Non sarà più necessario dettagliare la quantità di fibre per centimetro cubo presenti nel luogo di lavoro.
Ma siamo sicuri che si tratti veramente di una novità?
Ma l’INPS perché continua ancora a non applicare una legge dello Stato?
Dopo due gradi di giudizio di rigetto della richiesta dei benefici previdenziali previsti per gli esposti ad amianto, utile per il prepensionamento, ovvero per la rivalutazione delle prestazioni pensionistiche già liquidate, la Corte di Cassazione, sezione lavoro, ribalta il giudizio, perché afferma il principio secondo il quale non vi è obbligo, data la lunga esposizione lavorativa, di dettagliare “la quantità di fibre per centimetro cubo presenti nel luogo di lavoro”. Secondo la sentenza 06543/17: “non è necessario che il lavoratore fornisca la prova atta a quantificare con esattezza la frequenza e la durata dell’esposizione, potendo ritenersi sufficiente (…) che si accerti, anche a mezzo di consulenza tecnica, la rilevante probabilità di esposizione del lavoratore al rischio morbigeno, attraverso un giudizio di pericolosità dell’ambiente di lavoro, con un margine di approssimazione di ampiezza tale da indicare la presenza di un rilevante grado di probabilità di superamento della soglia indicata dalla legge”.
Ma si tratta veramente di una sentenza “nuova”?
L’Avv. Ezio Bonanni, già nella sua prima pubblicazione “Lo Stato dimentica l’amianto killer” (marzo 2009), aveva fatto riferimento a questo principio, che peraltro aveva ricavato dalla giurisprudenza coeva. L’autore, già legale di migliaia di cittadini esposti ad amianto, aveva anticipato quello che è un principio che ora è divenuto granitico, fermo restando che le fibre, sono dannose “Anche basse concentrazioni e sporadiche esposizioni” perché non sussiste una soglia al di sotto della quale il rischio si annulla e perchè tutte le esposizioni hanno un “ruolo acceleratore… e conseguente rilevanza causale, connessa alla abbreviazione della latenza e all’anticipazione dell’evento letale” (cfr. Cassazione Sezione Penale, con la Sentenza n° 42128 del 12.11.2008)”.
“Il rischio amianto non si limita ai siti industriali dove veniva estratto, prodotto e lavorato o nelle altre fabbriche e luoghi di lavoro, ma si estende all’intero territorio e per tutta la popolazione, anche donne e bambini, più sensibili e fragili ed anche come pesante ipoteca per le generazioni future. Basti soltanto osservare che spesso le scuole hanno i tetti in cemento amianto e le pareti dei muri intonacate con amianto a spruzzo e che, dunque, ne sono esposti i bambini!!! Discariche a cielo aperto, vecchi capannoni, fabbriche, opifici e macchinari, alcuni abbandonati all’incuria del tempo, altri ancora pienamente operativi, cantieri navali e siti di ogni tipo, erano completamente disseminati di amianto in matrice friabile e compatta. Il limite di soglia, il concetto di valutazione e limitazione del rischio, si trasforma nell’accettazione del rischio, nel prospettare l’evento – malattia – come il possibile risultato della condotta anche omissiva, e ciò nonostante accettarlo sul presupposto di indennizzare il danno. Un corretto argomentare giuridico parlerebbe di dolo eventuale e non di norme di prevenzione e di sicurezza sul lavoro!!! Infatti, per le malattie asbesto correlate, ad eccezione dell’asbestosi, non esiste limite di soglia ed anche poche fibre possono essere fatali. Si sostiene erroneamente che l’articolo 3 stabilisca «un limite di concentrazione al di sotto del quale le fibre d’amianto devono considerarsi respirabili nell’ambiente di lavoro tanto da non obbligare all’adozione di misure protettive specifiche (!) e mostrando così di ritenere insufficiente agli effetti del beneficio da attribuire ai lavoratori esposti all’amianto (che non abbiano contratto malattia professionale) la presenza della sostanza in quantità tale da non superare il limite anzidetto e da non rappresentare per tale ragione un concreto pericolo per la salute» (Cass. 21682/2004 seguita da tantissime Sentenze di merito). Si tratta di una tesi che non ha fondamento giuridico (oltre che scientifico) e non può davvero giustificarsi alla luce della legge, sotto alcun aspetto”.
La dimostrazione dell’esposizione
Tuttavia il principio è passato e dunque bisognava e bisogna dimostrare l’esposizione ultradecennale alle famose 100 fibre litro.
Una prova difficilissima da tendere, soprattutto se rapportata a periodi che risalgono anche a trent’anni or sono, riferiti a condizioni che ormai si sono modificate, a siti lavorativi che non esistono più o nella migliore delle ipotesi hanno subito dei radicali cambiamenti.
