Continuiamo festeggiare gli ori e aggiungere medaglie olimpiche, ad ostentare quello scudetto che fu geniale invenzione di Gabriele D’Annunzio, autore di “La Pioggia nel Pineto“. Ma dobbiamo anche allarmarci, avvertire il pericolo dell’orrendo fuoco, che ripropone i colori dannunziani a ruoli invertiti con il rosso distruttore del verde e il bianco della cenere, come catartico sudario di quell’unicum, alle porte di Pescara, che ispirò i versi di “La Pioggia nel Pineto” di Gabriele D’Annunzio e che adesso, dopo L’Epifania del Fuoco è divenuto L’Impero del Silenzio.
Undici mesi fa scrivevo di quell’ardere insensato, senza freni, nemmeno purificatore di virus e sentimenti del male, ma rivelatore della più becera condizione morale per una parte non irrilevante della nostra collettività. Questa lotta, lotta come Sisifo senza sosta contro un male oscuro, condannata ad una pena infinita, come se fosse troppo il bene di cui il Bel Paese dispone, grazie a madre natura, alla vocazione degli avi.
Se la Sardegna è bruciata in lungo e in largo, ancor più delle altre volte, se la Sicilia e Catania rischiano il paradosso di aver più colate criminali che laviche, se nel Pineto memore delle odi del Vate, in terra d’Abruzzo, alla pioggia si sostituiscono scientifici piromani inneschi.
Dalla pioggia di Gabriele D’Annunzio al fuoco
Se la “terra dei fuochi” ha da tempo pericolosamente sconfinato è perché la memoria degli italiani è decisamente corta, la legislazione e le attività di contrasto sono assolutamente insufficienti, la Guardia Forestale è stata sacrificata alla semplificazione senza senso, ma soprattutto la promozione della coscienza come conoscenza ambientale e del rispetto dei valori legati alla natura sono assolutamente inadeguate, negate da un sistema educativo.
Esso rinuncia peraltro a valorizzare i fondamentali dell’arte, della cultura, del corretto stile di vita, del rispetto delle regole e dei principi fondamentali per la prevenzione salute, che non prescindono dall’attività motoria e la pratica dello sport, come diritto e reali opportunità per tutti, partendo dai primi anni di vita.
Gli incendi che hanno colpito l’Italia
È ora di finirla con le favole dell’autocombustione, dell’incidente, piuttosto che della calamità naturale. Dietro il novantanove per cento degli eventi incendiari c’è la mano criminale e/o comunque irresponsabile dell’uomo. Lo scorso anno scrivevo e riscrivo : “Dubito di dover chiedere scusa ai piromani, posto che si rischia di dover scaricare su presunti malati mentali quel che appartiene alla sfera criminale“.
Tra sabato e domenica, la Sicilia è bruciata con le riserve naturali di Altofonte e dello Zingaro, San Vito Lo Capo, Selinunte, senza salvare l’area archeologica di Himera. Sono andati in fumo tremila ettari d’insostituibile, irrinunciabile bene comune, con alberi secolari, animali selvatici, fiori e insetti. È andato perduto tutto quel complesso di vita, che costituisce per la collettività un ecosistema e per i vili dissociati una opportunità speculativa.
Le montagne con i loro alberi secolari, quelli che erano sopravvissuti allo sbarco dei mille e degli alleati, adesso si ammantano del lutto, del nero rovinoso che sostituisce quel che era verde e gioioso, risorsa vitale.
Adesso quelle anime vegetali sono state ridotte in cenere da chi non ha diritto di vivere tra gli umani e per carità nemmeno tra le bestie. L’origine delittuosa è testimoniata dalla molteplicità degli inneschi e dalla tempistica usata per aggredire il patrimonio arboreo e attentare alla vita delle persone, che in quel contesto abitano.
Non meno doloroso è stato il tributo pagato dalla Sardegna con trentuno incendi un po’ ovunque e qualche autore preso con il cerino in mano. A questo punto, però, occorre intimare a chi sovraintende alla sicurezza del Paese di assumersi seriamente le proprie responsabilità.
Le calamità causate dal fuoco e dall’acqua
Ricordiamo ancora con sgomento ed orrore la spaventosa esecuzione della Pinete di Castel Fusano, da parte di sciagurati recidivi, di cui non c’è memoria del nome e delle condanne. Rimane, però, il segno indelebile di quella che è stata una vera e propria evirazione di una territorio elettivo, che rendeva simbiotico il rapporto tra Roma e il mare.
