Secondo la leggenda, molti fantasmi si aggirano per le vie di Roma. Molti di essi hanno nomi altisonanti. Scopriamo qualche storia.
Quanti fantasmi! Le più illustri entità romane
Fantasmi. Beatrice Cenci, Cagliostro e signora, Donna Olimpia, Alessandro VI Borgia, Mastro Titta, Nerone e Messalina, fino ai poeti Mary Shelley e John Keats, sono alcuni dei nomi che, secondo la leggenda, vagano senza riposo nella città eterna. Oggi parleremo delle loro storie di alcuni di essi.
I fantasmi romani: la tragica storia di Beatrice Cenci
Secondo la leggenda, ogni anno, la notte dell’11 settembre il fantasma di Beatrice Cenci (1577-1599) si aggirerebbe nei pressi di Castel Sant’Angelo, tenendo la sua testa sotto il braccio.
La giovane era figlia del Conte Francesco Cenci e di Ersilia Santacroce. Quest’ultima morì quando Beatrice aveva appena sette anni.
Da quel momento, la bimba visse presso le suore di Santa Croce di Montecitorio e fece ritorno a casa all’età di quindici anni, allorché il padre si sposò in seconde nozze con Lucrezia Petroni.
Il padre tuttavia iniziò ad abusare di lei, della seconda moglie e dei fratelli. Cosa che lo fece finire in prigione per sodomia.
Il processo a Francesco Cenci
Grazie alle sue origini aristocratiche e a quella che definiremmo oggi una lauta “mazzetta”, elargita a Papa Clemente VIII, Francesco ottenne la libertà.
Ritornato all’ovile, finì nuovamente sotto accusa, per i soliti reati di violenza e di abusi sessuali.
Per mettere tutto a tacere, Francesco rinchiuse la figlia e la seconda moglie in una rocca dei Colonna a Petrella Salto, in Abruzzo.
Segregate all’interno di una torre, le due donne continuarono a subire violenze e torture di ogni genere.
La vendetta liberatoria
Nel tentativo di liberarsi dalla prigionia, le donne pianificarono l’omicidio del “padre padrone”. Ad aiutarle nell’impresa, i fratelli di Beatrice, Giacomo e Bernardo, oltre a un castellano e un maniscalco.
I congiurati infilzarono un gancio dentro un occhio e uno nella gola del bruto Francesco. Poi gettarono il cadavere da una balaustra, facendo credere che si trattasse di una morte accidentale.
I giudici tuttavia non credettero all’alibi dei membri della famiglia e per i tre scattò la pena capitale.
Il popolo, che conosceva la fama di Francesco, si ribellò alla decisione dei giudici e cercò di difendere Beatrice.
La giovane ottenne pertanto una proroga di venticinque giorni, prima di essere decapitata a Castel Sant’Angelo l’11 Settembre 1577.
L’unico a salvarsi fu Bernardo, che all’epoca dei fatti era appena diciottenne.
Sterminati gli eredi, l’ingente capitale dei Cenci finì nelle tasche di un nipote del Papa, Gianfrancesco Aldobrandini.
La morte e lo spettro sconsolato di Beatrice
Purtroppo, nemmeno la morte pose fine alle tribolazioni di Beatrice.
Uccisa dal boia papale, la giovane fu sepolta nella chiesa di San Pietro in Montorio al Gianicolo.
Qui la sua tomba fu violata dai soldati francesi durante l’occupazione napoleonica di Roma del 1798.
I soldati irruppero nel luogo di culto, distruggendo la tomba di Beatrice.
Dopodiché si misero a giocare a palla con la sua testa mozzata.
Da quel momento, la giovane donna, simbolo dell’opposizione all’arroganza dell’aristocrazia, tornerebbe ogni anno nel luogo della sua esecuzione.
Fantasmi dei Cenci e arte
La storia di Beatrice ha ispirato molti artisti. Ad omaggiarla, alcuni dipinti di Guido Reni e Caravaggio. Riferimenti sulla sua triste storia si trovano negli scritti di Mary Shelly, Sthendal, Dumas padre e Alberto Moravia, per citare qualche nome.
Anche alcuni musicisti hanno cantato il dramma della sventurata ventiduenne.
All’inizio del Novecento, i romani proposero di dedicarle una via, ma i cattolici si opposero.
Pur essendo stata maltrattata, violentata e torturata, per loro, Beatrice era pur sempre una “parricida”.
Fantasmi: lo spettro di Cagliostro e signora
Passiamo alla storia del palermitano Giuseppe Giovanni Battista Vincenzo Pietro Antonio Matteo Franco Balsamo, meglio noto come Conte di Cagliostro (1743-1795).
Esoterista, massone, falsario, negromante e alchimista, a lui fu addebitata, tra le altre cose, la responsabilità di essere tra gli ideatori dello “scandalo della collana” in cui fu coinvolta la regina Maria Antonietta.
Sposato con la prostituta Lorenza Serafina Feliciani, insieme a lei mise a segno delle colossali truffe in giro per l’Europa.
L’ambiguo personaggio fu condannato a morte (per eresia) dalla Chiesa cattolica, ma la sua pena fu tramutata in ergastolo.
L’arresto avvenne in piazza di Spagna. Poi da lì, fu condotto nella prigione di Castel Sant’Angelo, dove morì quattro anni dopo.
Fantasmi che ridono e piangono
Secondo la leggenda, i fantasmi dei due coniugi si aggirano in inverno e in autunno tra Vicolo delle Grotte, dietro piazza Farnese, un tratto che collega Via dei Giubbonari a Via Capodiferro, Piazza di Spagna e Piazza Sant’Apollonia.
