La storia di Letterio, raccontata dal figlio Massimo
Il figlio di Letterio Alampi, morto di mesotelioma: “Andremo in causa qui a Reggio Calabria come ha deciso il giudice di Napoli contro Ansaldo Breda e l’Hitachi”
La società Ansaldo Breda, ex Omeca, che ha ceduto un ramo d’azienda a Hitachi S.p.A. si occupa della costruzione e della manutenzione di veicoli ferroviari.
Come risaputo da tempo, il suo nome è legato all’amianto, la fibra killer che ha portato alla morte e a patologie asbesto correlate moltissimi operai che vi lavoravano. È un male silenzioso, che si insinua nei polmoni lentamente e anche dopo molti anni dall’esposizione, può provocare tumori come il mesotelioma.
Una morte spietata, quella causata dal mesotelioma, per la sofferenza che infligge, perché quando ci sia accorge di essere ammalati, è troppo tardi. E le vittime, spesso, muoiono dopo poco tempo dalla diagnosi, soffocate, con gli occhi che gridano e senza che le labbra possano pronunciare l’ultima parola.
Come Letterio Alampi, ex operaio dell’Ansaldo Breda e molti altri, che hanno perso la vita a causa delle fibre di asbesto.
Un male incurabile. Che ha attanagliato Letterio Alampi e la sua famiglia in una morsa di terrore, dolore e rabbia. Le mogli, i figli delle vittime, gridano sulle tombe mentre le ceneri urlano, silenziose, giustizia.
Le fibre e le polveri di asbesto, nella società, erano presenti dappertutto. Era utilizzato in quantità notevoli per la sua resistenza al calore, come miscela cemento amianto, per la costruzione di porte e veicoli, l’amianto si respirava nell’aria, impregnava gli abiti degli operai.
Ansaldo Breda era a conoscenza della pericolosità dell’amianto
La legge 257 del 1992 vietò l’uso dell’amianto ma ancor prima la società era a conoscenza della pericolosità delle sue fibre e polveri. Infatti, secondo gli atti giudiziari:
“La Ansaldo Breda S.p.A. e suoi danti causa, a conoscenza della letteratura scientifica, circa la lesività dell’amianto per la salute umana, e del compendio di regole cautelari già dettate (artt. 4, 19, 20 e 21 del D.P.R. 303/56; piuttosto che gli artt. 377 e 387 del D.P.R. 547/55), hanno organizzato le loro attività lavorative e produttive con abnorme uso di amianto e omettendone le informazioni circa la lesività alle maestranze, prive di sorveglianza sanitaria e di ogni strumento di tutela, con elevati livelli espositivi (doc.ti 25/a, 25/b e 4), tanto che lo stesso INPS aveva ricostituito la posizione previdenziale del Sig. Alampi Letterio con l’art.13 comma 8 L.257/1992, e dunque adeguato i ratei pensionistici con i maggiori importi dovuti”.
Ansaldo amianto: Massimo Alampi e la storia di suo padre

“Mio padre lavorava per l’ex Omeca S.p.A. (Omeca sta per officine meccaniche calabresi) che diventò poi Ansaldo Breda e, nel 2015 è stata acquisita dalla Hitachi.
Iniziò a lavorare in questo stabilimento in Calabria (la sede principale è a Napoli) dal 1964 fino al 1992. Qui si occupavano della costruzione dei treni, dei vagoni e dei locomotori.
L’amianto era la presente dappertutto, anche le porte scorrevoli che dividevano i vari reparti del treno erano in asbesto. Era utilizzato per vari impieghi come isolante, coibente. Ha provocato una strage infinita non solo per tutte le persone che lavoravano all’interno dell’azienda ma vi era anche un indotto esterno, come quelli che si occupavano delle pulizie che, purtroppo, non avranno mai un riconoscimento”.
