L’analisi del DNA estratto dalle vittime e dai sopravvissuti della Peste nera, ha evidenziato che la pandemia ha innescato adattamenti evolutivi nel nostro sistema immunitario.
Peste nera: ha modificato, non sempre in meglio, i nostri geni
Peste nera. Nel corso dell’evoluzione, i nostri geni si sono adattati a combattere malattie terribili, inclusa la peste nera. Scoppiata nel 1340, durante il Medioevo, la pandemia causò decine o centinaia di milioni morti in Europa, Asia e Africa, nell’arco di sette anni.
A scatenarla fu il batterio Yersinia pestis, trasmesso all’uomo attraverso le pulci, ma a un certo punto, i nostri geni sono entrati in campo per difenderci.
«Quando si verifica una pandemia di questa natura – che uccide dal 30 al 50 per cento della popolazione -, ci sarà sicuramente la selezione per gli alleli protettivi negli esseri umani, vale a dire che le persone suscettibili all’agente patogeno circolante soccomberanno». A spiegarlo, il genetista evoluzionista Hendrik Poinar.
«Naturalmente, quei sopravvissuti che sono in età riproduttiva trasmetteranno i loro geni».
Ebbene, secondo alcuni scienziati, quegli stessi geni, oggi possono essere associati ad una maggiore suscettibilità a condizioni autoimmuni, tra cui il morbo di Crohn e l‘artrite reumatoide.
«Questo suggerisce che le popolazioni sopravvissute alla Morte Nera hanno pagato un prezzo, che è quello di avere un sistema immunitario che aumenta la nostra suscettibilità a reagire contro noi stessi», ha spiegato uno degli autori dello studio.
A scoprirlo, un team internazionale di scienziati guidati dai genetisti Jennifer Klunk della McMaster University della McMaster University di Hamilton, in Ontario, Canada, e Tauras Vilgalys dell’Università di Chicago.
La ricerca è stata pubblicata il 19 ottobre su Nature.
L’anemia falciforme resiste alla malaria
Un esempio empirico di adattamento evolutivo del DNA a una malattia infettiva che si è diffusa secoli fa, è rappresentato dall’anemia falciforme, una malattia genetica in grado di resistenza alla malaria.
Questo spiega come mai la sua incidenza sia maggiore all’interno delle popolazioni che vivono in regioni inclini alla stessa.
Le prime ricerche producono scarsi risultati
Per studiare gli effetti della peste, negli anni ‘90, alcuni scienziati studiarono il DNA degli europei viventi. Si resero conto che la mutazione del gene CCR5, era presente nel 10 per cento degli europei, ma rara tra le altre persone. Nel 1998, i ricercatori suggerirono che il gene avrebbe potuto difendere gli individui dalla peste bubbonica.
Ricerche successive mostrarono tuttavia che non era esattamente così.
Dettagli dello studio sulla peste nera
Invece di studiare le persone viventi, i ricercatori del team del Canada e di Chicago hanno esaminato i campioni di DNA (estratto dalla dentina nelle radici dei denti), di individui morti a Londra e in Danimarca, sepolti nelle fosse comuni.
Trecento di essi, provenivano da individui sepolti nel cimitero di East Smithfield, Londra, al culmine dell’epidemia nel 1348-1349. Altri 198 campioni sono stati prelevati da resti umani sepolti in cinque località della Danimarca.
Hanno poi suddivisi i campioni in tre gruppi: il primo apparteneva a individui morti durante la pandemia, il secondo, a chi era morto prima, il terzo, a quelli che erano sopravvissuti, per poi morire qualche tempo dopo.
Dal confronto dei loro genomi, i ricercatori hanno identificato quattro geni associati alla peste nera.
Come accennato, quei geni avrebbero prodotto delle proteine in grado di proteggere il corpo dagli agenti patogeni invasori.
In effetti, gli individui con una o più di queste varianti geniche, sembravano avere maggiori probabilità di sopravvivere alla peste.
