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mercoledì, Ottobre 16, 2024

Eternit bis, indignazione dopo l’arringa finale

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Si avvia verso la conclusione il processo Eternit bis presso il tribunale di Novara. Il 10 marzo scorso il difensore Di Amato ha cercato di smontare il castello accusatorio con la sua arringa finale. Imputato è Stephan Schmidheiny, imprenditore svizzero di 73 anni. È l’ultimo proprietario dell’Eternit e in questo procedimento risponde di omicidio volontario, con dolo eventuale, per la morte di 392 persone nel territorio di Casale Monferrato. L’amianto lavorato nelle fabbriche ha causato tutti i decessi, tra i dipendenti e tra gli abitanti delle zone limitrofe allo stabilimento.

Processo a Novara, i pm hanno chiesto l’ergastolo

I due pubblici ministeri, Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare hanno chiesto alla Corte di Assise di emettere una sentenza di condanna all’ergastolo. Sono convinti, infatti, che il magnate svizzero, che ha guidato la società dal 1976, conoscesse perfettamente la pericolosità del minerale e abbia continuato ad utilizzarlo senza prevedere misure di sicurezza per i propri dipendenti e azioni per arginare il rischio per i residenti. Questo ha causato i tantissimi casi di mesotelioma e altre patologie asbesto correlate, come l’asbestosi e il tumore del polmone.

L’arringa: “Si preoccupò di proteggere lavoratori e ambiente”

Il 10 marzo scorso, durante l’ultima udienza, uno dei due difensori dell’imprenditore, che non si è mai presentato in aula, ha raccontato una storia diversa. “Se si abbandonano i pregiudizi – ha detto Di Amato durante l’arringa – si deve rilevare che Stephan Schmidheiny ha approcciato il tema salute ed amianto in modo assolutamente innovativo e davvero centrato sulla preoccupazione di proteggere i lavoratori e l’ambiente”.

L’imputato ha cercato negli anni di presentare le sue aziende, in particolare quelle più recenti, come assolutamente attente alla tutela dell’ambiente. I dipendenti dell’Eternit, che hanno testimoniato davanti al processo, hanno però disegnato un quadro ben diverso di quello che accadeva nei vari reparti della fabbrica. Di come nessuno fosse dotato di mascherine, che pure erano disponibili in commercio a costi accessibili. E di come davvero ridotte erano state le informazioni sui rischi.

L’arringa ha indignato le famiglie che aspettano giustizia

Sarà ora la Corte d’Assise a decidere se questo sia sufficiente a portare a una condanna all’ergastolo per omicidio volontario. Sarebbe sicuramente la prima volta. La prima parte della difesa – nella prossima udienza fissata per il 29 marzo quando parlerà il secondo avvocato del magnate svizzero – ha però provocato indignazione tra le famiglie delle vittime. I familiari attendono giustizia da anni, da quando il primo processo Eternit è andato in prescrizione, perché era stato contestato il reato di disastro colposo. Ci sono voluti anni perché fosse incardinato un secondo processo, diviso in 4 tronconi. Soltanto a Novara il reato è quello di omicidio volontario.

Il processo di primo grado di Napoli, si è concluso con una condanna 3 anni e 6 mesi di reclusione per la morte di un solo operaio su 8 vittime contestate. Il castello accusatorio non ha retto e anche il reato è stato derubricato da omicidio volontario a omicidio colposo. Anche negli altri processi Schmidheiny risponde di omicidio colposo. A Torino la condanna di primo grado è stata confermata in Appello.

Deambrogio: “Parole di una gravità inaudita”

“Le parole del difensore di Schmidheiny – ha detto Alberto Deambrogio, segretario regionale del Piemonte di Rifondazione comunista – sono di una gravità inaudita. Quello che emergerebbe secondo il legale sarebbe la figura di una fabbrica e di in imprenditore all’avanguardia, socialmente responsabile. È incredibile che si possa avere il coraggio di esplicitare una tesi così contraria a qualsiasi esperienza vissuta da operai e operaie per anni all’interno dello stabilimento. Forse l’idea di impunità, di chi è riuscito sino ad ora a sfuggire al percorso della giustizia, ha dettato una così sfacciata mistificazione della verità”.

Bonanni: “La strage amianto in nome del profitto”

Parole dure che riassumono il punto di vista anche dell’Osservatorio nazionale amianto (parte civile nel processo), e del suo presidente, l’avvocato Ezio Bonanni, davanti all’arringa. “In nome del profitto gli imprenditori dell’amianto hanno dimenticato di tutelare i lavoratori. Hanno spesso sottaciuto la cancerogenicità del minerale, per non dovervi rinunciare. Non hanno previsto misure di protezione, né sorveglianza sanitaria per i dipendenti approfittando del periodo di latenza che porta le malattie a manifestarsi soltanto dopo decenni”. Per meglio conoscere il fenomeno amianto nel nostro Paese è possibile consultare l’ultima pubblicazione dell’avvocato Bonanni: “Il libro bianco delle vittime di amianto in Italia – ed. 2022“. Chi volesse segnalare un sito ancora contaminato e contribuire, così, alla mappatura, può utilizzare la App dell’Ona.

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