L’ex Ilva, oggi Arcelor Mittal Italia, è il più importante stabilimento europeo. La sede principale è situata a Taranto, che si occupa della produzione e della trasformazione dell’acciaio. La fabbrica portò alla morte migliaia di lavoratori e non solo. I fumi tossici e le fibre di amianto si espansero in tutta la zona rurale contigua alla fabbrica facendo ammalare tantissime persone e animali. Per esempio sono nati agnellini con gravi deformazioni.
«Rilasciavano nubi di fumo, tossiche, durante la notte», dichiara l’avv. Gentile.
Anche coloro che lavavano le tute dei lavoratori, le mogli, i familiari, inalarono le fibre di amianto che si trovavano sugli indumenti.
Tutta la verità raccontata dai lavoratori dell’ex Ilva
È del 20 maggio 2019 la notizia che, a causa di un malfunzionamento, l’apertura di una valvola di sicurezza dello stabilimento di Taranto ha sprigionato nell’aria una nube di denso fumo nero. Tantissime le segnalazioni dei cittadini, preoccupati, per l’odore nauseante di gas che proveniva dalla zona industriale.
Il 13 giugno 2019 ci furono numerose proteste da parte dei genitori che occuparono la scuola Deledda del capoluogo ionico preoccupati per i loro figli in seguito ai dati rilevati dall’Arpa Puglia. Secondo i dati nella parte dell’edificio scolastico vicino all’ex Ilva, si registrano diossine e pc fino a 45 nanogrammi per chilo, quattro volte oltre il limite consentito di 10 ng.
Le indagini si effettuarono nei terreni delle barriere artificiali per proteggere le case e nel quartiere dall’acciaieria. È una storia lunga, quella dell’Italsider, passata, poi, all’Ilva, che richiamava il nome latino dall’isola d’Elba, dalla quale era estratto il ferro utilizzato a fine Ottocento per alimentare gli altiforni.
Nel 2012 fu disposto dalla magistratura di Taranto il sequestro dell’acciaieria per gravi violazioni ambientali; secondo le indagini ,infatti, aumentarono drasticamente i casi di patologie tumorali, leucemie, malattie della tiroide e mesotelioma, strettamente correlate all’amianto.
Approfondisce l’argomento “ILVA di Taranto disastro ambientale“.
Dati epidemiologici dell’emergenza ambientale in Puglia
Durante la conferenza che si è svolta a Taranto il 9 Febbraio 2019, l’ONA ha diffuso i dati epidemiologici relativi all’inquinamento e all’emergenza ambientale in Puglia.
Secondo il VI Rapporto ReNaM, per la Regione Puglia i mesoteliomi ufficialmente registrati sono stati 1.191, nel periodo tra il 1993 e il 2015. Sono pari al 4,4% di quelli registrati nel Paese, il 67,2% dei casi causati da esposizione all’amianto di tipo professionale. I dati aggiornati sono disponibili nel VII Rapporto ReNaM.
«Tenendo conto che statisticamente i tumori polmonari sono circa il doppio dei mesoteliomi e tenendo conto dell’incidenza di tutte le altre malattie asbesto correlate, l’Osservatorio Nazionale Amianto – spiega il presidente, avv. Ezio Bonanni – stima che in Puglia siano circa 5mila i morti causati o concausati dall’esposizione all’amianto nel periodo dal 1993 al 2015. Dunque, circa 220 l’anno, per le sole patologie asbesto correlate. Poi ci sono tutte le altre patologie causate dalla diossina e dagli altri inquinanti».
I danni alla salute provocati dall’amianto
«L’insorgenza del mesotelioma è solo la punta dell’iceberg: l’amianto infatti è in grado di determinare patologie fibrotiche, tra le quali l’asbestosi, le placche pleuriche, gli ispessimenti pleurici e complicazioni cardiovascolari e cardiocircolatorie e diverse patologie neoplastiche», precisa l’esperto.
«L’Ona ha ritenuto di rafforzare la sua presenza su un territorio che sta pagando un prezzo altissimo in termini di salute e inquinamento ambientale – ha sottolineato Bonanni – i morti per mesotelioma nella città di Taranto tra il 2006 e il 2011, sono la metà di quelli censiti nell’intera Puglia dal Registro regionale. Centoventuno morti solo di mesotelioma, di cui 99 uomini e 22 donne. Tenendo conto che l’Italia ha una popolazione di circa 60milioni di abitanti e che ogni anno si censiscono 1.900 mesoteliomi, secondo i calcoli si dovrebbe rilevare un caso di mesotelioma ogni 31mila abitanti. A Taranto, quindi, che ha una popolazione di 200mila abitanti, si verificherebbero 6 casi di mesotelioma l’anno. Mentre i numeri drammatici censiti dall’ONA riportano fino a 25 casi di mesotelioma, un’incidenza superiore di quattro volte ai dati di attesa».
