Il Bardo Thodol è un libro tibetano che risale all’ottavo secolo. Battiato lo descrive meravigliosamente nel documentario “Attraversando il Bardo: sguardi sull’aldilà”.
Origini controverse del Bardo Thodol
La tradizione attribuisce la stesura del libro al guru tantrico indiano Padmasambhava, che introdusse il buddismo in Tibet nel VII secolo.
C’è chi ritiene tuttavia che sia stato scritto probabilmente nel XIV secolo.
Tenuto segreto fino agli inizi del XX secolo, a riportarlo alla luce fu un viaggiatore inglese nel 1917. Fu poi tradotto nel 1927.
Esso contiene tutta una serie di “istruzioni” da sussurrare all’orecchio del moribondo prima del trapasso.
In Italia, a renderlo noto fu il docu-film “Attraversando il bardo: sguardi sull’aldilà”, realizzato da Franco Battiato nel 2014 a Kathmandu (Bompiani editore).
Bardo Thodol: le “istruzioni” per il moribondo
Il Bardo Thodol è (in tibetano: “Liberazione nello stato intermedio attraverso l’udito”), chiamato anche “Libro tibetano dei morti”, è un testo funebre. A recitarlo è solitamente il Dalai lama, una sorta di psicopompo o traghettatore di anime.
Il testo contiene una serie di istruzioni che vengono recitate all’orecchio del morente nel momento del trapasso, quando la coscienza del defunto può ancora apprendere le parole e le preghiere pronunciate per la sua liberazione.
Il suo obiettivo è quello di far preferire al defunto l’illuminazione piuttosto che la rinascita o in alternativa, una rinascita ad un livello di coscienza superiore.
La trasmigrazione delle anime
Il testo, soprattutto per noi occidentali non è sicuramente di facile comprensione.
Siamo spaccati in due fra la credenza nichilista di un vuoto totale dopo la nostra morte e la speranza religiosa di ritrovarci in un luogo di pace, come il Paradiso.
Le filosofie orientali invece, credendo nella trasmigrazione delle anime, ritengono che in base alle nostre azioni in questa vita (karma), possiamo reincarnarci in esseri superiori (se ci siamo comportati bene) o inferiori (se le nostre azioni sono state malvagie).
L’illuminazione buddista
A parte questa specifica, dobbiamo sottolineare che per il Buddismo, lo scopo primario dell’uomo è raggiungere l’Illuminazione, cioè la piena coscienza dell’irrealtà del mondo sensibile e quindi anche del proprio Io.
L’Io tuttavia non conosce questa totalità dei due corpi, ciò lo porta a vivere nella schiavitù dei suoi limiti.
Come fare per liberarci dai meccanismi dell’ego e dall’ignoranza che ci attira gravitazionalmente verso il basso, illusi come siamo che la nostra realtà materiale o la razionalità siano l’unica certezza della vita?
Le azioni in vita e l’attraversamento “corretto” del Bardo, sono la risposta al quesito.
Quando attraversiamo la grande soglia dobbiamo pertanto sapere come muoverci dal mondo del visibile a quello dell’invisibile e il rimedio a questa ignoranza consiste nel vedere al di là dell’illusione, nel riconoscere le proprie proiezioni del mondo e dissolvere il senso del sé nel vacuo e nel luminoso.
Bardo Thodol: cos’è esattamente?
La parola bardo significa transito, stato intermedio. È l’intervallo di tempo che precede una nuova rinascita, la fase premorte in cui il cadavere assume un corpo sottile.
Questo corpo è chiamato “mangiatore di odori”, perché si nutre appunto della sostanza sottile delle cose.
Recitare il Bardo, può far ottenere al morente una buona rinascita, come essere umano dotato di quelle qualità intellettuali che potrebbero consentirgli di raggiungere l’illuminazione nella nuova vita.
Il rituale del bardo
Nel momento in cui avviene il decesso, il corpo del morente non viene toccato per tre giorni. I familiari lo accompagnano con le formule e istruzioni del testo e mantengono sempre un atteggiamento positivo.
