due ore agli animali viene concessa una pausa per giocare a palla o fare un pisolino.
Rendere il lavoro divertente
“La scoperta è coerente con una ricerca precedente”, spiega Lisa Maria Glenk, del Vienna’s Università di Medicina Veterinaria.
“Gli studi precedenti fornivano solo informazioni limitate o nulle sulle attività della sessione, il che rendeva difficile identificare le pratiche che aumentano i livelli di stress nei cani”, afferma Glenk.
Riguardo alla piacevolezza del loro lavoro, lo studio sul cancro pediatrico ha evidenziato che i cani sembravano più felici durante alcune attività rispetto ad altre.
Se un bambino parlava con il cane o giocava con il suo giocattolo, per esempio, sembrava suscitare reazioni più amichevoli, rispetto a quando un bambino sfiorava semplicemente l’animale.
Per evitare dunque di “sfruttare” i cani da terapia, gli addestratori e i certificatori dovrebbero cercare di coinvolgerlo in attività piacevoli, non semplicemente “tollerabili”.