In Giappone il titolo di “tesori nazionali viventi” (人間国宝 Ningen Kokuhō) spetta a degli artigiani che mantengono intatte antiche tradizioni, tecniche e abilità del patrimonio nazionale.
Giappone e i “tesori nazionali viventi
Giappone. I “tesori nazionali viventi” sono depositari non solo di un patrimonio artistico e culturale inestimabile, ma anche di valori di vita tipicamente nipponici.
Nell’antichità, i primi a salvaguardare queste importanti figure furono gli Imperatori. Dal 1950 il Governo giapponese ha nominato alcune persone o gruppi quali “portatori di importanti beni culturali intangibili”.
Attualmente possiedono questo titolo solo una decina di persone. Pagate (poco, a dire il vero) dalle Istituzioni, hanno la responsabilità di mantenere intatte e vive le arti antiche che risalgono all’età della pietra.
Comprendiamo la storia del Giappone
Prima di entrare nel dettaglio, utile soffermarci, seppur velocemente, sulla storia del Giappone.
In epoca preistorica, il mare turbolento intorno all’arcipelago costituiva una frontiera naturare e invalicabile verso il continente asiatico.
Quando tuttavia giunsero i primi bastimenti dalla Cina e dalla Corea, gli avventurieri trasferirono ai giapponesi una serie di arti, tradizioni e dottrine legate al buddismo e confucianesimo.
Il popolo nipponico assimilò bene queste novità e cercò di adattarle, in maniera assolutamente personale, alla propria realtà nazionale.
L’isolamento protezionistico
Inizialmente, a detenere il potere politico era l’imperatore, ma dal 1336 al 1867, il comando passò agli Shogun, militari che avevano i poteri di un sovrano.
Nel 1639, lo shogunato feudale Tokugawa, detto anche Edo, (1603-1868) diede via a un periodo di isolamento (sakoku), che durò due secoli.
Immerso in un contesto di pace e armonia, in una dimensione “senza tempo”, in tutto il Giappone si andò a consolidare un grande senso estetico.
L’isolamento cessò nel 1853, quando alcun fregate americane, guidate dal commodoro Matthew Perry entrarono nella baia di Tokyo.
Per proteggere la Nazione dagli invasori, i samurai schierarono i loro cannoni (ridicoli in confronto agli armamenti americani) per tutta la costa.
Gli intrusi tuttavia non si fermarono e Perry consegnò una lettera in cui si chiedeva di riaprire tutti i porti nipponici.
Da allora, finì il periodo “sakoku” feudale e iniziò il “bakumatsu”, che trasformò il Paese in una delle potenze industriali e finanziare più potenti al mondo.
Ciononostante, il Giappone ha continuato a mantenere vive le sue tradizioni più antiche.
La salvaguardia del patrimonio del Giappone
Come accennato, la salvaguardia del patrimonio culturale e artistico del Giappone è affidata a pochi eletti. A seguire, alcune delle perle degne di nota.
Le Ceramiche di Arakawa
Nel 1930 Arakawa Toyozō trovò i resti di un forno (risaliva a oltre trecento anni fa), in cui si producevano ceramiche secondo una tradizione ormai perduta. Arakawa costruì un forno all’”antica” e cercò di recuperare le antiche tecniche di incisione, modellando oggetti in ceramica, seto e schino.
Piccola curiosità: le imperfezioni non si correggono mai, perché, secondo il buddismo zen, se ci si preoccupa troppo della tecnica pedante si perde l’essenza, l’anima del manufatto.
Per realizzare questi gioielli rispettando gli antichi criteri, si lascia girare l’argilla nel tornio, fino a quando non prende forma in modo spontaneo.
Prima però, gli artisti contemplano la bellezza della Natura, fonte di ispirazione che va assolutamente trasmessa e impressa nel lavoro.
L’impasto di argilla bianca e smalto trasparente e un sapiente dosaggio di fuoco e acqua, sono gli unici ingredienti di questi autentici capolavori.
Le tazze si utilizzano per la “cerimonia del tè”, un rituale “sacro”.
Per i monaci rappresentava un momento di contemplazione, ma oggi ha una funzione prevalentemente sociale, pur mantenendo la sua essenza spirituale.
Utile precisare che, nel caso in cui una tazza si sbecchi, essa si riparara con l’oro.
Le bambole poetiche di Juzō Kagoshima
La tradizione delle bambole, riprese da Kagoshima, risale a 4000 anni fa.
