Se il coniuge muore per una malattia asbesto correlata (morte da amianto), anche se si è titolari della pensione di reversibilità, si ha comunque diritto anche al risarcimento anche dei danni morali e delle spese funebri. Così come per il lucro cessante (la perdita del beneficio economico della convivenza).
Operaio esposto ad amianto al porto di Marghera
La Corte di Cassazione ha sancito questo principio nel caso della vedova di un operaio di Marghera, a Venezia. L’uomo per diverso tempo era stato impiegato al porto. Purtroppo nel 2000 è morto, a soli 58 anni, per mesotelioma pleurico. Si tratta di un tumore dall’esito spesso infausto che è provocato nella quasi totalità dei casi dall’esposizione all’asbesto. Tanto che è chiamato anche “tumore sentinella”, perché dove si manifesta è sicuro trovare la fibra killer.
Lo spiega bene il presidente dell’Osservatorio nazionale amianto, l’avvocato Ezio Bonanni, nella sua ultima pubblicazione: “Il libro bianco delle morti di amianto in Italia – ed. 2022“. I casi di mesotelioma e di tumore del polmone, come pure di altre patologie, aumentano in modo esponenziale tra i lavoratori che negli anni sono stati a contatto con amianto. A registrarli è il VII rapporto ReNaM dell’Inail, anche se i dati non sono aggiornati. L’Ona stima che ci siano 7mila decessi l’anno soltanto in Italia a causa dell’asbesto.
Ora la vicenda tornerà alla Corte di Appello di Venezia che aveva negato il diritto alla vedova, in una nuova composizione, che dovrà attenersi a quanto sancito dalla Cassazione. Alla vedova spetterebbero, quindi, secondo una prima stima, più di 250mila euro.
Morte da amianto, la tesi della difesa
“La vedova – sono le convinzioni dell’avvocato della donna riportate da nuovavenezia.gelocal.it – riceve la pensione di reversibilità perché il marito ha pagato dei contributi in vita. Cioè per una specifica assicurazione a suo favore”.
“Quindi – continua – non c’è nessuna ragione che il responsabile della morte del marito, nella specie l’Autorità Portuale di Venezia, possa giovarsi dei contributi che il lavoratore aveva versato per assicurare l’avvenire di sua moglie, al fine di ridurre la propria responsabilità patrimoniale per la causazione della morte”. La tesi è stata ora accolta dalla Cassazione.