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lunedì, Dicembre 2, 2024

Colonialismo e biodiversità: le colpe dei conquistadores 

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Forse non tutti sanno che, uno degli effetti nefasti del colonialismo è stato il suo impatto sulla biodiversità. Uno studio svela le colpe dei conquistadores.

Colonialismo: come ha influenzato la biodiversità? 

Colonialismo. Il 12 ottobre 1492, Cristoforo Colombo e i conquistadores sbarcarono in America in cerca dell’oro. Qui tuttavia scovarono un tesoro ancora più prezioso: i prodotti alimentari locali. 

Da allora, la missione dei colonizzatori diede il via al più imponente rimescolamento di biodiversità indotto dall’uomo. 

Quanto ha influito il colonialismo in questo processo? A chiederselo, due ricercatori: Bernd Lenzner dell’ Università di Vienna e Guillaume Latombe dell’ Università di Edimburgo, che hanno pubblicato i risultati del loro studio sulla rivista Nature Ecology and Evolution

Un percorso binario Europa/Nuovo Mondo

I colonizzatori iniziarono a esportare riso e altri cereali verso il Nuovo Mondo, dove erano specie “aliene“. Oltre ai generi alimentari, introdussero – ahimè – una serie di virus, quali: vaiolo, morbillo e altre malattie. Ignoti ai sistemi immunitari dei nativi americani, i virus finirono per uccidere migliaia di individui, ma questo non fermò la sete di conquista.

Dal Nuovo Mondo, i colonizzatori invece importarono: pomodori, mais, patate, tabacco, cioccolata, il fico d’India, originario del Messico e la robinia (Robinia pseudoacacia), originaria del Nord America.

Quest’ultima, venne piantata inizialmente nel Seicento come albero ornamentale e ben presto divenne una specie invasiva dei nostri boschi.

La “ridistribuzione forzata” delle specie non finisce qui

Dopo l’VIII secolo, gli arabi portarono dall’Egitto e dalla Mesopotamia, in Europa, le palme da dattero e le arance, poi diffuse dai portoghesi nel XVI secolo. 

Questa ridistribuzione “forzata” delle specie, divenne un fenomeno globale quando gli europei iniziarono a stabilire imperi coloniali in tutto il mondo alla fine del XV secolo.

A Stellenbosch, una città del Sudafrica,  per esempio, si possono trovare interi boschi di querce europee.

Esse furono importate per produrre botti in cui conservare il vino.

Tuttavia, a causa del clima eccessivamente caldo, gli alberi crebbero troppo velocemente, rendendo il legno inadatto alla conservazione del vino. 

Perché i coloni esportavano le loro piante? 

Le ragioni sono molteplici.

Inizialmente, gli esploratori e i coloni importarono piante per assicurarsi che i loro insediamenti avessero cibo a sufficienza. 

Successivamente, le introdussero per ragioni “estetiche”, ma anche per attenuare la nostalgia della madre patria. 

Tra il XIX e l’inizio del XX secolo, lo scambio globale di specie vegetali si intensificò per creare giardini botanici.

A dare inizio a questa attività furono le cosiddette “società di acclimatazione”, intenzionate a intraprendere ricerche medico-scientifiche e studi sull’orticoltura e sullo sfruttamento economico.

Con l’Impero britannico, il fenomeno raggiunse il suo apice. Nacquero così circa cinquanta società di acclimatazione e si realizzarono oltre cento giardini botanici, tra cui i Kew Gardens di Londra

Queste tendenze si rafforzarono ulteriormente grazie al boom dell’orticoltura ornamentale in Europa e al crescente interesse per nuove piante esotiche.

I risultati di tale rimescolamento, sono diventati oggetto del nuovo studio di Lenzner e Latombe.

Colonialismo: la tomba della biodiversità

I due scienziati hanno analizzando la flora “aliena” dei più grandi imperi europei della Storia: britannico, spagnolo, portoghese e olandese.

Conclusione? Dai loro studi è emerso che più a lungo una potenza coloniale ha dominato una regione, più la vegetazione del territorio è diventata simile a quella della loro nazione.

Ciò ha portato all’accumulo di vegetazioni aliene simili tra le colonie, specialmente nelle regioni occupate per lungo tempo.

«Le politiche commerciali restrittive degli imperi europei assicuravano che le piante fossero prevalentemente scambiate tra le regioni occupate dalla stessa potenza. Quindi, l’insieme delle specie scambiate tra le regioni era limitato all’estensione dell’impero e di conseguenza le regioni divennero più simili nelle loro flora rispetto alle regioni esterne. Il processo si intensificò con il periodo di tempo in cui una regione fu occupata dall’impero». A sostenerlo, Bernd Lenzner, autore principale dello studio.

Conseguenze dell’esportazione forzata

L’introduzione di “specie esotiche invasive”, ha modificato radicalmente gli ambienti e la biodiversità. 

Alcune possono infatti diffondersi e causare problemi all’habitat che le ospita. 

Esempi famosi includono il nodo giapponese. Soprannominato “l’incubo del giardiniere”, esso può competere con molte piante autoctone, o altre piante, come la locusta nera (Robinia pseudocacia), introdotte in Gran Bretagna all’inizio del XVII secolo come piante ornamentali, ma che possono cambiare fortemente gli ambienti che invadono.

Conclusioni: colonialismo e biodiversità

Ma non è solo questo il problema. Stando alle ricerche degli studiosi, in futuro, l’impatto di questa politica potrebbe rivelarsi catastrofico.

Franz Essl, autore senior dello studio, sottolinea «Potrebbero volerci decenni perché le specie esotiche si stabiliscano e si diffondano all’interno di una regione in cui sono state introdotte. Questo processo spesso si svolge con un ritardo sostanziale».

Poi aggiunge «le conseguenze di tali attività, si verificano anche a distanza di secoli, dopo il crollo degli imperi europei. Ciò dimostra che dobbiamo essere molto attenti e consapevoli di quali specie spostiamo in tutto il mondo, poiché probabilmente avranno un impatto duraturo sulla biodiversità e sui mezzi di sussistenza umani in futuro».

«Con questo studio- afferma Marten Winter, coautore dello studio, abbiamo dimostrato che la colonizzazione umana ha in alcuni casi drasticamente alterato gli ecosistemi. Al fine di ridurre i problemi causati da alcune di queste specie, dobbiamo attuare urgentemente politiche globali per limitarne la diffusione e mitigarne l’impatto».

Fonti 

Materiali forniti dall’Università di Vienna

Lenzner, B., Latombe, G., Schertler, A., Seebens, H., 3, Yang, Q., Winter, M., Weigelt, P., van Kleunen, M., Pyšek, P., Pergl, P., Kreft, H., Dawson, W., Dullinger (2022): Le flora aliene naturalizzate portano ancora l’eredità del colonialismo europeo. Ecologia ed evoluzione della natura, DOI:10.1038/s41559-022-01865-1.

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