La tecnica si ottiene modellando bambole con carta e argilla.
Prima del procedimento, si stendono dei fogli di carta all’aperto. Poi i minuscoli pezzi vengono sovrapposti e incollati strato per strato, con grande pazienza. Per realizzare ogni bambola si possono impiegare diversi anni, ma alla fine si ottengono delle eleganti figure, uniche nel loro genere.
Per Kagoshima (1898-1982), le bambole non erano solo degli oggetti d’arte, ma delle creature poetiche “dall’anima gentile e gaia” .
Le bambole si possono ammirare nei musei più famosi del Giappone e nelle collezioni private di personaggi facoltosi.
Teatro Bunraku di Osaka
Nel periodo di isolamento giapponese, si formò una classe di ricchi mercanti che si riuniva nei quartieri del “divertimento”, per rilassarsi.
Una delle mete preferite era il quartiere Dōtonbori di Osaka.
Qui, trecento anni fa nacque il Bunraku, una forma di teatro in cui burattini di legno e tessuto ripropongono scene di vita quotidiana del passato.
Tamao Yoshida (1919-2006) è stato l’unico burattinaio a ottenere il titolo di “tesoro nazionale vivente”.
Amato da imperatori e shogun, oggi questo genere teatrale sopravvive grazie a una compagnia di Osaka.
Durante le rappresentazioni, tre burattinai muovono i burattini, ma solo il viso del primo può essere visto. Gli altri sono incappucciati e vestiti di nero.
La caratteristica principale del bunraku è la straordinaria capacità espressiva dei burattini, che nessun attore può eguagliare.
Questa deriva dal un lungo lavoro effettuato dal burattinaio, chiamato a ripristinare l’hara (corrisponde al ventre), cioè il centro interiore dello spirito.
Yoshida diceva che lo spirito del burattino deve entrare nel burattino stesso.
Un sistema di snodi e tiranti, permette di azionare le funzionalità motorie dei burattini, riuscendo a far esprimere loro qualsiasi emozione umana.
La carta vegetale
A Yakumo, cittadina della prefettura di Hokkaidō, si realizza (a mano) una carta assai pregiata.
Per millenni si utilizzò per la corrispondenza imperiale, per scrivere preghiere e poesie. Pare che Rembrandt eseguisse i suoi schizzi su questa carta.
La storia della lavorazione risale al 1610.
Secondo una leggenda, un principe giapponese aveva appreso l’esistenza di questo procedimento da un sacerdote coreano. Da quel momento, chiese che anche i suoi sudditi imparassero la tecnica.
La lavorazione inizia prelevando la corteccia interna da alberi giovani. Dopo averla messa a bagno in un lago, si mette a bollire nella soda al fine di ottenere una carta bianca e morbida. Al termine della procedura, si immerge nell’acqua del pozzo.
Per lo sfibramento, si mescola un amido vegetale con acqua e pasta di legno. Questo permette la distribuzione delle fibre e impedisce ai fogli di incollarsi tra loro.
Dopo averli fatti sgocciolare, i fogli vengono spazzolati per completare l’asciugamento, stesi su apposite tavole e messi ed asciugare tra fiori e vegetazione.
Oggi le creazioni in carta si possono ammirare in diverse mostre internazionali.
Koto del Giappone
Oltre mille anni fa il koto, uno strumento cordofono dal suono simile all’arpa, giunse dalla Cina al Giappone. Per le ragazzi nobili e benestanti, saperlo usare era una dote apprezzata in vista di un matrimonio fortunato.
Fukimo Ionekawa (1894-1995) nata da una famiglia samurai, iniziò a studiare il koto a tre anni. Da allora, ogni estate le sue allieve si esibiscono a Tokio, tramandando in questo modo un suono antico che risveglia il passato.
Le spade delle montagne sacre del Gassan
Secondo la mitologia giapponese, le leggi imperiali scaturiscono da tre oggetti sacri: lo specchio della saggezza, il gioiello dell’abilità e la spada della forza.
In una fonderia di Nara, la prima capitale del Giappone, si forgiano ancora le spade, secondo un rituale che risale a ottocento anni fa.
Inizialmente, a commissionare gli oggetti erano principi e imperatori.
Oggi, gli allievi della scuola di Gassan, assistono alle fasi che permettono di trasformare il metallo grezzo in una lama affilata.