Avvocato Gentile: riconoscimento esposizione all’amianto
L’avvocato Giovanni Gentile, del Foro di Taranto, ex lavoratore Ilva, è stato riconosciuto esposto all’amianto dall’Inail di Taranto. È stato presente a numerose conferenze tenute dall’Ona Puglia, schierato per difendere i lavoratori nonché colleghi della società e dell’indotto Ilva. Gentile racconta, durante l’intervista, alcuni episodi riguardanti gli anni di lavoro nello stabilimento ionico.
«Ho lavorato all’Ilva di Taranto dal ’79 al ’97. Allora il presidente era l’ingegner Gambardella. La produzione dell’acciaio era ai massimi livelli.
l’Ilva ha iniziato a produrre acciaio nel ’61. All’inizio c’era una grande richiesta di manovalanza per cui coloro che lavoravano nelle campagne e avevano uno stipendio molto basso hanno accettato qualsiasi tipo di mansione e straordinario all’interno dello stabilimento perché la paga era alta rispetto alla media agricola e artigianale.
Grazie a questo tipo di lavoro, molte persone hanno potuto comprare casa e avere un tenore di vita più alto, hanno potuto iscrivere i propri figli nei licei e nelle università, per cui c’era un certo benessere. Ne ha beneficiato in primo luogo la città di Taranto ma anche tutta la provincia perché i lavoratori, avendo un salario maggiore, potevano spendere, comprare mobili e avevano le ferie pagate, cosa che non succedeva per i lavori che svolgevano in precedenza.
Lavorazioni e inquinamento all’ex Ilva
Si assumevano anche molte persone che venivano da altre città. Produrre acciaio non era a conoscenza di tutti. La cosiddetta area ghisa (che era l’area a caldo dove io ho lavorato per tantissimi anni) era la più pericolosa perché l’amianto, che è un coibentante e protegge dal calore, quando demolivo i mattoni dopo tante colate in appalto, rilasciavano una grandissima quantità di fibre di amianto nell’aria. Le zone di lavoro erano moltissime, le cocherie erano il posto peggiore per l’inalazione di polveri sottili, fibre di amianto, diossina e altri agenti tossici inquinanti.
Alle 7,30 di mattina quelli che lavoravano nelle cocherie avevano già la faccia nera, non si sapeva che tipo di polveri fossero ma nessuno si lamentava o chiedeva.
Non sapevamo che il prezzo del guadagno sarebbe stato così alto e che avremmo pagato in termini di salute.
Come si svolgeva il lavoro in fabbrica?
Per creare dei tubi era necessario fare una colata continua di acciaio.
In seguito usciva un bramma (semilavorato d’acciaio a sezione rettangolare che si utilizza nella produzione di lamiere – dizionario Garzanti) e il tubo poteva essere anche lungo di migliaia di chilometri. Prima di fare le colate continue c’erano colate in alcuni contenitori che noi chiamavamo ghiaccioli o pinguini.
In questi contenitori venivano messe delle formelle enormi di amianto; lì si colava l’acciaio e quando si solidificava il carroponte batteva e tirava su la corazza. Ne usciva un involucro di acciaio che veniva tirato fuori, poi riscaldato e schiacciato per poter tirare fuori il bramma. Per fare la ghisa c’erano centinaia di minerali che venivano miscelati e cotti sugli altiforni, la ghisa tramite convertitore veniva trasformata in acciaio».
I fumi e le polveri hanno provocato patologie tumorali anche alle persone che abitavano nei quartieri vicini…
«Nella zona dei Tamburi, adiacente a Taranto, c’è una collinetta creata dall’Ilva dove gli operai scaricavano le cosiddette scorie e la loppa (sottoprodotto della riduzione dei minerali di ferro nell’altoforno – ndr). Si creò questa collina artificiale per proteggere il quartiere tamburi dalle polveri. Ma, ci sono delle ciminiere nell’Ilva di circa 60-70 metri e le polveri cadono ben oltre questa collina.
Quando facevo il turno di notte, spesso si aprivano delle valvole e uscivano dalle ciminiere le polveri che venivano rilasciate nell’aria. Con il buio non era visibile ai cittadini. Il tutto veniva occultato. Inoltre, l’Ilva prelevava e sicuramente preleva tutt’ora, l’acqua dal mare per eseguire il raffreddamento degli impianti e, in seguito, getta la stessa acqua, inquinata, nel mare».
Vi sottoponevate a controlli medici?
«Le visite aziendali erano convenzionate sia internamente che esternamente ma non erano approfondite, non hanno mai fatto esami del sangue né a me né ai miei colleghi».
Purtroppo, sono poche le persone che sono state risarcite per i danni di salute.
