136 unità navali “contaminate” in servizio nella Marina
Sono 136 le navi militari in servizio nella Marina militare in cui è ancora presente l’amianto. Questo è risultato in seguito a una relazione tecnica e all’emendamento del gruppo parlamentare M5S. Su questo il governo stanzia 12milioni di euro per la bonifica di amianto navi militari.
Dopo anni di silenzi, di morti, di atroci perdite umane e battaglie legali, la Marina Militare ha confessato.
Una verità nota a tutti ma celata dalla Forza Armata che, in seguito a migliaia di marinai morti e ammalati di patologie asbesto correlate, non ha potuto che ammettere ciò che molti, tra cui l’Osservatorio Nazionale Amianto, sostengono da anni. La bonifica navi è necessaria ed è l’unica soluzione.
Secondo la notizia pubblicata sul Fatto Quotidiano, la Marina sosteneva che il rischio di contaminazione da amianto sarebbe cessato il 31 dicembre del 1995. Solo nel 2012, il ministro della Difesa ammiraglio Giampaolo Di Paola, aveva per la prima volta ammesso in Parlamento che l’amianto non era stato rimosso del tutto dalle navi Marina Militare italiana.
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Amianto nella Marina militare americana
Dal Corriere della Sera, inoltre, rileggiamo l’intervista da cui emerge che gli americani erano a conoscenza delle pericolosità delle fibre di asbesto già dagli anni Venti. E, da tenere presente il fatto che molte delle nostre navi furono date in dotazione alla nostra Marina Militare proprio dagli americani, nel secondo dopoguerra.
«Sono certo di non avere mai ricevuto alcuna direttiva in merito ai pericoli relativi alla presenza dell’amianto», mette a verbale in Procura a Padova l’ammiraglio Mario Host.
Ammette però che nell’ambiente giravano voci: «Dagli scambi con ufficiali di altre Marine, a partire dagli anni ‘90, ho saputo che il primo abbinamento tra amianto e asbestosi è stato riscontrato durante la Seconda Guerra Mondiale nella Reich Marine hitleriana a carico degli equipaggi degli U-Boot.
E che nella U.S. Navy, nel primo Dopoguerra, dove l’amianto era ampiamente diffuso, di fronte a un consistente numero di casi di asbestosi, la politica governativa si era orientata a risarcire economicamente le vittime o le famiglie delle vittime. Infatti non era possibile sostituire questo materiale data l’enorme consistenza della flotta».
Rileggiamo: gli americani sapevano già «nel primo Dopoguerra». Negli anni Venti. Certo, ci volevano soldi e tanti, per risanare la flotta militare italiana. Sostituire un solo interruttore Otomax costa 1.768 euro”.
Legge del 1992 non ha evitato la strage di amianto militari
La legge del ’92 metteva al bando l’uso della fibra mortale. Non ha potuto evitare la strage e le perdite dovute ai silenzi dichi stava ai vertici.
Quelli che sapevano e che tacevano.
Eppure nella Marina navi erano imbottite di amianto perché, prima dell’entrata in vigore della legge 257/92, l’asbesto era legale e ampiamente utilizzato anche nelle navi. E i nostri militari hanno continuato a lavorare senza precauzioni, ammalandosi e morendo ma, soprattutto, senza consapevolezza.
Lavoravano senza sapere che questo lavoro, diritto e dovere dell’uomo, li avrebbe portati alla morte. Secondo i dati sessanta delle 136 navi militari contenenti amianto e ancora in servizio sono dislocate a La Spezia. Alcune bonifiche sono state fatte ma senza l’esistenza di un piano parlamentare, in assoluta segretezza.
L’intervista all’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, che da anni si batte per la tutela e la difesa delle vittime dell’amianto.
Avvocato Bonanni, mi parli dell’amianto all’interno delle navi.
In particolare in quali luoghi è presente?
«L’amianto è stato largamente utilizzato nella cantieristica navale e così anche per quanto riguarda le navi amianto Marina Militare Italiana», commenta l’avv. Bonanni.
«Parti delle unità navali Marina Militare erano, quindi, realizzate con amianto friabile che, per effetto del moto ondoso, a causa del lavorio dei macchinari e per le salve nel corso delle esercitazioni con le armi da fuoco, determinavano una più elevata aerodispersione di polveri e fibre di amianto”.
