Siamo difronte ad un mistero difesa, ostico e pieno di peripezie, in cui bisogna combattere per far valere i propri diritti.
Il governo italiano ha stanziato 12 milioni di euro per la bonifica di amianto sulle navi militari italiane. Nonostante questo oggi si contano ancora più di cento unità navali “contaminate” al servizio dello Stato.
La legge del 1992, che aboliva l’uso di questa fibra, non è risultata sufficiente al fine di evitare la strage. I lunghi silenzi da parte dei vertici della difesa sono assai deleteri per chi oggi combatte questa maledetta malattia.
Le navi italiane avevano amianto ovunque, prima della legge 257/92, l’amianto era legale e ampiamente usato in ogni settore. Era particolarmente utilizzato come oggetto di costruzioni nelle navi, grazie alle sue caratteristiche, purtroppo indistruttibili.
Mistero difesa: il dovere lavorativo pagato con la vita
I militari hanno continuato a lavorare senza alcun tipo di precauzione, ammalandosi e morendo. Lavoravano senza sapere che quei materiali in dotazione, di “protezione”, li avrebbero condotti alla morte.
Materiali che nella maggior parte dei casi non veniva neanche assegnato, lasciato nelle loro custodie al riparo per non essere rovinate.
La realtà dei fatti è sconcertante ma vera, le tute di protezione non venivano utilizzate, i militari si trovavano così a respirare amianto h24.
Inoltre, parti delle navi erano composte da amianto friabile.
Per questo motivo, l’effetto del moto ondoso e il lavoro dei macchinari stabilivano un’altissima percentuale di aerodispersione delle polveri e delle fibre del minerale killer.
Allo stesso modo era per le polveri provenienti dalle armi da fuoco utilizzate durante le esercitazioni. Vivevano sulle navi, e proprio il moto della navigazione metteva i marinai in un’estrema e continua esposizione.
Mistero difesa: i cambiamenti dopo il ’93
Dopo il 1993, anno in cui è entrata in vigore la legge 257/92 sul divieto di estrazione, lavorazione e commercializzazione dell’Amianto.
Le cose cambiarono, non troppo favorevolmente in quanto, il materiale posato, ha generato una contaminazione tale da favorire l’esposizione, provocando un’epidemia patologica da asbesto.
Una vera strage di uomini, più di mille tra militari e civili solo negli ultimi venti anni; una delle patologie più comuni è il mesotelioma pleurico.
La Marina Militare è stata denunciata per l’utilizzo di 40.000.000 tonnellate di amianto, soprattutto nelle navi militari.
Tante sono le vicende giudiziarie, lunghe e ostiche, in cui molte volte è impossibile stabilire un nesso, ma è doveroso avere riscatto e riconoscimento.
Le esposizioni subite sono state del tutto deleterie per chi purtroppo non ha potuto evitarle.
La professionalità del Presidente dell’Ona – Osservatorio Nazionale Amianto, l’avv. Ezio Bonanni, sa come prendere per il colletto questi atti giudiziari.
Il Ministero viene condannato: fiume di vittime dell’amianto
Il Ministero della Difesa è stato condannato al risarcimento degli eredi di un sottoufficiale della Marina Militare, morto per aver prestato servizio tra l’amianto.
L’avv. Ezio Bonanni è determinato a proseguire le battaglie vicino le famiglie delle vittime, un dovere per chi sta vivendo questo dolore.
Le morti per Amianto sono continue, così come le battaglie lunghe anni ma che riescono a ottenere risarcimenti.
Scelte di vita, come quella della Marina Militare, che ha portato solo ad una morte obbligata da un’esposizione nociva.
Mistero difesa: quanto ancora si dovrà pagare
Questo problema ancora oggi è tabù, le sentenze arrivano ma dopo lunghi anni di indagini e perizie. Si cerca in ogni modo di arrivare ad un punto certo che riesca a chiarire i tanti perché sorti dopo aver scoperto il lavoro sporco.
Oggi ci troviamo a dover attendere ancora l’inizio delle ultime bonifiche. Vengono fornite le informazioni sull’amianto e naviglio militare, in attesa che venga creata una banca dati ad hoc.
Le bonifiche da effettuare sono ancora 11, oltre a 9 già parzialmente iniziate, per passare poi alla strumentazione piccola.
Il Ministero della Difesa dovrebbe mettersi in primo piano e riconoscere tutte le vittime, ponendo così fine ai diversi contenziosi giudiziari.
Atti che non vedono una fine, statisticamente è già stato possibile dedurre una tempistica in cui si potrà dichiarare che il rischio è finito.
Si parla ancora di qualche decina d’anni; oggi ci troviamo negli anni di maggiore presentazione, vista l’incubazione (30 anni) di questo killer all’interno dell’organismo.