Per i responsabili, gli operai erano solo numeri. Non venivano trattati come persone, anzi, erano a conoscenza della pericolosità dell’amianto. E lo confermano le prove riportate anche negli atti giudiziari, ben prima dell’uscita della legge 257 del 1992. Soprattutto, la legge tutela i lavoratori e, questi, non erano a conoscenza dei pericoli cui erano esposti mentre coloro che lo sapevano tacevano in silenzio. Per lucro, sfruttamento, disonestà, mancanza di umanità verso quelli che erano considerati solo macchine da lavoro.
Ansaldo Breda: Letterio, una delle prime vittime mesotelioma
Letterio, il padre di Massimo, è solo uno dei tanti morti di mesotelioma. Questi, hanno messo in pericolo anche i familiari. E qui si parla di contaminazione secondaria. Che avveniva attraverso le tute che portavano a casa alle mogli, per lavarle, intrise di amianto, con le quali abbracciavano i propri figli.
«Mio padre – continua Massimo – svolgeva varie mansioni con l’amianto, come la coibentazione dei tubi, delle carrozze. Chiunque transitava in quell’ azienda o come operaio o come indotto esterno ha respirato amianto. È conclamato che l’azienda, oltre ad avere le tettoie in amianto, lo utilizzava ampiamente.
Tra gli incarichi che effettuava mio padre c’era anche quella del battilastra. Visto che le pareti esterne di questi vagoni sono lamiere spesse più centimetri, il battilastra riscaldava la parte esterna del metallo la ribatteva e la raddrizzava. Oltre che a riscaldare la parte esterna, all’interno impastava il cemento amianto, lo attaccava dove doveva riscaldare per evitare un surriscaldamento interno».
I primi sintomi e la diagnosi di mesotelioma
L’anno in cui Letterio si pensionò fece richiesta all’INAIL per avere i benefici per aver lavorato a contatto con amianto. Da quel momento in poi non ne parlò più con i suoi familiari. Non si poneva il problema. Eppure, molte volte quando andava ai funerali dei suoi colleghi, quasi tutti morti giovani, si chiedeva se l’amianto potesse essere una delle cause.Nel 2015 iniziarono i primi sintomi come il dimagrimento e, successivamente, l’affaticamento.
Aveva difficoltà anche a camminare e a salire le scale.
Decise di andare da un cardiologo pensando che l’affaticamento fosse dovuto a un problema cardiaco. Il medico gli rispose che si trattava di un problema polmonare e gli disse di andare immediatamente in ospedale. È stato ricoverato a Reggio Calabria.
Aveva un versamento pleurico.
I medici ospedalieri non capirono che il problema fosse collegato all’esposizione alle fibre di amianto. Il 31 dicembre 2015 lo trasferirono all’ospedale di Messina per sottoporlo ad una toracentesi e decisero di ripetere tutti gli esami. Dopo la toracentesi si capì che la malattia di Letterio era stata provocata dall’esposizione all’amianto.
«Quando abbiamo chiesto al medico come aiutare nostro padre lui ci rispose: “la terapia dell’accompagno”. Non ci restava che “accompagnarlo alla morte”. Questa cosa ci ha devastato».
Nessuna speranza per Massimo a causa della diagnosi infausta
Non rimaneva speranza a Massimo, ai fratelli e alla moglie ma solo un’agonia. Quella di “accompagnarlo” a una lenta e dolorosa morte. Capirono che non c’era più nulla da fare contro il mesotelioma. Loro non sapevano neanche che esistesse questo tipo di tumore. Letterio morì a soli due mesi dalla diagnosi.
«Papà era cosciente che sarebbe morto di lì a poco. Questa è la cosa che mi ha fatto soffrire di più. Ricordo che un giorno mi disse: “sai perché non mi butto giù dalla finestra? Per non lasciare un brutto ricordo ai miei nipoti”. Il giorno in cui è morto eravamo lì. Aveva lo sguardo fisso. Lo portammo a casa. Morì dopo un paio d’ore soffocato. Io cercavo, disperatamente, di rianimarlo, battevo sul petto… speravo di salvarlo in qualche modo.
Mio padre era una persona che amava la famiglia, i nipoti più di ogni altra cosa. La sua morte ha devastato tutti noi».