Ci sono luoghi in cui l’esposizione è più elevata?
“L’esposizione è più elevata per chi ha svolto e svolge il servizio sottocoperta in particolare nella sala macchine. Anche se le stesse condizioni di rischio vi erano nelle cuccette che i marinai di truppa utilizzavano durante il periodo di riposo.
Questi letti a castello, nei luoghi angusti, coibentati in amianto, potevano rilasciare fibre e, al chiuso, senza adeguato ricambio d’aria, provocavano un’elevata esposizione per inalazione e ingestione».
In pratica, quando le amianto navi erano in navigazione i marinai erano esposti 24 ore su 24
«Sì, perché il marinaio trascorreva il suo tempo libero o lavorativo sempre all’interno dell’unità navale perché imbarcato in alto mare.
Ma anche se la nave era nel porto, comunque, il marinaio era esposto per via della contaminazione dell’ambiente lavorativo».
Queste fibre rimanevano nell’ambiente e spesso occorreva scoibentare. Perché le tubature erano coibentate in amianto friabile. Allo stesso modo le caldaie e i motori erano isolati con materiali in amianto”.
Quindi l’amianto era dappertutto, anche nell’aria.
«Qualsiasi attività manutentiva comportava la scoibentazione e dunque vi era elevata contaminazione e aereo dispersione.
Manutenzione che prevedeva, poi, la ricoibentazione, almeno fino al 1993, data in cui entrerà in vigore l’articolo 1 della legge 257 del 1992 del divieto di utilizzo di Amianto, o meglio di estrazione, di lavorazione e commercializzazione di asbesto salvo deroghe.
E dopo il ’93?
«È evidente che da allora in poi non furono più fatte le coibentazioni in amianto. Però è chiaro che, anche dopo il 93, sono rimasti posati in opera materiali in amianto. Questi hanno determinato la contaminazione per la quale, successivamente, ci sarà un’elevata esposizione che provocherà e sta provocando una vera e propria epidemia di patologie asbesto correlate».
L’amianto è presente, come dichiarato dalla Marina Militare, in 136 unità navali, tutt’ora in servizio attivo.
«Come recentemente confermato anche da atti parlamentari della “legge di Bilancio” che stanzia i denari per la bonifica, è evidente che ci sono unità navali in cui ancora è presente l’amianto. Ciò fu dichiarato anche dal contrammiraglio Enrico Pacioni, all’epoca capo ufficio Stampa della Marina Militare, nel novembre 2012 in un’intervista a Metro rilasciata alla collega Stefania Divertito.
L’intervista confermava quello che era stato già detto dall’Osservatorio Nazionale Amianto e da me, circa la presenza e l’utilizzo dell’asbesto a bordo delle unità navali.
Per quale motivo fino ad ora la Marina Militare negava la presenza di amianto mentre ora dichiara apertamente che l’amianto è presente in 136 unità navali?
«Il punto chiave è costituito dal fatto che le teorie negazioniste della Marina Militare Italiana risultano smentite innanzitutto dalla strage che le patologie asbesto correlate stanno determinando nel personale civile e militare della stessa. E non solo tra coloro che erano imbarcati, ma anche tra coloro che erano a terra.
Di quanti casi parliamo?
«Fino al 2015 almeno 570 casi di mesotelioma; solo alla Procura di Padova sono 1100 casi segnalati, ma dal 2015 ad ora sono sicuramente aumentati. È evidente che questo forte impatto di patologie asbesto correlate solo tra coloro che sono stati in servizio per la Marina, in un trend molto più alto della popolazione, in generale dimostra che c’è una condizione di rischio elevata.
Quindi vuol dire che c’è stata esposizione perché si tratta di patologie, come ad esempio il mesotelioma, mono fattoriali, causate solo dall’esposizione all’amianto».
Cosa dimostra questa incidenza elevatissima di esposizione?
«Dimostra che c’è stata una violazione delle regole cautelari perché il punto chiave e non è solo l’utilizzo di amianto, che in Italia era legale fino all’aprile del 1993, ma più che altro l’uso non cautelato dello stesso. Il fatto di non informare, di non dotare i marinai di maschere protettive, di non bagnare l’amianto, di scoibentare in presenza anche di altri marinai e di non aspirare le polveri dimostra che c’è una condotta altamente lesiva per la salute».