Per confermare le loro intuizioni, i ricercatori hanno creato culture di cellule umane (che rappresentano diversi profili genetici) e le hanno infettate con Yersinia pestis.
Risultato? I geni identificati in precedenza nel loro studio sono apparsi di nuovo nelle colture più resistenti al batterio.
Insomma, si diffondono solo grazie alla deriva genetica.
Il dott. Barreiro e i suoi colleghi hanno scoperto che alcune di queste mutazioni neutre sono diventate più comuni dopo la peste nera. «Ma trentacinque delle mutazioni nei geni immunitari ,si diffondono molto più velocemente di quelle neutre – così velocemente che solo la selezione naturale potrebbe spiegare il loro successo».
«Anche se i biologi evoluzionisti si erano precedentemente interrogati sulla possibilità della selezione naturale durante la Morte Nera, un’indagine adeguata non era possibile senza questa precisa datazione di molti campioni»-spiegano i ricercatori.
Il ruolo del gene ERAP2
Il team ha scoperto che una variante del gene ERAP 2 (cellula immunitaria nota come macrofago), aveva una forte associazione con la peste.
ERAP2 produce infatti una proteina coinvolta nella risposta immunitaria a batteri e virus invasori.
Prima della Morte Nera, la variante di ERAP2, era presente nel 40% degli individui inclusi nello studio di Londra. Durante la Morte Nera, la selezione naturale ha favorito la versione funzionante di ERAP2. Dopo la Morte Nera, era salita al 50%.
In Danimarca, la disparità percentile era più forte, passando da circa il 45% dei campioni sepolti prima della peste, al 70% di quelli sepolti successivamente.
I macrofagi di individui con la variante erano più in grado di uccidere i batteri negli esperimenti di laboratorio che dai macrofagi di individui privi di esso.
Lo studio è durato sette anni.
Perché è così importante questa scoperta?
«Prima di questo studio, l’esempio più forte di selezione naturale negli esseri umani era l’aumento della tolleranza al lattosio negli europei», dice Enard.
«Siamo i discendenti di coloro che sono sopravvissuti alle pandemie passate. Comprendere le dinamiche che hanno plasmato il sistema immunitario umano, è la chiave per capire come le pandemie passate, come la peste, contribuiscano alla nostra suscettibilità alle malattie nei tempi moderni», affermano Poinar e il coautore dello studio Luis Barreiro, professore di medicina genetica all’Università di Chicago.
Il team continuerà a studiare gli effetti della peste nera, non solo per capire quel capitolo della storia, ma anche per capire i geni stessi.
Il fatto che abbiano subito una selezione naturale così forte, molto probabilmente significa che sono importanti nella lotta contro le malattie e forse non solo la peste, per la nostra salute. Lo studio dimostra infatti come le pandemie passate potrebbero preparare il sistema immunitario umano a sopravvivere a future pandemie.
Per farlo, Barreiro e i suoi colleghi includeranno più campioni e un sequenziamento del DNA più esteso.
Piccola curiosità. La prima vittima della peste conosciuta al mondo è stata un cacciatore – raccoglitore vissuto 5.000 anni fa in Europa.
Peste nera, limiti dello studio
Avila Arcos, Assistente Professore del Laboratorio Internazionale per la Ricerca sul Genoma Umano dell’Università Nazionale Autonoma del Messico, ha evidenziato i limiti del nuovo studio.
Esso si concentra solo su una popolazione molto ristretta, essenzialmente londinesi e persone che vivevano in Danimarca all’epoca. «Potrebbero esserci molti più meccanismi cellulari che le persone hanno usato per far fronte a questa devastante epidemia», dice.
In ogni caso,«È un lavoro molto innovativo», le fa eco Ziyue Gao, un genetista della popolazione del l‘Università della Pennsylvania a Filadelfia. «Ci chiediamo sempre quali siano le forze che guidano l’evoluzione della popolazione».
Fonti
Nature
doi: https://doi.org/10.1038/d41586-022-03298-z
Klunk, J. et al. Natura https://doi.org/10.1038/s41586-022-05349-x (2022).