Marina Militare: la triste storia di Nicola Imbagliazzo
Questa è una di quelle storie dolorose, di tre figli che hanno perso il padre, per aver servito il Paese.
È la storia di un omicidio plurimo.
È la storia di quel killer silenzioso i cui effetti devastanti si intravedono dopo anni di limbo: l’amianto.
Un altro marinaio ucciso dalle fibre di asbesto presenti all’interno delle navi della Marina Militare e dall’incuranza di chi era ai vertici, sapeva, ma non ha fatto nulla per impedire questa strage.
È anche l’ennesima dimostrazione dell’indifferenza umana nei confronti di vite che potevano essere salvate o perlomeno tutelate, ma questo non è accaduto.
Nicola Imbagliazzo, nato il 7 febbraio del 1942 a La Maddalena, è stato dipendente del ministero della Difesa dal 1956 al 1979.
È stato arruolato nel 1956 a Marisardegna con la mansione di allievo operaio fino 1960; poi è stato chiamato al servizio di leva che svolse presso la Marina Militare dal ’62 al ’64.
Nicola è stato imbarcato su diverse unità navali, tra le quali il veliero dell’Accademia Amerigo Vespucci.
Come risulta nel fascicolo del PM della Procura della Repubblica presso il Tribunale civile di Padova, le navi della Marina contenevano amianto le cui fibre, per il moto ondoso e per la perturbazione indotta dalle attività di servizio, tendevano a sfaldarsi e venivano rilasciate nell’aria.
Per un periodo ininterrotto di circa 22 anni, cui si aggiungono i 2 anni in cui ha svolto il servizio militare di leva, Nicola è stato impiegato in mansioni, attività e missioni, esposto quotidianamente a polveri e fibre di amianto.
Come ci racconta la figlia Letizia, Nicola ha lavorato a bordo come idraulico tubista.
I tubi erano coibentati con l’amianto; all’epoca questo era presente all’interno delle navi in maniera massiccia.
Quali furono i primi segnali di malessere di Nicola?
“I primi sintomi di malattia di mio padre, nel 2009, passarono inosservati da noi figli ma non da nostra madre che stava a stretto contatto con lui.
Aveva scatti di rabbia che non facevano parte del suo modo di essere.
Poi iniziò ad avere una tosse persistente e molto forte. Eravamo molto preoccupati anche perché papà non aveva mai fumato.
Le metastasi al cervello provocarono dei sintomi particolari, un suo amico ci raccontò che mio padre, che amava molto pescare, un giorno al ritorno dal mare era spaventato e si confidò con lui.
Gli disse che improvvisamente non sentiva più il controllo delle braccia e aveva il timore di non riuscire a rientrare con la barca”.
Nicola adorava il mare e fin da ragazzo andava a pescare con il padre, sia per passione sia per la famiglia.
Nonostante sua madre fosse contraria decise di fare il marinaio, amava il suo lavoro. Era il suo sogno ed era orgoglioso di aver percorso quella strada, non sapendo che l’avrebbe portato alla morte.
Quali accertamenti medici fece suo padre?
“Quando iniziò a stare male chiamammo il medico di base e fu sottoposto a vari accertamenti sanitari tra il quali la Tac al Cranio, al torace e all’addome, all’ospedale di Olbia.
Aveva delle metastasi al cervello. Era troppo tardi per intervenire. Io non me ne facevo una ragione.
Abbiamo fatto tutto il possibile per stargli vicino in quel terribile momento della sua vita”.
Dev’essere stato difficile aver perso un padre a causa dell’amianto…
“Fu un vero shock per tutta la famiglia, proprio quando era arrivato il momento di godere dei frutti di una vita, papà venne a mancare.
Quando mi sposai, chiesi a mio fratello maggiore di accompagnarmi.
Accettò. Ero felice. Ma non era mio padre. Quando è nata mia figlia ho pianto. Avrei voluto avere mio padre vicino a me. Ma lui era morto. Tutti noi sognavamo per lui una vecchiaia felice, con i nipotini ma questo non è stato possibile. Non doveva morire così”.
Sono parole colme di dolore e di rabbia, quelle di Letizia
Nel 2011 la moglie di Nicola aveva presentato una domanda amministrativa per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia del marito.
La risposta del ministero della Difesa (Direzione per l’Impiego del personale della Marina), in ordine all’attività di servizio di Nicola fu: “Si dichiara ai sensi della documentazione agli atti, che all’epoca in cui sono state costruite le predette Unità Navali l’amianto era comunemente impiegato nella costruzione e non sottoposto a restrizioni”.
Come riportato da documentazioni mediche e trattati scientifici, i tempi di latenza delle malattie causate dall’inalazione delle fibre di amianto sono lunghi.
Nessuno, tra quelli che sapevano che l’amianto era pericoloso, ha mai parlato, non sono state usate protezioni e non hanno mai sottoposto i militari a screening medici per monitorare il loro stato di salute.
“Quando mio padre iniziò a stare male, non poteva neanche uscire, stava su una sedia a rotelle. È stato sottoposto a sedute di radioterapia e aveva dolori fortissimi.
Nei periodi in cui ha avuto dei miglioramenti io e i miei fratelli lo abbiamo portato in barca a pescare.
Quando è venuto a mancare, ho pensato che avremmo dovuto fare qualcosa perché è morto per le incurie degli altri. Per questo decisi di rivolgermi all’avvocato Ezio Bonanni.
Per avere giustizia. Mio padre diceva sempre: la giustizia è lunga ma prima o poi arriva. Confido che sia così. Per lui e per tutti quelli che hanno perso la vita per svolgere il lavoro che amavano non sapendo che sarebbero andati incontro alla morte”.