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mercoledì, Gennaio 15, 2025

Giustizia per Romano Posarelli: una sentenza contro l’Asl Toscana e un passo avanti nella tutela dei lavoratori esposti all’amianto

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GIUSTIZIA È FATTA! IL TRIBUNALE DI PISA HA CONDANNATO L’ASL TOSCANA NORD OVEST A RISARCIRE CON 26MILA EURO IL FIGLIO DI ROMANO POSARELLI, EX DIPENDENTE DELLA SOLVAY MORTO NEL 2010 A CAUSA DI UN TUMORE PROVOCATO DALL’ESPOSIZIONE ALL’AMIANTO. LA SENTENZA ATTRIBUISCE ALLA STRUTTURA SANITARIA LA RESPONSABILITÀ PER IL RITARDO NELLA DIAGNOSI, CHE HA AGGRAVATO LE CONDIZIONI DEL PAZIENTE. A GUIDARE L’AZIONE LEGALE È STATO L’AVVOCATO EZIO BONANNI, PRESIDENTE DELL’OSSERVATORIO NAZIONALE AMIANTO, SECONDO CUI LA SENTENZA SANCISCE «IL PRINCIPIO DELL’INTEGRALE RISARCIMENTO DEI FAMILIARI »E RAFFORZA LA RESPONSABILITÀ DELLE STRUTTURE SANITARIE NEL GARANTIRE ADEGUATA SORVEGLIANZA AI LAVORATORI ESPOSTI AL MINERALE

Un dramma iniziato nel silenzio e la giustizia tardiva

La vicenda di Romano Posarelli si inscrive in una pagina tragica della storia industriale italiana, fatta di silenzi, omissioni e mancata tutela dei lavoratori. L’uomo, un operaio dello stabilimento Solvay di Rosignano Marittimo, trascorse anni a lavorare in un ambiente dove l’amianto era una presenza pervasiva e invisibile, ma altamente pericolosa. 

Lo stabilimento, attivo dagli inizi del Novecento, rappresentava un pilastro dell’industria chimica italiana, specializzato nella produzione di soda e derivati chimici come bicarbonato e carbonato di sodio. Questi processi industriali, che richiedevano temperature estremamente elevate, sfruttavano le proprietà dell’asbesto, un materiale ritenuto ideale per la sua resistenza al calore, la versatilità e il basso costo. Il minerale, trovava impiego in ogni angolo dello stabilimento: rivestiva tubature, caldaie e altre apparecchiature, mentre le sue fibre venivano rilasciate costantemente nell’aria, impregnando l’ambiente di lavoro.

Negli anni ’60 e ’70, nonostante emergessero le prime prove scientifiche sulla pericolosità della sostanza, le misure di protezione per i lavoratori erano inesistenti o gravemente inadeguate. Gli operai venivano esposti quotidianamente alle fibre sottili e invisibili che, una volta inalate, si accumulavano nei polmoni, causando gravi danni alla salute. 

Purtroppo, Romano, come molti lavoratori della sua generazione, svolgeva le sue mansioni senza conoscere i rischi legati all’inalazione di questa fibra tossica. 

I primi sintomi della malattia 

Nel 2010, Romano iniziò a manifestare sintomi preoccupanti, tra cui difficoltà respiratorie e dolori al torace. Decise quindi di rivolgersi al proprio medico di base, ma l’approccio si rivelò del tutto inadeguato. Il professionista minimizzò i segnali e attribuì i disturbi a un’infezione, prescrivendo un semplice ciclo di antibiotici. Nessuno effettuò indagini strumentali o approfondì la correlazione tra i sintomi e l’esposizione pregressa all’amianto. Questo ritardo diagnostico costrinse Posarelli a cercare risposte presso strutture private, dove purtroppo ottenne una diagnosi chiara: tumore polmonare in stadio avanzato, direttamente legato all’asbesto.

La mancata sorveglianza sanitaria

La diagnosi tardiva privò l’uomo dell’opportunità di accedere a un trattamento tempestivo ed efficace, aggravando rapidamente il decorso della malattia e conducendolo a un peggioramento irreversibile, fino al tragico epilogo.

Non solo il medico di base aveva ignorato il contesto lavorativo del paziente, ma anche le istituzioni sanitarie, come l’Asl Toscana Nord Ovest, avevano gravemente mancato al loro compito. In qualità di ente preposto alla tutela della salute pubblica, l’Asl avrebbe dovuto attivare un programma di sorveglianza sanitaria specifica per gli ex lavoratori a rischio, offrendo controlli periodici per diagnosticare precocemente eventuali patologie asbesto-correlate. Questo supporto, però, non venne mai garantito.

L’iter legale e il ruolo dell’Osservatorio Nazionale Amianto

Dopo la morte di Posarelli, il figlio Massimiliano decise di non arrendersi. Intraprese pertanto un lungo iter legale per ottenere giustizia. La prima azione legale fu avviata contro la Solvay, con il Tribunale di Livorno che riconobbe la responsabilità dell’azienda, condannandola a risarcire i familiari per i danni causati dall’esposizione professionale all’amianto. Questa sentenza, confermata successivamente dalla Corte d’Appello di Firenze, rappresentò una prima vittoria.

Parallelamente, Massimiliano, con il supporto dell’avvocato Ezio Bonanni, presidente ONA, avviò una causa contro l’Asl Toscana Nord Ovest. L’azione legale si basava sull’inadeguata sorveglianza sanitaria e sul ritardo diagnostico, elementi che, secondo il Tribunale di Pisa, contribuirono in modo determinante al peggioramento delle condizioni di Posarelli. 

La sentenza: giustizia è fatta

«Questa sentenza – ha dichiarato Bonanni rileva il principio che, anche nel caso di risarcimento del danno a carico del datore di lavoro responsabile della morte, comunque sussiste la responsabilità in solido della Asl».

Il verdetto sottolinea come il medico di base fosse a conoscenza del passato lavorativo di Posarelli e delle sue condizioni di ex esposto all’amianto, informazioni riportate chiaramente nella scheda anamnestica di una visita effettuata nel 2000 presso il Pisll (Prevenzione, Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro).

«Una condanna – riferisce il presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto – che sancisce il principio che vi deve essere la doverosa attenzione delle Usl per i lavoratori esposti ad amianto, con la massima diligenza su esami e terapie».

L’importanza della sorveglianza sanitaria e il ruolo dell’ONA

Il caso di Romano Posarelli evidenzia le gravi lacune nei sistemi di prevenzione e diagnosi per i lavoratori esposti alle fibre di asbesto, un problema che l’Osservatorio Nazionale Amianto combatte da anni.

Come sottolinea Bonanni, «questa pronuncia è fondamentale perché riafferma l’obbligo delle strutture sanitarie di agire con tempestività e precisione, soprattutto nei confronti di lavoratori che hanno subito esposizioni a sostanze così pericolose». Il ritardo diagnostico non è solo una questione di negligenza, ma una violazione del diritto fondamentale alla salute.

Chiunque abbia subito un’esposizione all’amianto può rivolgersi all’Osservatorio Nazionale Amianto, che offre un servizio di assistenza tramite il numero verde 800 034 294 o attraverso il sito ufficiale Una rete di supporto indispensabile per chi cerca giustizia e protezione in un percorso troppo spesso segnato da ostacoli e ritardi.

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