La recitazione, inizia solitamente poco prima della morte e continua per tutto il periodo di 49 giorni, in quello che viene definito “Bardo della Morte” (per gli individui comuni dai 7 ai 14 giorni), che porta alla successiva rinascita.
Diversi stadi di Bardo Thodol
- Il Bardo della Vita: dalla vita alla morte.
In questo stadio, la coscienza del morente diventa consapevole. Egli accetta la sua morte recente e riflette sulla sua vita passata; - Il Bardo del Sogno: il defunto incontra spaventose apparizioni. Esse non sono altro che le proiezioni che altro delle emozioni passate. Ovviamente possono essere terribili o benefiche, a seconda del karma che ha accumulato durante la vita;
- Il Bardo della Meditazione: la transizione in un nuovo corpo.
Per chi la sperimenta appieno, essa può introdurre agli stradi successivi:
1) Il Bardo della Morte;
2) Il Bardo della Verità;
3) Il Bardo del Divenire
La più importante istruzione del Bardo Thodol
L’istruzione fondamentale che il Bardo offre al morente è che tutte le visioni che gli appariranno sono solo proiezioni della sua mente e che quindi egli deve assolutamente evitare di esserne attirato.
In caso contrario, la coscienza diventa confusa e, a seconda del suo karma, può essere trascinata in una rinascita che gli impedisce la liberazione.
Per queste ragioni, quando si muore bisogna dire di sì e lasciarsi andare alle immagini che ben presto si formano nella nuova dimensione, altrimenti si cade nella fossa dell’inconsapevolezza che interrompe il ciclo vita/morte.
Cosa succede alla fine del viaggio?
A questo punto, la domanda sorge spontanea.
Ebbene, abbiamo parlato dei tre stadi del Bardo. Essi corrispondono a sei Regni (3 inferiori, 3 superiori).
Se in vita abbiamo prodotto sofferenze, saremo destinati a rinascere consecutivamente nei 3 mondi inferiori: come un sofferente all’inferno (sopportando orribili torture), come un fantasma errante (guidato da un desiderio insaziabile), come un animale (governato dall’istinto).
Se invece abbiamo prodotto gentilezza, altruismo o amore rinasceremo in uno dei 3 mondi superiori: come un semidio (assetato di potere), come un essere umano (equilibrato nell’istinto e nella ragione) o come un dio (illuso dalle loro lunghe vite).
Coloro che invece hanno raggiunto l’illuminazione (bodhi) vengono liberati da questo processo, ottenendo la liberazione (moksha).
Nessuna paura della morte
“Ogni giorno passato senza la consapevolezza della morte è un giorno sprecato”, dicono i maestri nel buddismo tibetano. Questa è la chiave della serenità buddista.
Insomma, il libro dei morti ci insegna che il morente è l’altra metà di noi stessi. Un concetto che, se compreso appieno, ci potrebbe aiutare a capire il vero senso della nostra esistenza.
Tutte le nostre ansie e le nostre paure più profonde scaturiscono infatti dalla non consapevolezza della morte. La vita e la morte invece sono simultanee e inscindibili: quando nasciamo iniziamo già a morire.
Inutile negarlo.
La morte è uno dei grandi tabù dell’occidente
Nel libro “Al di là del principio di piacere” (1920) Freud sosteneva che il conflitto psichico degli uomini sia determinato dalla tensione originaria di due principi opposti “Eros e Thanatos”. Egli li definiva dei “tabù”.
Effettivamente, nella nostra civiltà desacralizzata, la morte è la sola vera “morta e sepolta”, il più grande tabù occidentale.
Questo ci porta ad avere costantemente paura (la paura della morte è inconciliabile con la libertà), a non azzardare, ad accettare qualsiasi cosa. Ci porta altresì ad essere sempre vittime, a soffrire proprio a causa della nostra relazione perturbata con la morte e soprattutto a fuggirne. L’unico modo per riscattarci da ogni attaccamento consiste proprio nel “resuscitare” la morte.