Quindi possiamo dire che solo adesso, dopo migliaia di morti causate dall’amianto, la Marina si è resa conto di aver bisogno di fondi e ha ammesso quanto detto in precedenza?
«I fatti relativi alla presenza di amianto e alla conoscenza della sua lesività risalgono agli anni ’60. Infatti, c’è un carteggio definito riservatissimo. Fu pubblicato sempre dall’ONA in collaborazione con “Inchiostro Verde”, una testata giornalistica di Taranto, ma anche sul notiziario dell’Osservatorio Nazionale Amianto.
Questo carteggio riservatissimo di fine anni ‘60, riguardava coloro che lavoravano nell’arsenale di Taranto e nella Marina Militare, il quale carteggio specifica che queste visite venivano fatte solo per capire il dato epidemiologico e spesso anche senza informare i lavoratori malati».
Si dice che la Marina Militare sia rimasta fuori dai finanziamenti statali, CHE sono state fatte alcune bonifiche ma in segretezza.
«Le Forze Armate non rendono pubblico quello che fanno. Ora, dato che ci sono dei processi in corso, con sentenze di condanna, è emersa la consapevolezza e l’unanime consenso, anche giudiziale, della presenza di amianto nelle unità navali della Marina Militare.
Quindi la bonifica è necessaria perché il numero dei morti è in costante aumento e le attuali esposizioni sarebbero esposizioni inaccettabili».
Come si giustifica l’esposizione all’amianto, oggi, nel 2020, sapendo che, già agli inizi del ‘900 e poi comprovato scientificamente nel 1955, l’amianto è cancerogeno per il polmone e gli altri organi delle vie respiratorie e anche del tratto gastrointestinale?
«Il comandante della nave, o il comandante in generale della squadra navale dispone di risorse economiche che può destinare alla bonifica.
Se c’è un rischio per la salute e bisogna bonificare, non si aspetta un finanziamento del governo. Altrimenti impedisci ai marinai di stare sulla nave se la nave è piena di amianto.
Fermo restando che, seppur in modo insufficiente, e questo lo voglio dire a chiare note anche per rendere merito alla Marina Militare per quanto ha fatto: buona parte dell’amianto è stata bonificata.
Quindi se è stata bonificata una parte, poteva essere bonificato tutto. Questo è il concetto».
Grazie all’emendamento tecnico voluto dal M5S, 12milioni di euro sono stati stanziati per la bonifica di alcune unità navali. Lei che ne pensa?
«Secondo me quella somma non è sufficiente per bonificare neanche mezza unità navale. Tenendo conto delle tecniche costruttive e del numero delle unità navali da bonificare, sono somme evidentemente insufficienti per il risanamento. Però è il proprio che conta, cioè affermare in un testo normativo attuale che bisogna bonificare vuol dire confessare la presenza di amianto e, quindi, la condizione di rischio nel 2020».
«La legge è una confessione. È una palese ammissione della presenza tutt’oggi, nel 2020, di amianto nelle unità navali e quindi dei ritardi anche nella bonifica e, di conseguenza, la responsabilità della Marina e del Ministero della Difesa in caso di patologie asbesto correlate future perché qui ci saranno anche persone che si ammaleranno tra 20, 30, 40 anni».
Quindi possiamo dire che è un inizio.
«Certamente! Questi 12milioni di euro saranno destinati alla bonifica ma sono insufficienti.
La Difesa ha in dotazione miliardi di euro. Fa spese come ritiene. Quindi è assurdo che aspetti 12milioni di euro dallo Stato per bonificare mettendo a rischio la salute dei marinai.
La Marina è un mondo a sé. E poi non dobbiamo dimenticare l’amianto nell’Esercito e nell’Aeronautica militare».
In che senso un mondo a sé?
«Lo Stato Maggiore ha notevoli risorse economiche. A fronte di queste può affrontare il problema e avrebbe dovuto affrontarlo prima, bonificare totalmente o chiudere le unità navali e non mettere a rischio i nostri militari».