Il termine body shaming è entrato nel lessico quotidiano di recente. La storia di questa forma di bullismo nei confronti di chi non ha un corpo omologato con l’attuale idea di bellezza, in realtà è antica quanto l’uomo.
Body shaming: una nuova forma di bullismo?
Body shaming. Di recente, il mondo della ginnastica ritmica in Italia è stato travolto dallo scandalo relativo alle pressioni esercitate sulle atlete in sovrappeso. Cosa che ha causato disturbi alimentari nelle vittime. Anche la moda ha da sempre attuato questa coercizione psicologica nei confronti delle modelle. Il problema tuttavia non è nuovo.
La vergogna “shaming”, un’emozione “sociale” che si basa sulle aspettative della società e sulle opinioni altrui, ha condizionato intere generazioni in ogni angolo del Pianeta, influenzata dai vari canoni di bellezza del momento.
Storicamente, chi ha decretato i canoni di bellezza e su quale base?
Sovrappeso: una colpa da espiare fin dal passato
Anche se non sempre è stato visto come “difetto” e in qualche parte del mondo (basti pensare ai paesi Arabi) è addirittura considerato un canone di bellezza, generalmente il grasso suscita disgusto.
Le Sacre Scritture demonizzavano e disprezzavano il sovrappeso.
Il profeta Amos, settecento anni prima di Cristo tuonava ”Guai a voi, uomini pingui”. Un altro profeta, Isaia, collocava gli obesi tra i malvagi, “perché la loro voracità oltrepassa i limiti del lecito”.
Body shaming: prima gli uomini erano oggetto di derisione
In passato, questa forma di bullismo era rivolta essenzialmente agli uomini. Platone considerava la “gastrimargia” (l’ingordigia) una nemica delle Muse.
Nel suo trattato Fisiognomica, Aristotele sosteneva che gli ingordi fossero insensibili, poiché i loro sensi erano rivolti esclusivamente al soddisfacimento dei piaceri della tavola.
Nell’ideale greco kalòs kai agathòs (“bello e buono”), la bellezza coincideva infatti con la virtù. La mollezza fisica corrispondeva invece a un decadimento morale. Le donne, ritenute inferiori e perciò escluse dal governo della polis, “fortunatamente”, si fa per dire, non erano minimamente oggetto di body shaming.
Anche i Romani associavano l’idea del grasso (dal latino crassus, “ottuso”) alla mollezza morale e alla sfera cognitiva. Per gli antichi greci, romani e spartani, il disprezzo non era dunque solo una questione di estetica, ma di status: l’uomo grasso si abbassava al livello degli schiavi, delle donne e degli animali.
Spartani e antichi romani contro il grasso
Gli Spartani, ossessionati dall’atletismo e dalla dieta, arrivavano ad umiliare i “ciccioni”. Ogni dieci giorni, tutti i giovani dovevano presentarsi nudi al cospetto degli efori (i magistrati), i quali ne esaminavano il fisico per vedere se avessero del grasso in eccesso. Chi era in soprappeso veniva multato!
Quando il re persiano Serse mandò le sue spie a Sparta, rimase sbalordito nel sentire che i ragazzi si stavano esercitando nudi mentre aspettavano l’assalto persiano.
Il medico Ippocrate di Coo (V secolo a.C.) prescriveva persino una serie di rimedi antiobesità.
Bisognava allenarsi regolarmente, provocarsi il vomito (con purganti a base di acqua, aceto e sale) e astenersi dai rapporti sessuali perché inducevano pigrizia.
Il cristianesimo non risparmia le sue invettive ai ciccioni
Nell’ottica cristiana, i peccati di gola e lussuria riportavano gli uomini alla condizione delle bestie, mentre un corpo smunto era la prova di un animo che sapeva resistere alle tentazioni terrene.
Per l’apologeta cristiano Tertulliano, vissuto nel II secolo d.C., il corpo denutrito passava più facilmente attraverso gli stretti anfratti del Paradiso e resuscitava prima nel Giorno del Giudizio.
San Giovanni Crisostomo, in un’omelia sulla Lettera di san Paolo ai Corinzi, terrorizzava i fedeli e li invitava ad astenersi dai peccati di gola. “Qui sudiciume e obesità, lì vermi e fuoco”- declamava, riferendosi a ciò che avrebbero dovuto patire dopo la morte.
Rotondità medievali: una breve tregua al body shaming
Nel Medioevo flagellato da peste, guerre e carestie, la magrezza divenne simbolo di miseria e povertà. Di contro, la rotondità era segno di benessere, sicurezza e ricchezza. Anche la gotta, malattia causata dall’eccessivo consumo di carne, veniva salutata come una “malattia del benessere”.
Tuttavia la grassezza poteva diventare un impedimento, soprattutto quando si doveva andare in guerra. Di conseguenza, ricominciò nuovamente ad affacciarsi lo spauracchio del body shaming.
La società utopica di magri di Campanella
Nel 1550, il nobile veneziano Luigi Alvise Cornaro scrisse Discorsi della vita sobria. Nel trattato esaltava ovviamente la magrezza, associandola a uno stile di vita salutare dal punto di vista fisico e morale.
Successivamente, nel 1602 il frate domenicano Tommaso Campanella, nella sua “Città del sole”, immaginò una società utopica fatta unicamente da persone magre.
Nel dialogo, Campanella scevera che i magistrati avevano il compito di selezionare tutti quegli uomini e donne, che nel rispetto degli standard fisici di magrezza, avrebbero potuto garantire una discendenza più attraente.
Insomma, ricomincia il body shaming.
L’attenzione di sposta sulle donne
Con la Rivoluzione industriale, anche le donne divennero oggetto di body shaming.
Nella seconda metà dell’Ottocento, le teorie dell’antropologo “razzista” Cesare Lombroso, esasperarono il disprezzo per il grasso.
Egli associò l’obesità femminile all’immoralità di “ottentotte, africane ed abissine, che ricche e pigre diventano immensamente grasse”.
Ma non si limitò al paragone razziale, arrivò a sostenere che “nelle carceri e nei manicomi le pazze sono spesso assai più corpulenti degli uomini”.
L’evoluzione del body shaming
Nella società moderna, l’attenzione al fisico si è trasformata in qualcosa di molto più sinistro, soprattutto con l’ascesa della chirurgia estetica.
Non si bada soltanto alle curve ma anche a ogni caratteristica “immutabile” del corpo, che può essere corretta a piacimento grazie agli interventi. Tutto rientra dunque nel calderone del body shaming. Ne verremo mai fuori?