In quest’ultimo luogo, un tempo sorgeva il convento dell’Oliva, dimora in cui Feliciana finì gli ultimi giorni della sua avventurosa vita.
Lo spettro di Lorenza ripercorre la stessa strada che fece quel fatidico giorno del 1789 in cui tradì lo sposo.
Pentita, arriverebbe fino a Piazza di Spagna, per poi scomparire all’alba dentro le acque della “Barcaccia” la fontana posta al centro della piazza.
La donna appare con il volto coperto da un velo, mentre si lamenta e piange.
Si sentirebbero inoltre le risate macabre del marito, alternate da urla e pianti “Lorenza, perché…” grida Cagliostro.
Perché Cagliostro ride e piange contemporaneamente?
Ciò si deve al fatto che, in vita, la relazione fra i due era piuttosto burrascosa.
Fu proprio la donna, stanca delle continue violenze del marito, a denunciarlo di magia ed eresia.
Fantasmi: la storia di Pimpaccia
Un altro fantasma leggendario è quello di Donna Olimpia Maidalchini Pamphili (1591-1657), nota con il soprannome di “Pimpaccia”.
Ogni anno, il sette gennaio, la donna si aggira su di una carrozza nera guidata da un cocchiere senza testa, trainata da quattro cavalli che sputano fuoco.
Si dice che esca da Villa Pamphili con tutto l’oro trafugato al Papa e che, dopo aver attraversato Ponte Sisto scompaia nel Tevere, dove i diavoli vengono a prenderla per portarla all’inferno.
Il fantasma della donna ride in modo agghiacciante, quasi a mostrare lo sdegno per il popolino romano, che provava in vita.
Una vita all’insegna dello sfarzo
La Pimpaccia era una donna avida di ricchezze e potere, una vera e propria manipolatrice.
Originaria di Viterbo e proveniente da una famiglia modesta, Olimpia si sposò, giovanissima, con il ricco Paolo Nini.
Rimasta vedova, dopo soli tre anni sposò Pamphilio Pamphili, fratello del cardinale Giovanni Battista Pamphili, che in seguito venne eletto Papa con il nome di Innocenzo X.
Grazie al fortunato matrimonio, la vita di questa donna cambiò radicalmente .
Nel 1639 anche Pamphilio morì (voci di corridoio dicevano che lo avesse avvelenato).
Nel 1645, ricevette dal cognato il titolo di principessa di San Martino al Cimino e feudataria di Montecalvello, Grotte Santo Stefano e Vallebona.
Visse a Piazza Navona e si fece costruire un palazzo sfarzoso sul lungotevere che costeggia Trastevere.
Oltre al lusso, era nota per la sua sete di potere, che di fatto esercitava manovrando l’illustre cognato.
Si narra che prima di essere ammessi al cospetto papale, ambasciatori, artisti, mercanti e politici dovessero avere il benestare di Olimpia.
Dalle stelle alle stalle
La sua fortuna finì alla morte di Innocenzo X, avvenuta il 7 gennaio 1655.
Consapevole dell’imminente cambio di rotta che avrebbe preso la sua vita, poche ore prima che morisse il cognato, riempì due casse di monete d’oro, le caricò sulla sua carrozza e fuggì attraverso ponte Sisto.
La leggenda narra che, a quanti le chiedessero di partecipare alle spese del funerale del papa rispondeva: “Che cosa può fare una povera vedova?”.
Esiliata nel viterbese, non torno mai più a Roma.
Morì di peste nel 1657, lasciando in eredità 2 milioni di scudi. Il suo corpo riposa sotto la navata centrale della Basilica di San Martino al Cimino, ma il suo fantasma ripercorrerebbe ogni anno alla fatidica data il tragitto a vertiginosa velocità.
Qualche curiosità
- Fino al 1914 esisteva, fuori Porta San Pancrazio nei pressi di Villa Pamphili, Via Tiradiavoli, così denominata per via della leggenda del carro che la porterebbe all’Inferno;
- Il soprannome di Pimpaccia deriva da una pasquinata, uno scritto satirico lasciato sulla più celebre “statua parlante” di Roma: Pasquino.
In questo scritto Olimpia è definita “Olim-pia, nunc impia”.
Si tratta in pratica di un gioco di parole: in latino olim = una volta e pia =religiosa; nunc = adesso e impia (empia, piena di peccati!).
Tradotto significa: “una volta era brava e religiosa, ma adesso è corrotta e peccatrice!”. - Altre pasquinate sul suo conto sono “Fu un maschio vestito da donna per la città di Roma e una donna vestita da maschio per la Chiesa Romana”;
- E ancora “Chi dice donna, dice danno – chi dice femmina, dice malanno – chi dice Olimpia Maidalchina, dice donna, danno e rovina. Chi è persona accorta – corre da donna Olimpia a mani piene – e ciò che vuole ottiene. – È la strada più larga la più corta;
- Olimpia era anche nota con l’appellativo “la papessa”, cosa che lasciava intendere una relazione nascosta con il Papa.
Fonti
www.turismoroma.it
https://www.latitudinex.com/italia/piazza-del-popolo-a-roma-tra-storia-arte-e-mistero.html
https://www.latitudinex.com/italia/campo-de-fiori-giordano-bruno-e-il-mercato-di-roma.html
https://www.latitudinex.com/rubriche/curiosita/befana-di-piazza-navona-la-tradizione-delle-feste-a-roma.html
https://www.latitudinex.com/italia/cimitero-acattolico.html