Con la stratificazione si crea un oggetto di acciaio flessibile ma anche forte. Il procedimento di battitura e ripiegamento è segreto. Si sa solo che vengo forgiati oltre 30.000 strati prima di realizzare la spada.
Dopo che la lama ha preso forma e sono state eliminate le imperfezioni, viene temperata con argilla e carbone in modo da indurire l’acciaio. Alla fine, si incide un disegno di foglie di cedro ripiegate, che rappresenta l’antico marchio di garanzia degli artigiani.
Un tempo la spada era l’anima dei samurai e in essa erano fusi i principi giapponesi: lo spirito scintoista, la lezione intuitiva ispirata dal buddismo zen e la dispionibilità al servizio e al sacrificio, richiesta dall’etica di Confucio.
Sendai: le stoffe in canapa blu
Nella valle del Sendai, capoluogo della prefettura di Miyagila, la vita si svolge seguendo ancora i ritmi della natura.
Qui, una donna di nome Ochiba ha mantenuto viva la tradizione della tessitura della canapa per realizzare preziose stoffe blu.
Dalla crescita delle piante fino alla tessitura e tintura, ogni passaggio viene ancora eseguito nel pieno rispetto della tradizione.
Ogni aprile si pianta l’indaco (Indigofera tinctoria) e si protegge con la paglia.
Quando semi e foglie sono pronti, si mettono ad asciugare al sole per ottenere il colorante blu.
In agosto si pulisce la canapa da cui si estrae il filamento.
La tintura si esegue solo l’estate. Dopo aver immerso varie volte il tessuto nell’indaco, le tessitrici si recano al fiume per lavarlo. Dopodiché la tinta è indelebile e con il tempo diventa sempre più intensa.
Con la canapa blu si realizzano quattro o cinque kimono l’anno.
Il teatro Kabuki
Durante i duecento anni di isolamento, il teatro Kabuki diventò molto popolare in Giappone.
Le prime rappresentazioni risalgono alla fine del XVII secolo e furono tenute da una sacerdotessa.
Le autorità temevano tuttavia che le donne, per via della loro sensualità, potessero avere un effetto negativo sulla morale del pubblico.
Di conseguenza, nel 1629 fu proibito alle donne di recitare nei teatri. Da allora, gli uomini interpretano anche i ruoli femminili.
La femminilità è rappresentata in forma stilizzata. Ricoprire ruoli femminili deve sottolineare la natura essenziale e la bellezza du cui spesso le donne non sono consapevoli.
Nelle rappresentazioni, le vicenda si svolgono con danze e dialoghi, accompagnati da narratori e musicisti.
All’inizio, il kabuki avrebbe dovuto rappresentare i personaggi bunraku e infatti gli attori imitano le movenze dei burattini.
Oggi gli attori, mantengono inalterato lo stile delle origini.
Piccola curiosità: la loro giornata lavorativa inizia rendendo omaggio al tempio del teatro. Cosa che attesta la profonda inclinazione spirituale dei giapponesi.
La campana della pace di Buddha
A Katori (50 km da Tokyio), nel giorno buddista della prosperità, i fedeli si riuniscono nel tempio dopo la benedizione.
Qui, ogni anno viene portata una nuova campana che il monaco offre al tempio.
La campana è fusa a Takaoka, città della prefettura di Toyama, dove in metallo si lavora ancora a mano.
La campana ha un proprio spirito e personalità.
Su di essa si incidono le immagini del Buddha. Il calco ha diverse sezioni in argilla che si uniscono fra loro e si sovrappongono nello stampo interno.
Mentre si fa colare il bronzo fra i due stampi, i sacerdoti, presenti durante le fasi della lavorazione, pregano perché la campana sia foriera di pace.
In fase di fusione, si aggiungono fogli di carta su cui sono scritte delle preghiere e fogli di rame che riportano i nomi delle persone che hanno elargito fondi per la realizzazione della campana.
Essa si fa poi raffreddare per circa dodici ore, tempo necessario per capire se la colata è perfetta.
La forma è essenziale! Si ritiene infatti che una bella forma produca un bel suono e che il suono sia la voce del Buddha.
All’alba si torna alla fonderia.
Secondo la trazione, la campana deve suonare una volta, prima di essere posta in cima al tempio, ma prima deve esser ripulita dai residui della fusione.
Quando tutto è pronto, si procede alla messa in posa, preceduta da una cerimonia in cui vengono fatte delle offerte a Buddha: cachi, sale, calamari, fiori.