«L’ex Ilva è stata “creata” dallo Stato. Hanno utilizzato grandi quantità di amianto per l’economicità del materiale e per le sue qualità isolanti e di resistenza al calore.
Allora era legale, ma nel 92 è stato bandito dalla legge.
Quando facciamo causa all’Inps, questo si difende rispondendo che non siamo esposti all’amianto. Ancora oggi, nello stabilimento, ci sono 400mila tonnellate di amianto da smaltire. Le guarnizioni erano in amianto, non avevamo protezioni, si usavano guanti e grembiuli in amianto. Dall’Italia si esportava questa tecnologia di lavorazione dell’acciaio in tutto il mondo.
Moltissime persone sono morte a causa delle polveri e delle fibre di amianto che hanno inalato. Durante la notte studiavo per poter lasciare il lavoro nello stabilimento e trovare un impiego migliore. Per me e per la mia famiglia. Non rinnego ciò che ho fatto ma non ero consapevole dei pericoli a cui sono stato esposto.
Quello che preoccupava noi operai erano gli infortuni, infatti, molti sono morti a causa di incidenti avvenuti all’interno dell’ex Ilva, ma non sapevamo che queste sostanze e polveri rilasciate nell’aria fossero dannose.
L’ONA si sta battendo per tutelare la salute dei lavoratori esposti».
Nel 2012 la procura di Taranto stabilì la chiusura del polo siderurgico e l’arresto dei dirigenti per le morti e per violazioni ambientali
La chiusura era per l’immissione di fumi nell’atmosfera, diossina, polveri sottili. Hanno abbattuto animali che pascolavano a ridosso dell’Ilva. La chiusura è stata fatta solo ed esclusivamente su una serie di elementi. In quel caso l’ARPA ha fatto i rilevamenti per l’inquinamento in aria e nell’acqua. Fino al 95 l’Ilva era statale e la legge sull’amianto è uscita nel 92 ma non è stato fatto niente».
La fabbrica ha prodotto ricchezza, benessere ma a caro prezzo. Troppe persone hanno perso la vita.
Agenti patogeni all’ex Ilva: interviene Maggi
Pasquale Maggi, dipendente di Arcelor Mittal, ha segnalato più volte la sua esposizione in modo continuativo a fibre di amianto e altri agenti patogeni all’interno dello stabilimento. Come racconta nell’intervista che segue, lavora lì da vent’anni. Ha sottolineato ai dirigenti la necessità di bonifica della fabbrica e di tutela per i lavoratori.
«L’azienda sottovaluta il livello di pericolosità dell’amianto – dichiara Maggi – si cerca di occultare la verità, ovvero la massiccia presenza di amianto all’interno dell’ex Ilva. L’amianto presente non è stato totalmente censito, le bonifiche sono parziali e noi impiegati abbiamo lavorato in assenza di strumenti di protezione.
Più volte ho esposto denuncia per queste motivazioni e per l’assenza di informazioni riguardanti la pericolosità delle sostanze a cui siamo esposti. L’ho fatto per me e per gli altri. Ma non c’è sorveglianza sanitaria, da anni facciamo richieste alla ASL di competenza ma non vengono ascoltate, la nostra salute è a rischio ogni giorno».
Pasquale ha effettuato il 19 Marzo 2019 una visita pneumologica dal dott. Giorgio Castellana e risulta affetto da una forte asma bronchiale “professionale”, una patologia asbesto correlata, come risulta dalla sentenza del tribunale di Velletri.
Sono molte le persone che hanno perso la vita ingiustamente e la pericolosità delle polveri non riguarda solo gli impiegati ma tutti gli esposti, anche indirettamente.
Non si può permettere che innocenti, bambini, madri, paghino per un errore commesso da altri.
Ex Ilva: l’emergenza amianto non si ferma
Come una corda che si consuma lentamente, così le persone continuano ad ammalarsi e a perdere la vita o peggio, a vivere appese a un filo. Con l’angoscia di contrarre da un giorno all’altro una malattia asbesto correlata e lasciare per sempre tutto ciò per cui hanno lavorato e lottato: i loro affetti, le loro famiglie, il proprio orgoglio.
E la corda si sta lacerando, non è stato fatto abbastanza e le morti documentano questa strage che si perpetua da troppi anni.
Situazioni statiche.
Tante parole e pochi fatti.
Ma soprattutto la noncuranza e l’infrazione della legge: “é… certo e incontestabile che l’integrità personale dell’uomo e la sua salute (sommi beni che trascendono dalla sfera dell’individuo per assurgere ad importanza sociale, come necessaria premessa della conservazione e del miglioramento della specie) sono protette non soltanto dal contratto ma, altresì, da numerose leggi di pulizia sanitaria e perfino dal Codice penale”. Sentenza della Corte di Cassazione 28 aprile 1939 N.2017
L’amianto era e continua ad essere un killer silenzioso.