Ormai sappiamo che invocare la pioggia significa essere colpiti da altre calamità. Quel che sta accadendo in Trentino la dice lunga, tanto quanto la caduta del pioppo a Marina di Massa, dove la vacanza per due sorelline è finita nel sangue.
E allora? Allora, dobbiamo confermare che aver soppresso la Guardia Forestale, trasferendo le competenze a Corpi in tutt’altre faccende affaccendati è stata una colpevole castroneria, tanto quella di aver ridotto le Provincie alla fatiscenza.
Nella nostra storia, ogni taglio lineare ha significato il venir meno di presidi e ausili fondamentali nella logica della prevenzione e del controllo.
Infine e non ultimo, i parlamentari – anche loro a rischio di decurtazioni devastanti, anziché essere oggetto della riqualificazione del proprio ruolo e della funzione – che dovrebbero occuparsi seriamente di leggi oggi assolutamente inadeguate, perché causare intenzionalmente un incendio equivale a mettere una bomba alla stazione ferroviaria, all’attentare alla sicurezza con prospettiva di strage, perché occorre capire che la vita di un essere animale o vegetale merita lo stesso rispetto che si pretende per gli umani.
La necessità di prevenzione ed educazione
Occorre alzare il livello delle pene sino al massimo consentito per i reati peggiori, azionando anche l’aggravante dell’associazione per delinquere e mafiosa.
È necessario svolgere un’azione di prevenzione seria, basata sull’educazione, la cultura, la collaborazione, la responsabilità, con i controlli supportati dalla tecnologia più avanzata ed una adeguata attività d’indagine e repressione.
Come per la manutenzione delle infrastrutture, il controllo del territorio sta divenendo vitale anche per molte altre ragioni. Queste non prescindono dall’uso perverso che ne fanno i piromani dei roghi tossici, dei venefici untori che stanno riducendo parte del Bel Paese descritto da Gabriele D’Annunzio a desolante “terra dei fuochi”. “
La pioggia nel pineto – Gabriele D’Annunzio
Taci. Su le soglie
Del bosco non odo
Parole che dici
Umane; ma odo
Parole più nuove
Che parlano gocciole e foglie lontane.
Ascolta. Piove
Dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
Salmastre ed arse,
Piove su i pini
Scagliosi ed irti,
Piove su i mirti divini,
Su le ginestre fulgenti
Di fiori accolti,
Su i ginepri folti
Di coccole aulenti,
Piove su i nostri volti silvani,
Piove su le nostre mani ignude,
Su i nostri vestimenti leggieri,
Su i freschi pensieri
Che l’anima schiude novella,
Su la favola bella che ieri
T’illuse, che oggi m’illude,
O Ermione.
Odi? La pioggia cade
Su la solitaria verdura
Con un crepitío che dura
E varia nell’aria
Secondo le fronde
Più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
Al pianto il canto delle cicale
Che il pianto australe
Non impaura,
Nè il ciel cinerino.
E il pino
Ha un suono, e il mirto
Altro suono, e il ginepro
Altro ancóra, stromenti diversi
Sotto innumerevoli dita.
E immersi noi siam nello spirto silvestre,
D’arborea vita viventi;
E il tuo volto ebro
è molle di pioggia
Come una foglia,
E le tue chiome
Auliscono come
Le chiare ginestre,
O creatura terrestre
Che hai nome Ermione.
I versi del celebre Gabriele D’Annunzio
Ascolta, ascolta. L’accordo
Delle aeree cicale
A poco a poco più sordo
Si fa sotto il pianto
Che cresce;
Ma un canto vi si mesce più roco
Che di laggiù sale,
Dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
S’allenta, si spegne.
Sola una nota ancor trema, si spegne,
Risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
Crosciare
L’argentea pioggia
Che monda,
Il croscio che varia
Secondo la fronda
Più folta, men folta. Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
Del limo lontana,
La rana, canta nell’ombra più fonda,
Chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
Sìche par tu pianga
Ma di piacere; non bianca
Ma quasi fatta virente,
Par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
Aulente,
Il cuor nel petto è come pesca intatta,
Tra le pàlpebre gli occhi
Son come polle tra l’erbe,
I denti negli alvèoli con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
Or congiunti or disciolti
E il verde vigor rude
Ci allaccia i mallèoli
C’intrica i ginocchi
Chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti silvani,
Piove su le nostre mani ignude,
Su i nostri vestimenti leggieri,
Su i freschi pensieri
Che l’anima schiude novella,
Su la favola bella che ieri
M’illuse, che oggi t’illude,
O Ermione.