La nipotina più piccola, dopo la morte di Letterio, lasciava bigliettini per il nonno, scriveva, soffriva in silenzio. I genitori li trovarono tempo dopo. Era un nonno sempre presente. Questa perdita non ha lasciato solo il vuoto e le cicatrici di dolore che provoca il lutto ma anche tanta rabbia. Perché la sua morte è avvenuta a causa della contaminazione sul posto di lavoro. È dovere dello Stato tutelare i lavoratori. Proprio per questo Massimo e i suoi figli chiedono giustizia e il risarcimento dei danni morali e fisici che ha provocato l’amianto.
La tutela dei diritti dei lavoratori
La Costituzione italiana nei primi articoli cita espressamente che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro (art 1) e tutti i cittadini hanno pari dignità sociale davanti alla legge (3) senza distinzioni di sesso, razza, sociali ecc. In materia di igiene e sicurezza sul lavoro, la Costituzione prevede la tutela della persona fisica nella sua integrità psico-fisica come principio assoluto ai fini della predisposizione di condizioni ambientali e salubri (art 2,32,41).
E sulla base di queste leggi i lavoratori chiedono che i loro diritti siano rispettati. Vogliono giustizia.
“Il datore di lavoro che intende negare la propria responsabilità ha l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno” (Cass. Sez. Lav. 13.05.08 n. 11928).
Già prima dell’entrata in vigore della legge 257/92 sussisteva il divieto di esposizione ad amianto, di cui erano ben note le capacità morbigene (Corte di Cassazione, IV sezione penale, sentenza n. 49215 del 2012), ragione per la quale, l’onere è particolarmente pregnante, tenendo conto che, già all’epoca, sussistevano materiali alternativi, privi di capacità lesiva per la salute (cfr. doc. 22) e specifiche regole cautelari.
Massimo e la sua famiglia si sono rivolti all’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto. Chiedono il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali per la malattia del padre e per l’esposizione secondaria ad amianto.

Dal Tribunale di Napoli a quello di Reggio Calabria
Il Tribunale di Napoli ha dichiarato competente quello di Reggio Calabria, dove è sorto il rapporto di lavoro di Letterio.
«Lo scorso anno la causa per il risarcimento dei danni per me, mia madre e i miei fratelli è stata iscritta presso il tribunale di Napoli perché lì si trova la sede principale dell’azienda. Il ricorso è lungo e il Covid ha rallentato le cose. Da pochi giorni il giudice ha dichiarato l’incompetenza territoriale del Tribunale di Napoli. Io rispetto la sua decisione. Anche se il processo si svolgerà a Reggio Calabria questo non cambierà lo stato delle cose.
Ugualmente le altre cause, degli ex dipendenti dell’Hitachi, si svolgeranno qui. Noi abbiamo chiesto il risarcimento sia all’AnsaldoBreda che all’Hitachi perché, anche se quest’ultima è subentrata nel 2015, è chiamata a pagare il danno. Papà è stato menzionato in una relazione depositata presso il ministero dell’Ambiente. È stata redatta da chi ha sentito la mia testimonianza. Questa persona aveva il compito di rendere esplicita la situazione amianto in Calabria al dottor Guariniello che era a capo della commissione amianto».
Massimo Alampi in prima linea per la lotta contro l’amianto in Calabria
L’amianto in Calabria continua a mietere vittime e, anche quando ci sarebbe la possibilità di fare qualcosa, le istituzioni restano inermi, mentre le persone continuano ad ammalarsi.
Massimo, dopo la morte del padre, ha deciso di occuparsi in prima persona di questa vicenda, di informare le persone, in qualità di coordinatore regionale dell’Osservatorio Nazionale Amianto, della pericolosità della fibra killer, di assistere i cittadini e i lavoratori esposti.
«La bonifica, qui in Calabria, è stata sottovalutata. Le cose iniziano ma non proseguono. Solo pochi Comuni hanno partecipato al bando che prevedeva 43milioni e 367mila euro disponibili per la bonifica dell’amianto delle strutture pubbliche. Qui ci sono 404 Comuni e solo una trentina hanno tenuto conto di questa problematica. Questa è incapacità amministrativa».