Per evitare che il diritto alle rivalutazioni potesse: “essere sempre negato o affermato a piacimento; significa affidare al potere politico, amministrativo e sindacale la facoltà di stabilire dove e quando riconoscere il diritto”, l’Avv. Ezio Bonanni e l’Osservatorio Nazionale Amianto hanno sempre sostenuto che debba applicarsi il principio per il quale la prova debba essere attinta da ragionamento logico deduttivo e sulla base della: “semplice verosimiglianza di quel superamento, la probabilità che quella soglia esista anche soltanto nell’ambiente” (Cassazione Sezione Lavoro n. 16119/2005).
La massima di questa Sentenza è chiarissima
“al fine del riconoscimento di tale beneficio, non è necessario che il lavoratore fornisca la prova atta a quantificare con esattezza la frequenza e la durata dell’esposizione, potendo ritenersi sufficiente, qualora ciò non sia possibile, avuto riguardo al tempo trascorso e al mutamento delle condizioni di lavoro, che si accerti, anche a mezzo di consulenza tecnica, la rilevante probabilità di esposizione del lavoratore al rischio morbigeno, attraverso un giudizio di pericolosità dell’ambiente di lavoro, con un margine di approssimazione di ampiezza tale da indicare la presenza di un rilevante grado di probabilità di superamento della soglia massima di tollerabilità” (Cass. 16119/2005).
“Non va poi dimenticato che la mancanza di parametri espositivi all’interno della norma non rappresentava certo una svista o una dimenticanza del legislatore, dovendo essere considerata una scelta politica consapevole: coerente con l’azione nociva della sostanza (l’amianto nuoce a prescindere da limiti di soglia); conforme ai dettami dell’ordinamento (il d.lgs. 277 tutela a fini preventivi qualsiasi esposizione ad amianto), corrispondente al rischio assicurato nel sistema previdenziale delle malattie professionali (“l’esposizione comunque”)” – questo è quanto citato dall’Avv. Ezio Bonanni nel suo libro, circa 8 anni fa.
L’Osservatorio Nazionale Amianto – ONA Onlus, ha sempre lamentato in questi anni e continua a lamentare ancora, dopo che la legge ha festeggiato le nozze d’argento proprio in questi giorni, la sostanziale disapplicazione, per quella parte che stabilisce il diritto dei lavoratori esposti per più di 10 anni ad essere collocati ad un periodo pari al 50% di quello di esposizione; e per quelli che sono malati di patologie asbesto correlate anche se esposti ad un periodo inferiore, e senza che valga il cosiddetto limite di soglia delle 100 fibre litro (art 13 comma 7 legge 257/92).
Ora la Corte di Cassazione non fa che ribadire un principio già affermato più volte e che comunque di buon senso, anche perché altrimenti sarebbe impossibile dimostrare l’esposizione ultradecennale a concentrazioni superiori alle 100 fibre litro e quindi ci sarebbe l’impossibilità di far valere il diritto, violando il diritto di difesa e di azione in giudizio con conseguente incostituzionalità della norma.
Gli ultimi sviluppi dalla giurisprudenza della suprema corte
Gli ultimi sviluppi dettati dalla giurisprudenza della suprema corte, sono invece portavoce di sorprese non sempre positive per quei lavoratori che disgraziatamente sono stati esposti a amianto.
Oltre ad aver respirato le fibre che ora sono nel loro corpo, invadendone tutti gli organi, con il rischio di insorgenza di patologie, quasi sempre mortali, e che comunque subiscono giorno dopo giorno i danni dovuti alla loro capacità infiammatoria, a queste difficoltà probatorie aggiunge anche la prescrizione decennale del diritto e la decadenza triennale, riferita non ai ratei ovvero alla differenza dei ratei, ma all’intero diritto, una decadenza tombale.
Il raggio di luce è costituto dalla recente normativa di cui all’art 1, comma 250, della Legge 232/16, attraverso la quale approva la norma che prevede l’immediato pensionamento per tutti coloro che, per motivi di lavoro, hanno contratto mesotelioma pleurico, mesotelioma pericardico, mesotelioma peritoneale, mesotelioma della tunica vaginale del testicolo, carcinoma polmonare e asbestosi, purché riconosciuti dall’INAIL, ovvero dall’ente assicuratore, senza che ci sia la necessità di alcuna soglia di riconoscimento di inabilità/invalidità. Per maggiori informazioni sulla normativa è possibile consultare il notiziario ONA.
“Noi come associazione chiediamo che i requisiti dell’esposizione da amianto vengano accertati da un ente terzo (ASL), e non dall’INAIL o dall’INPS, in quanto quest’ultimo è ritenuto privo di un apparato tecnico adeguato – dichiara il Presidente Ezio Bonanni -. Noi, come ONA, esponiamo delle proposte concrete. Proponiamo che valga il precedente: una volta accertata la presenza di amianto in uno stabilimento, anche in caso di esposizione dovuta alla contaminazione ambientale, andrebbero riconosciuti a tutti i benefici”.